mercoledì 17 dicembre 2008

Arrivederci!

Cara ragazze,

mi è dispiaciuto andare via dalla Toscana senza salutarvi. Purtroppo mercoledì scorso ero impegnata e non potevo essere presente. Conoscervi è stato fantastico! Vi auguro davvero un buon lavoro e spero, anche se da lontano, di dare un mio piccolo contributo attraverso il blog! Arrivederci a tutte quante! Carla

sabato 13 dicembre 2008

Modifiche al questionario

Salve a tutte!

Mercoledi scorso, ci siamo concentrate nuovamente sui questionari, tentando di riformulare quelle domande, che già nei precedenti incontri, avevano sollevato dubbi o ambiguità interpretative. In particolare ci siamo soffermate sulla domanda n.2 "In che cosa ti senti diversa dai tuoi coetanei maschi?", modificando alcune tra le possibilità di scelta. La scelta a (costituzione fisica) è stata sostituita da caratteristiche fisiologiche complessive, inserendo tra parentesi la forza fisica e il funzionamento del cervello. Il riferimento (volutamente provocatorio) al funzionamento del cervello è stato ritenuto utile, per far emergere, ahimè, l'eventuale convinzione di chi crede che in effetti ci siano delle differenze tra la conformazione e dunque l'attività del cervello di una donna e quello di un uomo. La scelta b (forza fisica) è stata cancellata. L'opzione c (caratteri sessuali) è stata sostituita da caratteristiche anatomiche e sessuali e la k (spirito di iniziativa) da rapporto con il potere.
L'intervento di Elisa ha sollevato la necessità di inserire una scelta, in grado di esprimere la capacità (per certi aspetti prettamente femminile) di relazionarsi con gli altri. Empatia, capacità di capire e mettersi nei panni dell'altro, sono più o meno i concetti che avevamo in mente, anche se non volevamo cadere nel classico clichè della sensibilità. Alla fine abbiamo optato per modalità di relazione. Le altre opzioni sono state lasciate invariate, anche se c'erano dei dubbi su volontà di autoaffermazione e volontà di primeggiare, ritenute ridondanti. L'intervento di Michela ha sottolinetao la differenza; pur riconducibili ad uno stesso universo semantico, la volontà di autoaffermazione pone l'accento sui deisderi della donna, sulla forza delle motivazioni che la spingono, ad esempio, a coltivare la propria carriera lavorativa. La volontà di primeggiare invece sottolinea la dimensione della competitività.
La domanda n.2 ha riaperto il confronto su una questione già affrontata in precedenza dal gruppo, e rilanciata mercoledi da Silvia. Silvia ha evidenziato quello che a suo avviso rappresenta un limite del questionario; l'incapacità di alcune domande, e in particolare della seconda, di evidenziare quei contesti empirici dove la differenza tra generi appare nella sua concretezza più immediata, proprio perchè strettamente collegata a delle esperienze reali di "vita vissuta". A tale proposito Silvia proponeva la possibilità, per chi compila il questionario, di inserire degli esempi relativi alla propria esperienza personale, accanto alle opzioni di scelta.
L'incontro di mercoledi prossimo dovrebbe concludersi con la stesura definitiva del questionario. Mercoledi purtroppo non ci sarò, per cui vi auguro buone feste e soprattutto un buon inizio di anno....ne abbiamo bisogno!!!

Sonia

domenica 7 dicembre 2008

ordinaimo i post?

Care, grazie a Pina per il dettagliato resoconto e a veronica per l'articolo, che a me torna molto utile. Sono alle prese con l'orgnizzazione degli eventi di lunedì (incontro nazionale rete ricercatori precari a siena, tra un attimo vi mando una mail) e quindi sto latitando, ma volevo dare un piccolissimo contributo logistico:
possiamo mettere ai post di cui sopra le relative etichette? ovvero: il report sul questionario nel gruppo di ricerca relativo, e magari quello di veronica in riflessioni. Tanto appaiono cmq in prima pagina. Basta che le autrici lo modifichino cliccando sull'icona della matitina che appare in fondo al post, accanto a commenti.
Scusate la pedanteria, ma penso che se uno (una!) vuole seguire i lavori dei diversi gurppi a distanza, questo smistamento sia utile!
un bacione a tutte
elisa

sabato 6 dicembre 2008

Sexyspot generation articolo del settimanale "La Repubblica delle Donne"

Sessista e stereotipata: il Parlamento europeo boccia la pubblicità in tv. Ma il video italiano resta affollato di casalinghe felici e distinti manager
di Gina Pavone


Le patate le comprano le donne!”. Il marketing televisivo le considera una merce di pertinenza femminile. Sarà forse l’ambiguo gioco di parole a incoraggiare i pubblicitari a puntare sulla specializzazione di genere, per spingere all’aquisto dei tuberi. Di fatto, in questo spot di successo, il sacchetto di patate alla fine vola addosso a un tizio frastornato, a bocca aperta: pare non abbia capito perché lui non va bene per sceglierle. Negli spot spopolano le immagini di belle casalinghe sorridenti tra distese di lenzuola bianchissime: un luogo comune impresso da anni nell’immaginario collettivo. Come l’uomo sempre impeccabile che guida compiaciuto auto potenti. Secondo il Parlamento europeo, però, questo modo di comunicare va superato. Così a settembre ha approvato a larga maggioranza una risoluzione per l’eliminazione degli stereotipi di genere nella pubblicità. Perché influiscono sulla società, sui rapporti tra le persone, non solo sui consumi. «La pubblicità e il marketing creano cultura anziché esserne semplicemente il riflesso», si legge nella relazione curata dall’europarlamentare svedese Eva-Britt Svensson. E contribuiscono al mantenimento delle disuguaglianze tra i generi: retribuzioni, professioni, ruoli di dirigenza, divisione dei lavori domestici. E se il marketing ha la sua responsabilità, da noi anche la tv deve entrarci qualcosa, con la questione dei ruoli.

Patria di veline e vallette coinvolte anche in qualche scandalo, l’Italia riesce a conquistarsi l’ultimo posto in Europa sulla questione parità, secondo la classifica 2007 Gender Gap stilata dal World Economic Forum. Ultimi in Europa, e nelle retrovie, anzi forse pure peggio, se consideriamo la graduatoria su scala mondiale: su 128 nazioni, siamo 84esimi. Questa distanza tra uomini e donne si ripercuote anche nella scelta di che materie studiare. Secondo uno studio americano della Northwestern University, nelle società dove i ruoli di genere sono più rigidi le femmine vanno meglio nelle materie umanistiche, e i maschi in quelle scientifiche. E i “test Pisa” elaborati dall’Ocse per valutare il rendimento scolastico mostrano per la matematica poca o nessuna differenza nei Paesi Scandinavi, mentre è maggiore, per esempio, in Turchia. «Uno stereotipo è come una lente attraverso cui guardiamo la realtà», osserva Bruno Mazzara, docente di psicologia dei consumi e della pubblicità a Roma, «ci fa vedere alcuni aspetti e ne occulta altri. Quando si sedimenta in una cultura, diventa normale interpretare la realtà attraverso quella distorsione». Ci si abitua, ai luoghi comuni. Si assorbono e ci si comporta di conseguenza. Non meno frequenti degli spot a base di ruoli di genere, sono quelli sexy, che puntano sull’anatomia, principalmente femminile, usata per promuovere di tutto.«Un’abbondanza martellante che rende normale e quotidiana la riduzione del corpo a oggetto», sostiene Catiuscia Marini, deputata al Parlamento di Strasburgo nel gruppo dei socialisti europei.

«Gli spot hanno un altissimo potere persuasivo, in particolare su bambini e adolescenti, perché ci trovano modelli da imitare», osserva Francesca Romana Puggelli, che insegna psicologia sociale a Milano e Pavia, autrice del libro Spot generation (Franco Angeli). «Nel contesto odierno di crisi delle figure tradizionali, ai giovani resta solo la televisione, e da lì assorbono tutto, indistintamente. Anche gli eventuali stereotipi che contengono: e ce ne sono tanti», sottolinea. «Non solo nelle pubblicità per adulti, ma anche, per esempio, in quelle dei giocattoli, dove di solito i bambini sono rappresentati in movimento, all’aperto e vestiti in modo più differenziato rispetto alle bimbe, spesso bionde, coi capelli lunghi, con abiti dai colori tenui. Quasi sempre si trovano in luoghi al chiuso e la musica che accompagna gli spot è più soft, rispetto a quella scelta per i maschi». Particolari che finiscono per indicare chi starà dove, «qual è il posto per l’uomo e quale per la donna», osserva Puggelli. «Certo, ci sono anche casi meno scontati, ma sono rari. Di solito la pubblicità parla a molti, non a pochi. È fatta per raggiungere un pubblico più ampio possibile, quindi mostra aspetti conosciuti, che tutti possono capire senza alcuno sforzo cognitivo. Per questo mantiene lo status quo: la pubblicità non anticipa i tempi, piuttosto di solito rimane un passo indietro». E si autoalimenta.

Se in Europa si discute di sessismo nei messaggi pubblicitari, cosa dire, da noi, della televisione in generale? È affollata di veline, letterine, sexy girl con costumi succinti e balletti allusivi che sono ormai dilaganti nella tv generalista, nei programmi di intrattenimento a qualsiasi orario. Al pubblico piace, il pubblico apprezza, si dice. Sottinteso, il pubblico maschile. Però nel rapporto 2008 di Censis-Ucsi sulla comunicazione, salta fuori invece che il 73% degli intervistati cita la volgarità come difetto principale proprio della tv generalista, quella per tutti. Nel 2006 la Società italiana di pediatria ha pubblicato uno studio che è stato definito scioccante, come se nessuno si fosse accorto della piega che stavano prendendo le cose: tra le dodicenni intervistate, alla domanda «cosa vuoi fare da grande?», al primo posto c’era la velina. Al secondo, un “non so”. L’anno scorso invece la velina è stata sostituita da un più versatile “personaggio famoso”, si legge nel rapporto.Mentre i bambini sognano in massa di diventare calciatori. Nello stesso anno il Censis ha pubblicato uno studio approfondito e specifico dell’immagine femminile nella comunicazione, intitolato Women and Media in Europe.

«La donna prevalente in tv è quella dello spettacolo, mentre professioniste o intellettuali hanno un po’ di spazio solo nelle fiction», spiega Elisa Manna, responsabile del settore cultura del Censis e tra le curatrici del rapporto. «Ci sono solo donne bellissime, giovanissime, perfette, sempre inquadrate con una certa tendenza al voyeurismo». Niente anziane, pochissime quelle di mezza età, tutte sempre di classi sociali agiate, e mai disabili. «Modelli irreali, e non solo nei programmi d’intrattenimento. Anche nei telegiornali la figura femminile si alterna tra un’alta attenzione nella cronaca nera e le modelle delle sfilate, spesso introdotte sul finire dei tg come alleggerimento: un’altalena assurda», osserva Manna. In effetti, numeri a parte, la situazione è davvero a portata di telecomando. Così, giusto un anno fa, in Parlamento erano state presentate due mozioni, per altro bipartisan, proprio sulla questione dell’immagine femminile in tv. Si chiedeva, in sostanza, di far passare non solo il corpo, ma anche il punto di vista femminile, farle anche parlare, le donne. Magari fare spazio alle varie professioniste, in modo da offrire modelli culturali interessanti per i più giovani.

Mozioni rimaste entrambe lettera morta. «Certo che il vostro Paese è terribile », chiosa senza mezzi termini Florence Montreynaud, attivista di “La meute”, rete francese che dal 2000 si occupa di sessismo nella comunicazione e nel marketing. «Noi invece protestiamo, facciamo volantinaggio davanti ai grandi magazzini, chiediamo di non comprare giocattoli e oggetti pubblicizzati in maniera scorretta, scriviamo ai produttori. E di solito ci ascoltano, pure le multinazionali, che temono la nostra pubblicità negativa », spiega. «Ma chiediamo anche l’intervento normativo della politica, perché solo la legge può proteggere tutti, anche i più deboli». Inoltre organizzano due premi: uno allo spot peggiore, l’altro al migliore. Un po’ quello che in Spagna fa l’Observatorio andaluz de la publicidad no sexista, il quale raccoglie segnalazioni di cittadini sui contenuti offensivi degli spot. Risultato: la maggior parte delle missive riguarda i giocattoli e i loro spot. «Il problema con gli stereotipi è proprio che si comincia presto», afferma Puggelli.

Il mese scorso in Svezia il comitato etico ha richiamato una nota marca di giocattoli per i contenuti stereotipati di giochi e pubblicità.Su Internet la notizia ha ricevuto qualche attenzione anche in Italia, ma quasi sempre con toni ironici, canzonatori. L’iniziativa è stata anche bollata come roba da femministe ipercritiche. Ma Puggelli sottolinea di non definirsi una femminista: «Non si tratta solo di donne, anche per gli uomini si creano schemi rigidi da cui faticano a uscire. La pubblicità è un mezzo potentissimo, andrebbe usato con preparazione e sensibilità». Qualche iniziativa degna di nota ora sembra arrivare pure da noi. L’anno scorso l’ufficio di parità del Comune di Torino ha lanciato una campagna contro i brand che sfruttano immagini sessiste per vendere i loro prodotti: sui mezzi pubblici e in città c’era l’immagine di una ragazza in una vaschetta cellofanata, e un enorme codice a barre sopra.

Quest’anno, invece, è partita una campagna, “La parità moltiplica le opportunità. Per tutti”, con uno spot trasmesso a livello nazionale. Nell’attesa che arrivi anche l’Europa: «La risoluzione del Parlamento europeo», spiega Marini, «è un documento di indirizzo politico con cui si incoraggiano alcune istituzioni, e gli Stati membri, a prendere provvedimenti seri per la rimozione degli ostacoli che impediscono la realizzazione dell’uguaglianza tra i generi. Si dice soprattutto di fare attenzione ai messaggi indirizzati ai più piccoli, e anche all’uso delle modelle di magrezza insalubre. Inoltre si parla dell’istituzione di specifici organismi nazionali per il monitoraggio dei contenuti discriminatori delle pubblicità. Tutto questo non ha solo un senso negativo, punitivo: anzi, nella risoluzione si parla di premi a pubblicità che abbiano messaggi positivi».

venerdì 5 dicembre 2008

Carissime,
mercoledi 3 dicembre eravamo solo in sei, ma abbiamo deciso comunque di analizzare i questionari che avevamo a disposizione (nostri e di amiche prestatesi) per verificarne i punti di criticità. E questi vi illustro.

2. In che cosa ti senti diversa dai tuoi coetanei maschi?
Alcune delle risposte proposte ci sono sembrate raggruppate in diadi ridondanti, ad esempio
a. costituzione fisica / c. caratteri sessuali : preferiamo lasciare la sola opzione ‘a’ eliminando la ‘c’ che da ‘a’ è comunque inclusa.
l. volontà di autoaffermazione / m. volontà di primeggiare: lasciare la ‘l’ ed eliminare la ‘m’.
3. Qual è l’elemento che a tuo avviso ti accomuna maggiormente alle tue coetanee?
3bis. E quale quello per cui ti senti maggiormente diversa da loro?
Abbiamo analizzato le risposte fornite a queste due domande e abbiamo rilevato, discutendone insieme, un disagio comune a rispondere causato dal termine ‘coetanee’, sia perché la nostra pratica di relazione con ‘le altre’ si esprime secondo una modalità esclusivamente trans-generazionale, sia perché il termine offusca la finalità delle due domande, che è quella di testare il ‘punto a cui sei insieme/rispetto alle altre’.
Ci sembra opportuno quindi sostituire “tue coetanee” con “altre donne”: la lettura sincronica delle risposte è comunque rilevabile chiedendo di scrivere l’età a chi compila il test.
4bis è da correggere in 5, e 5 da correggere in 5bis (ambiti di vita figlia/madre e madre/nonna)
Ci sembra opportuno limitare a 1 sola l’opzione fra le 4 proposte, per far emergere nella lettura ‘il’ nodo pregnante di cambiamento.
6. C’è un obiettivo specifico per cui ti batteresti come donna?
Marzia ha espresso l’urgenza di veder specificata la collocazione identitaria: ha senso parlare di ‘identità di genere’ fuori da una chiara scelta di collocazione etnica, politica, culturale?
Al gruppo è sembrato che la ‘scelta di collocazione’ possa comunque emergere dal testo delle risposte piuttosto che dal presupposto della domanda. Propongo comunque che su questo punto torniamo a riflettere nel prossimo incontro.
7. Come spiegheresti l’espressione “identità di genere” a una sorella…?
Per facilitare la risposta a chi non ne conosce il significato, abbiamo proposto di riformulare la domanda così:
“Hai mai sentito parlare di “identità di genere”?
no
si: Come spiegheresti l’espressione…?

Ci è sembrata poi molto convincente la proposta di una studentessa che si è unita per la prima volta al gruppo (perdonami, non ricordo il tuo nome), di aggiungere dopo la domanda 7 il punto
8. Associa tre termini alla parola “donna” che potrebbe restituirci un campionario intrigante di significati espressi. E’ ovvio che l’attuale 8 diventerebbe 8bis.
Crediamo inoltre opportuno inserire una domanda finale, non numerata:
Ti è piaciuto fare il test?
Si
No
Perché?
per poter esprimere le sensazioni provocate da un riflettere su di sé che per alcune donne non è un terreno di confronto così scontato ed abituale.
Note finali: necessità di lasciare più spazio per il testo libero, e comune apprezzamento per il titolo del test suggerito da Valentina, abbastanza neutro da non veicolare le risposte, vagamente allusivo all’8 marzo delle donne.
Vi saluto aggiungendo al mio post un’email inviatami da una neo-laureatasi con una tesi sull’identità di genere, Chiara Collamati, che non può essere presente fisicamente ai nostri incontri perché ha abbandonato Siena, ma a cui avevo dato il questionario perché lo testasse insieme a noi. Le sue riflessioni mi sono sembrate sorprendenti, perché ripercorrono punto per punto, e con grande lucidità, il percorso da noi seguito nell’incontro di mercoledi. E’ una cara amica, per il momento, forse, per voi solo virtuale.
Un bacio a tutte. Lascio la parola a Chiara:

“Cara Pina,
nonostante non ci conosciamo, mi permetto di usare toni confidenziali e darti del tu…Spero di non esser inopportuna, ma dato il contesto di vicinanza femminile e la comunanza di interessi relativi a questo ambito, mi risulta difficile e innaturale usare atteggiamenti formali e troppi convenevoli.
Innanzitutto mi scuso per lo scarso tempismo con cui ti contatto…
Dunque, ho letto e compilato il questionario che mi hai consegnato.
Essendo rivolto ad un pubblico vasto ed eterogeneo, condivido la semplicità e l’immediatezza con cui sono formulate le otto domande; tuttavia, se posso esprimere un mio personale parere, trovo che pecchi di un eccesso di genericità: è difficile rispondere riferendosi a categorie o gruppi di appartenenza ( come nel caso di ‘coetanei maschi’, o ‘le differenze/somiglianze con le tue coetanee’).
Da parte mia, preferirei fosse più mirato e maggiormente rivolto all’esperienza personale, al proprio modo di vivere ed esperire l’essere donna. Qual è il/i significato/i che ognuna attribuisce al suo essere donna, al termine ‘femminile’ che viene costantemente accusato di essenzialismo,ma che varia da cultura a cultura, da generazione a generazione, da persona a persona. Insomma, prima di chiedere “ti piace essere donna?”(domanda n. 8), chiederei “ Che significa per te essere donna?” “di quali significati, valori/disvalori investi il tuo sito del femminile?”.
E soprattutto va, a mio avviso, sottolineato il posto che ognuna attribuisce al significante ‘donna’, alla locuzione ‘in quanto donna’, cioè alla priorità o meno che l’identità di genere assume rispetto ad altre identità: etnica,geografica, socio-politica, familiare, culturale, etc, etc…Questa precisazione va fatta contestualmente alla domanda n. 6: “c’è un obiettivo specifico per cui ti batteresti come donna?”
Inoltre, la domanda n. 2 la ripenserei totalmente: ci sono opzioni che secondo me possono equivalersi tipo: costituzione fisica/forza fisica, rapporto con la famiglia d’origine/educazione ricevuta,volontà di autoaffermazione/volontà di primeggiare… per alleggerire un po’ quell’elenco che trovo ridondante. Poi ho delle perplessità sull’opzione ‘c’: che significa sentirsi diversi dai coetanei maschi per ‘caratteri sessuali’? Il riferimento è al puro dato biologico, o al modo di vivere il rapporto con il proprio corpo?
La prima domanda, infine, la formulerei diversamente, ad esempio:
“in questo periodo storico è possibile, e se sì sotto quali aspetti, affermare l’uguaglianza dei sessi?”:
a. non è possibile.
b. dal punto di vista giuridico e del riconoscimento dei diritti fondamentali.
c. dal punto di vista delle opportunità lavorative e dell’affermazione professionale.
d. dal punto di vista dell’immaginario collettivo e delle tradizioni culturali.
e. a livello del vissuto personale, dell’esperienza di ognuno con il proprio corpo e la propria sessualità.
Ecco…questo è quanto mi è venuto in mente riflettendo sul questionario…Spero di aver fatto osservazioni pertinenti e che possano risultare -anche in minima parte- utili ai fini della vostra ricerca e della crescita del vostro progetto.
Ah, infine, approfondirei l’aspetto della maternità sia nei termini del rapporto con la madre –come e in che misura la figura materna ha influenzato ed inciso sul modo che ognuna ha di sentirsi donna e di vivere la propria femminilità-, sia nei termini della specificità che l’essere madri conferisce alle donne.
Con l’auspicio di continuare a seguire il vostro percorso, benché a distanza ed indirettamente, ti mando i miei più sinceri saluti.
Buon lavoro…
Chiara”

martedì 2 dicembre 2008

femminismo

Femminismo è lo spazio che le donne, ogni donna, riempie della sua presenza autonoma e indipendente. Uno spazio di liberazione in cui prestar ascolto a se stesse e al mondo che assume ora, sotto lo sguardo femminile, una nuova luce. Uno spazio in cui riappropriarsi del tempo e dei suoi miti per intrecciarli in un racconto simbolico a cui prestare una voce, che è voce di donna. È la voce di ognuna che riannoda i fili dei suoi pensieri con i fili che legano i pensieri di tutte.
Femminismo è il tempo di riappropriarsi del proprio corpo, di realizzare il proprio desiderio di essere una di due, perché l’essere è duale, una congiunzione di opposti che rende possibile il suo manifestarsi.
Femminismo è la possibilità per le donne di esprimersi per se stesse. Femminismo è la conquista di una via per ripensare se stesse; femminismo è la meta di quella stessa via e, ancora, il modo di percorrerla.

lunedì 1 dicembre 2008

Glossario: inizio dei lavori

Dal prossimo mercoledì, e più realisticamente da mercoledì 10 dicembre, i seminari procederanno affrontando la costituzione di un lessico/la socializzazione dei saperi sulle tematiche dell'identità di genere.

1) Una prima data importante sarà il 21 gennaio, quando al centro Mara Meoni a Siena si terrà un convegno sul femminsimo degli anni '70 con Maria Luisa Boccia, Guerra, e la nostra Pina. Vorremmo tuttavia arrivare "preparate" all'appuntamento, e inziare a creare un comune retroterra e teorico e di riflessione sul vissuto. In riferimento alla prima dimensione del sapere, il gruppo non ha escluso la possibilità di ricevere tradizionali lezioni frontali, almeno per un'ora, invitando apposite relatrici.

2) In tutti i casi, vista la difficoltà che abbiamo avuto a trovare da subito una formula e un calendario per la socializzazione dei saperi, si è pensato di prenderla "alla larga", portando tutte un artefatto mediale/culturale che riteniamo utile per impstare la riflessione sulle tematiche del genere e sul femminismo. Può essere qualunque cosa: un saggio, un romanzo da discutere e di cui leggere alcune pagine, un film, una canzone..dovrebbe in ogni caso trattarsi di un contributo che ritenete esprima la vostra sensibilità e il vostro approccio - di qualunque tipo: filosofico, estetico, emotivo - alle tematiche del femminile e del femminismo; magari un contributo che è stato formativo nel vostro percorso di studi di genere/di consapevolezza di genere, che vi ha chiarito le idee o che al contrario che vi ha messo dubbi; un contributo che ritenete valido per la capacità di analisi o piuttosto per le sensazione che vi ha suscitato...

Pensiamo che questo possa essere un primo punto di partenza, oltreché un metodo che consente di istituire una continua dialettica tra il particolare e il generale, ovvero tra l'esperienza personale (perché hai scelto questo oggetto? cosa dice di te?) e la teoria - se trattasi di contributi teorici - o la riflessione e l'analisi dell'esperienza, che è comunque una forma di conoscenza che implica la capacità di generalizzare e astrarre.
Scegliamo qualunque cosa ci vada di portare ma proviamo a chiederci perché l'abbiamo scelta: ho un'idea su come gestire questa domanda e strutturare la discussione intorno agli oggetti in modo che sia proficua ai fini della costituzione del "lessico".

Questionario: calendario lavori

1) Terminata la fase di raccolta dei questionari, cui abbiamo pensato di rispondere noi stesse come preliminare verifica della sua efficacia,Il PROSSIMO MERCOLEDI', 3 dicembre, discuteremo le nostre reazioni.
Si pensava di procedere così: un primo consulto sulle domande che abbiamo trovato problematiche/efficaci e perché; lettura, pescando a caso nel mucchio, di alcuni stralci di risposte, magari confrontando quelle date alle stesse domande, per capire il grado di apertura/chiusura del campo consentito a ogni risposta; e via dicendo.
Lo scopo dovrebbe essere testare le domande e vedere se già dalla piccola autoindagine fatta emergono possibili correzioni prima di passare alla fase pilota.

2) Dopo aver sistemato le domande (è assolutamente possibile che dovremo impiegare anche il mercoledì successivo), si parte con la fase pilota, in cui si distribuiscono i questionari a un primo gruppo. Si formerà una squadretta che lavorerà in autonomia, parallelamente ai seminari, ritirando i questionari della fase pilota e iniziando a analizzarli, allo scopo di testare l'efficacia delle domande rispetto alla popolazioe studentesca. Per farlo è necessario analizzre gli scritti facendo una prima divisione in categorie, da utilizzare eventualmente anche per le risposte che arriveranno con l'indagine allargata. Questo gruppo ovviamente riferirà ai seminari di volta in volta, ma non ha senso che tutte e 15 o 20 ci buttiamo su questa analisi.

Report incontro 26 novembre

Ecco i piani per il futuro prossimo e remoto emersi nell'ultimo incontro. Riporto tutto insieme ma tra un attimo scorporo le diverse parti inserendole nelle apposite sezioni, in modo che chiunque visiti il blog (nuove partecipanti, persone che si sono perse gli ulimi incontri, casuali web surfers....) possa farsi un'idea organica dello stato dell'arte dei diversi progetti che stiamo attivando.
con grande ritardo e me ne scuso, ecco i "compitini" per l'incontro di mercoledì (posto anche sul blog):
- rispondere, se potete, al questionario inviato da Valentina
- scegliere e portare un "artefatto" mediale/culturale che ritenete utile per impstare la riflessione sulle tematiche del genere e sul femminismo. Può essere qualunque cosa: un saggio, un romanzo da discutere e di cui leggere alcune pagine, un film, una canzone..dovrebbe in ogni caso trattarsi di un contributo che ritenete esprima la vostra sensibilità e il vostro approccio - di qualunque tipo: filosofico, estetico, emotivo - alle tematiche del femminile e del femminismo; magari un contributo che è stato formativo nel vostro percorso di studi di genere/di consapevolezza di genere, che vi ha chiarito le idee o che al contrario che vi ha messo dubbi; un contributo che ritenete valido per la capacità di analisi o piuttosto per le sensazione che vi ha suscitato...Insomma, whatever.

_*Come procederemo mercoledì:*_
- 1) la gran parte della giornata di mercoledì, con ogni probabilità, sarà dedicata alla discussione del questionario. Si pensava di procedere così: un primo consulto sulle domande che abbiamo trovato problematiche/efficaci e perché; lettura, pescando a caso nel mucchio, di alcuni stralci di risposte, magari confrontando quelle date alle stesse domande, per capire il grado di apertura/chiusura del campo consentito a ogni risposta; e via dicendo. Lo scopo dovrebbe essere testare le domande e vedere se già dalla piccola autoindagine fatta emergono possibili correzioni prima di passare alla fase pilota.
- 2) Ci prenderemo un piccolo spazio per dirci quali oggetti abbiamo portato, così, per "lanciare" i lavori che si svolgeranno a partire dal mercoledì segunete. Da questo momento, infatti, il calendario dei lavori andrà strutturandosi in modo più dettagliato, ovvero:

_*Prossimi mercoledì prima delle vacanza di Natale*_:
- dopo aver sistemato il questionario si parte con la fase pilota, in cui si distribuiscono i questionari a un primo gruppo. Si formerà una squadretta che lavorerà in autonomia, parallelamente ai seminari, ritirando i questionari della fase pilota e iniziando a analizzarli, allo scopo di testare l'efficacia delle domande rispetto alla popolazioe studentesca. Per farlo è necessario analizzre gli scritti facendo una prima divisione in categorie, da utilizzare eventualmente anche per le risposte che arriveranno con l'indagine allargata. Questo gruppo ovviamente riferirà ai seminari di volta in volta, ma non ha senso che tutte e 15 o 20 ci buttiamo su questa analisi.
- i seminari procederanno affrontando il seondo progetto, ovvero la costituzione di un lessico/la socializzazione dei saperi sulle tematiche dell'identità di genere. Una prima data importante sarà il 21 gennaio, quando al centro Mara Meoni a Siena si terrà un convegno sul femminsimo degli anni '70 con Maria Luisa Boccia, Guerra, e la nostra Pina. Vorremmo tuttavia arrivare "preparate" all'appuntamento, e inziare a creare un comune retroterra e teorico e di riflessione sul vissuto. In riferimento alla prima dimensione del sapere, il gruppo non ha escluso la possibilità di ricevere tradizionali lezioni frontali, almeno per un'ora, invitando apposite relatrici.
La scelta degli oggetti di cui in apertura mail si inserisce in questo percorso. Vista la difficoltà che abbiamo avuto a trovare da subito una formula e un calendario per la socializzazione dei saperi, si è pensato che quello di portare un oggetto culturle che giudichaimo rappresentativo potesse essere un primo punto di partenza, oltreché un metodo che consente di istituire una continua dialettica tra il particolare e il generale, ovvero dall'esperienza personale (perché hai scelto questo oggetto? cosa dice di te?) alla teoria - se trattasi di contributi teorici - o alla riflessione e all'analisi dell'esperienza, che è comunque una forma di conoscenza che implica la capacità di generalizzare e astrarre.Mmmhhh....non so se mi sono spiegata bene.
Ecco, comunque direi questo: scegliamo qualunque cosa ci vada di portare ma proviamo a chiederci perché l'abbiamo scelta: ho un'idea su come gestire questa domanda e strutturare la discussione intorno agli oggetti in modo che sia proficua ai fini della costituzione del "lessico".

giovedì 27 novembre 2008

Questionario: raccolta

Ciao a tutte,
un commento di Veronica al post precedente di questa sezione chiede come postare le risposte al questionario in forma anonima.
Le potete spedire come commenti a questo post, selezionando "anonimo" nel riquadro "Scegli un'identità" (in basso a destra). Ricordatevi però che dovete fare taglia/incolla dal file di word, non si può allegare un documento.
Altrimenti portatele stampate mercoledì prossimo.
Oppure, se non vi importa dell'anonimato effettivo, speditele per e-mail a qualcuna del gruppo.
Oppure attivate un irriconoscibile indirizzo email, o fatele spedire da qualcun altro...
Insomma ognuna scelga le strade che vuole, l'importante è che ci siano entro mercoledì.
Io avevo pensato di non postarle, ad esempio, perché ho dovuto lottare con la lunghezza di alcune risposte, ho qualche commento da fare e trovo che siano più difficili da comparare se non c'è uno schema "visivo" simile. Ci vorrebbe un archivio condiviso: se avete voglia di attivare un indirizzo gmail posso aprire una cartella GoogleShare; altrimenti per ora ci arrangiamo più artigianalmente e aspettiamo di fare il sito.
Tra l'altro una persona mi ha già detto che chiamarlo questionario, come facciamo tra noi, è un subdolo inganno :-D e in realtà le è sembrata una vera e propria intervista!
Fatemi sapere; ciao a tutte

mercoledì 26 novembre 2008

Salve a tutte,
è la prima volta che intervengo nel post. Il mio augurio è che tutto quello che cerchiamo di fare insieme sia l'inizio di una storia che costruisce e la fine di una storia che distrugge. Apprezzo molto la forma dialogica che hanno assunto i nostri incontri, perchè credo che il dialogo ci permetta di assumere la nostra identità, anzichè subirla, in modo più aperto e meno difensivo. L'incontro faccia faccia è un donarsi e aprirsi senza aspettative precostituite, il mondo aspetta il nostro messaggio, anzi ha bisogno del nostro messaggio perchè rappresentativo di un alterità che lo costituisce. Le donne sono sempre state considerate "altre" o "straniere" e grazie ad iniziative tipo queste noi donne ci rendiamo visibili, e tutto ciò influirà non solo sul mondo femminile ma anche sul mondo maschile. Vorrei concludere questo mio primo breve intervento ricordando che il dialogo ha bisogno di donne e uomini (non interpretate questo riferimento in modo polemico) che siano disposti a liberarlo dal suo nascondimento, non ha bisogno di un perchè per esistere, non è un mezzo per raggiungere un obiettivo altro diverso dal dialogo stesso. Il dialogo ci fa emergere dall'ombra e uscire dal pregiudizio!

mercoledì 19 novembre 2008

Report 19-11-2008

Care amiche,
dalla discussione di oggi pomeriggio è nata l'esigenza di passare quanto prima all'azione! Vorremmo riuscire ad avere pronti i questionari mercoledì prossimo. A questo proposito sarebbe probabilmente funzionale che tutte coloro che lo ritengano oppurtuno postassero i loro commenti al riguardo, per riuscire ad aver pronta la griglia di domande da porre nel questionario.
I dubbi sorti durante l'incontro di oggi riguardano l'ambiente e l'età del bacino d'utenza nei quali muoverci; ovvero se limitarci all'ambiente universitario o coinvolgere anche altre sfere pubbliche e/o private; inoltre se rivolgerci soltanto ad una fascia di età compresa dai 18 ai 30 o non porre limiti in tal senso (personalmente ritengo che la fascia di età non vada limitata).
Passando invece ad altro, chi avesse dei riferimenti bibliografici da proporre sul femminismo e l'identità di genere potrebbe già offrire i suoi spunti e portare la prossima settimana anche una lista di lettura da suggerire a chi ne sentisse l'esigenza.
Un bacio a tutte e a presto!

hasta pronto

Carissime, questa volta il report lo farà Carla che mi ha dato una mano fondamentale per risolvere i miei irrisolvibili problemi con il blog. Parto per la Spagna mercoledì. Vi saluto. Lola

lunedì 17 novembre 2008

Vivere in un mondo che sembra all'oscuro della nostra libertà

Posto per conto di Lola, che oggi ha problemi con il blog, questo toccante - non so come altro chiamarlo - intervento. Molte le frasi che personalmente mi hanno colpito nel testo, che ho letto tenendo me stessa e la mia esperienza "in icona", come un file aperto sotto ad un altro su cui si sta lavorando. In particolare, la conclusione: non sempre sento che la chiarezza mentale e del linguaggio vengano in mio soccorso per consentirmi di leggere correttamente i fatti, e posizionarmi rispetto agli stessi. Ogni volta che mi muovo su scenari in cui sono molte le forze in campo, sono molte e non manifeste le dinamiche di potere, ho sempre la sensazione di essere vulerabile, scoperta, disarmata. E non solo per candore e scarsa dimestichezza con le logiche di questi "confronti", come li chiama la Muraro, a cui per la verità non mi sono mai sottratta (il mio problema semmai è opposto: se ho qualcosa da dire uso l'esposizione in modo terapeutico, per misurarmi, per rafforzarmi), ma anche perché non sono affrancata da quel "fondo torbido dell'animo" in cui si agitano sentimenti oscuri, che mi rendono suscettibile al potere. Non so se è un problema solo mio, però credo che la via indicata dalla Muraro sia percorribile: il lavoro sul pensiero, sul linguaggio intorno alla nostra esperienza su questo tema. Ok, mi fermo qui!
elisa
Via Dogana n. 86 settembre 2008
di Luisa Muraro
Molte che viviamo in questa società e siamo adulte da qualche decennio, in condizione di misurare i cambiamenti avvenuti nell’arco di trenta-quarant’anni, davanti alla realtà di oggi siamo prese da un sentimento di estrema ambivalenza che ci fa pensare quello che non si osa quasi dire e cioè che: tutto va meglio e tutto va peggio. Un vero paradosso.
Abbiamo cominciato a percepirlo, oscuramente, nel corso degli anni Ottanta, per il contrasto fra quello che risultava a noi, da una parte, e una certa lettura maschile che denunciava il deteriorarsi dei rapporti sociali e della situazione politica, dall’altra. In seguito il divario non ha fatto che crescere. Si è continuato a usare linguaggi differenti e a guardare le cose da punti di vista differenti, il che consentiva di andare avanti ignorandoci, la politica delle donne registrando cambiamenti positivi e opponendo una efficace resistenza alla spinte contrarie, gli osservatori della società registrando una emorragia di forze e idee a livello politico e culturale. Io e tante altre siamo andate avanti per la strada intrapresa di migliorare i rapporti tra donne e di cambiare quelli con gli uomini in un senso favorevole alla libertà femminile, non senza risultati. Anzi, con risultati tali che hanno fatto parlare di una vera e propria rivoluzione. Eravamo convinte che, prima o poi, questo aspetto positivo del cambiamento in corso sarebbe entrato nel quadro d’insieme e avrebbe contato positivamente. In particolare, ci aspettavamo che la politica delle donne, che si era mostrata vincente, avrebbe modificato le idee, le pratiche e i progetti di chi lottava contro il degradarsi della vita sociale e politica, e che saremmo diventate protagoniste nel difficile cambiamento che ha nome globalizzazione. Finora non è successo niente del genere. Il movimento no-global, per dirne uno, vedeva nelle donne, quando le vedeva, l’umanità muta e sfruttata, da liberare. Così come il sindacato fino a ieri ha visto nella femminilizzazione del lavoro, un fattore che indebolisce e svalorizza la classe lavoratrice. Intanto, però, il movimento no-global si è spento e i sindacati sono rimasti indietro rispetto all’organizzazione postfordista della produzione. Siamo così arrivate al paradosso della presente situazione, donne che si lasciano alle spalle secoli di sottomissione all’uomo, di istruzione negata, di esclusione dalla vita pubblica, di assegnazione a un lavoro non scelto né pagato né altrimenti riconosciuto, di subordinazione materiale e spirituale al destino biologico. Tutto questo è finito o dietro a finire o destinato a finire, e non solo qui, sembra infatti che in ogni parte del mondo vi siano processi che vanno nella stessa direzione. Ma, messe naturalmente in conto le difficoltà, i ritardi e le incertezze di tanto cambiamento, tutto questo accade in una civiltà che perde colpi per quel che riguarda il diritto internazionale, la coesistenza pacifica dei popoli, la tenuta della democrazia, la forza contrattuale di quanti vivono del loro lavoro, la elementare qualità dei rapporti umani (c’è paura e diffidenza del prossimo, disprezzo per i più poveri…). E che, per giunta, non riesce ad affrontare efficacemente i nuovi e urgenti problemi che si affacciano, fra i quali la salute del pianeta Terra.
Del paradosso in questione faccio il punto di leva del mio discorso, ma devo introdurre qualche considerazione che può mitigare la sua enormità. Nelle epoche di passaggio, come questa che viviamo, bisogna sapere che coesistono cose fra loro molto contrastanti e che le cose possono apparire più contrastanti di quello che appariranno alla luce di sviluppi futuri che noi ignoriamo. Consideriamo, inoltre, che sul paradosso si riverbera la luce enigmatica dello statuto ontologico delle donne, che duemila e cinquecento anni di filosofia, restando all’Occidente, non hanno contribuito a chiarire. Chi sono le donne? Sono l’umanità o una sua parte? Che cosa cambia quando cambiano le donne, l’umanità o una sua parte? Come si passa dal femminile all’universale? Intendo, c’è una posizione femminile che include gli uomini senza riportarli nell’utero materno? Quello che le donne pensano, gli uomini lo possono assumere come pensiero per sé? Le domande si moltiplicano, tutte portano a una, sull’entità di ciò che accade quando accade direttamente e propriamente alle donne, in primis il fatto di esserlo: sono coinvolti anche gli uomini e non per finta, s’intende, non con la favoletta del femminile in lui e del maschile in lei? Oppure gli uomini vanno avanti con la loro storia, in cui le donne si sa che sono coinvolte e si lasciano coinvolgere, fin troppo?
Per anni abbiamo aspettato (la stessa parola usata sopra) che le nostre pratiche politiche e le nostre idee fossero prese in considerazione come una risposta ai problemi crescenti della politica tradizionale. Riconoscimenti e citazioni sono venuti, ma niente di più. Nessuno scambio produttivo, esclusa una minoranza di uomini che però si distaccano dai loro simili quasi quanto noi, se non di più. Recentemente, dopo la disfatta elettorale della sinistra, molti tra i politici sconfitti si sono dati a un attivismo che ripete i vecchi schemi, ma non tutti, alcuni si sono messi a dire: gli errori sono questi, ecc., ora bisogna fare questo, pensare quello, ecc., ma neanche questi si sono voltati dalla parte del femminismo per dire: come hanno fatto loro, il cui movimento è cominciato nel Sessantotto, ad andare avanti, a ottenere risultati e, soprattutto, a indovinare il senso di certe mutazioni (il trionfo della soggettività, la superiorità delle relazioni sulle organizzazioni, il valore della lingua e del simbolico nella produzione)? Devo dire che una svolta di questo tipo, io l’aspettavo … ecco di nuovo questa parola! La sottolineo perché ci aiuta a fare il passo successivo, che è di renderci conto che la cosiddetta politica delle donne ha lasciato all’impegno degli uomini qualcosa che una politica, comunque intesa, non può mai delegare. Di che cosa si tratti, comincio a dirlo così come l’ho capito recentemente e l’ho discusso con altre e altri, in vista di questo numero della rivista. Chi si impegna a cambiare in meglio la sua condizione insieme a quella dei suoi e delle sue simili, chi ha voglia di esistere per sé e per gli altri, le altre, chi non vuole chiudersi nel suo “particolare” ma arricchirsi simbolicamente nello scambio, chi si sente parte dell’umanità, quella prossima e quella lontana, in una parola chi ama la politica, non può ignorare che l’agire libero e creativo, in ogni campo, si afferma a spese della logica del potere, che è logica dei rapporti di forza, del dominio, del conformismo, della sopraffazione o della competizione, più o meno regolata, con schieramenti, contrapposizioni, identificazioni e appartenenze. E viceversa, naturalmente: la logica del potere si afferma a spese dell’agire libero e creativo, in ogni campo e in primo luogo nella politica.
Questa reciproca escludenza, che non ha niente di automatico nè di logico, è la tensione immanente all’esistenza umana con la sua connaturata e mai assicurata libertà. Per cui il loro rapporto è questo: la politica non può ignorare la pressione del potere né legarsi ad esso. Voler fare del potere lo strumento della politica, da una parte, e tenerlo a una distanza di sicurezza, dall’altra, è ugualmente sbagliato. Ma per ragioni fra loro diverse.Quanto alla prima posizione, una vera e propria illusione, non vi insegno niente di nuovo dicendo che, di fatto, avviene ed è sempre avvenuto che il potere, da mezzo che doveva essere, diventa rapidamente il padrone della politica e degli uomini che ad essa si sono dedicati, dei quali infatti si dice, quando hanno successo, che sono “uomini di potere” e nient’altro. Quelli che ricordiamo come politici e meritano questo nome, sono quelli che gli hanno tenuto testa e hanno ottenuto dei risultati contro e indipendentemente da esso. Vero è che, in proposito, non sempre ci si esprime con la necessaria precisione (tornerò su questo punto).
La questione che, invece, domanda di essere discussa da noi su questa rivista, si trova sull’altro versante e riguarda la distanza di sicurezza dal potere, dai suoi apparati e dalla sua logica. Io non vengo qui a negare che sia possibile tenere una simile distanza. Sembra che ciò sia molto difficile agli uomini, ma non lo è per le donne. Lo dico con forza, sulla base di una lunga esperienza, a lungo e accuratamente analizzata. E lo dico in polemica con una veduta che si vende molto bene sul mercato delle idee, secondo cui il potere sarebbe così pervasivo da essere onnipresente. Il problema non è questo, anzi: questa bisogna toglierlo di mezzo come una veduta fuorviante per vedere il vero problema che noi abbiamo davanti. Ho incontrato troppe donne sedotte da pensieri e questioni che non le riguardavano veramente.
Il problema che riguarda noi su questa rivista, io sostengo, è l’evitamento del lavoro necessario per strappare politica viva ed efficace alla presa del potere che la trasforma in una specie di grande pretesto per il suo funzionamento. Evitiamo abitualmente riunioni, elezioni, discussioni, schieramenti e tutta una serie di rituali, come modi di agire in cui accade regolarmente, primo, che si perda di vista la sostanza dei problemi, e, secondo, che l’esperienza viva dei/delle partecipanti, insieme ai loro rapporti, sparisca dietro una maschera di convenienza. Non sono forse due buone ragioni per girare alla larga? Certamente, ma così facendo, senza volerlo, noi non esercitiamo la nostra competenza sui problemi in questione e, soprattutto, perdiamo l’occasione per dare prova ed esempio che si può affrontarli e, in caso, risolverli senza maschere, in rapporti diretti e sinceri con gli interessati, le due cose essendo strettamente congiunte fra loro. Oggigiorno siamo sommersi da problemi male impostati, quindi destinati a nessuna soluzione o a cattive soluzioni, perché impostati unicamente in termini di valori precostituiti (ogni uno ha i suoi, ovviamente), di norme e di leggi, di maggioranze e di minoranze, di fronti che si contrappongono, di alleanze strumentali, di calcoli di potere e relativi compromessi. Si crede comunemente che questo sia la politica. Al contrario, questa è la politica fatta a pezzi dalla logica del potere, la cui somma preoccupazione è sempre di preservare sé stesso, ad ogni costo. Quelli sono i resti di una politica di cui nessuno e nessuna è riuscita a salvaguardare il senso costitutivo, sono frammenti di esperienze ed esigenze che non hanno avuto né il tempo né l’aiuto per essere degnamente ascoltate da persone attente e disinteressate, capaci di stare con gli altri in una relazione sincera e rispettosa. S’indovina ogni tanto la presenza di simili persone, come meteore nel cielo d’agosto, impossibile trattenerle. Eppure noi, nel movimento delle donne, in questi decenni abbiamo imparato a curare la qualità delle relazioni, ad ascoltare, a interloquire, a leggere quello che capita in cielo e sulla terra, a non fare schieramenti, a cercare le parole e le altre mediazioni, ad avere fiducia nell’affacciarsi di qualche risposta buona per le parti in causa. Questa è politica, questa è cultura, questa è religione… non quei resti che si vendono al mercato massmediale, pieno di merce contraffatta.
Tutto vero, ma che così sia, non si può stabilirlo in astratto, senza misurarsi con i contesti che fanno nascere i problemi e con le persone che cercano le risposte. Che vuol dire, in pratica, che non si può stabilirlo senza esporsi, in caso, alla lotta per difendere la bontà di una procedura, l’efficacia di una soluzione, la qualità dell’informazione, la partecipazione allargata. Bisogna che un confronto ci sia, pubblico e leggibile, non cercato apposta in una logica di scontro, ma attuato quando ne va del senso delle cose e della libertà delle persone.
Non c’è niente come l’evitamento di questo confronto che impoverisca la pratica della separazione femminista e della relazione tra donne, facendole apparire, e in sostanza forse diventare, un ritrarsi dalla realtà, un consolarsi e un contentarsi. E qui mi viene in mente un esempio che farà ridere tanto è distante da noi, quello di Marta e Maria (nel vangelo di Luca), figure simboliche, rispettivamente, della vita attiva e contemplativa, questa seconda essendo considerata superiore alla prima, ma che, invece, offrono a Maestro Eckhart l’occasione per un clamoroso rovesciamento: Marta è superiore, dice, perché “Marta era così essenziale, che la sua attività non la ostacolava”. E io intendo che: 1° nessuna condizione può essere assolutizzata come buona, 2° una buona pratica di vita non ci separa da niente e da nessuno, 3° il distacco rende liberi essendo interiore e simbolico.Su Leggendaria 69 (estate 2008) anche Anna Maria Crispino s’interroga sulla distanza, a proposito di uno stare “troppo fuori” o “troppo dentro” (a quel tipo di cose che agitano la sinistra, per esempio). E mi fa pensare che, sotto questo problema di una misura che non si trova, troppo per un verso e troppo per l’altro, possa esservi un inciampo. E cioè? che quando si arriva in vicinanza alla misura giusta, subentra una confusione che offusca e indebolisce. Racconto una storia che altre conoscono, la stessa o una simile. C’era una femminista dotata per la vita attiva, una vera Marta, che aveva il suo gruppo e una carica nel governo locale. Si trovò ad affrontare la rivolta di un intero quartiere contro un campo di nomadi, convocò la popolazione e fece parlare i più arrabbiati con i più saggi, i più spaventati con i più ragionevoli, gli egoisti e i generosi, donne e uomini. Era brava e la candidarono in una lista delle politiche, fu eletta e andò a Roma. Ma l’avevano messa in lista perché tirava su voti, non per quello che sapeva fare e aveva da dire, e lei non riuscì né a fare né a dire, anzi, quella volta che l’abbiamo invitata (lei non veniva a trovarci), a noi sembrò che avesse perso anche la normale capacità di leggere i fatti.
La confusione che offusca e indebolisce, io qui sostengo, è tra politica e potere, e si crea quando si arriva, per così dire, alla distanza giusta, là dove la cosa da fare sarebbe contendere alla logica del potere i gesti e le parole della politica capace di dare senso alle cose e, se necessario, di cambiare il mondo, in piccolo o in grande. Invece del contendere (ma non sono affatto sicura che questa sia la parola esatta), c’è un arrabattarsi, un andare a tentoni, un tentare compromessi e un sostanziale adattarsi la cui unica alternativa finisce per essere quella di andarsene.
Quelli che dicono “bisogna sporcarsi le mani”, hanno la stessa confusione in testa. Tra politica e potere è inevitabile che vi sia una commistione reale, io credo, per più ragioni fra le quali la più forte è quella che sappiamo, l’appetito onnivoro del potere. Ma è altrettanto necessario combatterla, sapendo che c’è politica quando si è mandata indietro l’invadenza del potere, in qualche modo, non importa quale, purché sia senza cedere né concedere alla sua logica. Pur essendo questo un tema per me nuovo sul quale ho un’esperienza non piccola ma scarsamente esplorata con la riflessione personale e condivisa, so con certezza che la prima cosa da fare è la chiarezza mentale dentro alla propria testa. Faccio un esempio che mi riguarda. Raccontavo lo scambio (insoddisfacente) avuto con la caporedattrice di una casa editrice che sta perdendo l’anima (a mio giudizio): è stata gentile, dicevo, mi ha dedicato del tempo, ma non ha dato risposte significative, è rimasta sul generico, non reagiva agli argomenti, insomma io ho sentito che “lei non aveva il potere di decidere”. No! Le ultime parole riflettono la confusione che dicevo; quello che intendevo e che dovevo dire era un’altra cosa, che la mia interlocutrice mancava di passione, forse di anche di competenza, sicuramente di coinvolgimento, in un lavoro che domanda queste qualità. Il potere c’entra, sì, ma in seconda battuta, nel senso che, laddove mancano energia pensante e voglia di esserci, esso subentra ipso facto. Questo esempio mostra come la chiarezza mentale, che è sempre anche una questione di linguaggio, sia indispensabile per leggere i fatti come anche per non trovarsi, senza volerlo, a favorire l’invadenza reale del potere. Le due cose sono strettamente collegate e mi suggeriscono un pensiero ulteriore, circa la tendenza a esagerare il potere del potere. Lo facciamo per paura, seduzione, servilismo, sentimenti coperti spesso dal moralismo e complicati da reazioni difensive, ma non c’è dubbio che questo fondo torbido del nostro animo può decantarsi con un lavoro del pensiero e del linguaggio sulla nostra esperienza intorno a questo tema, a partire dal paradosso di vivere in un mondo che per tanti, troppi aspetti sembra all’oscuro della mia e vostra libertà.

sabato 15 novembre 2008

Spunti e riflessioni da altri gruppi...e quanti gruppi!

Tramite Radio Onda Rossa di Roma (potete ascoltarla on line, il martedì pomeriggio c'è lo Spazio autogestito da femministe e lesbiche, che passa un sacco di informazioni, forse potremmo inserire questo riferimento nella sezione Link, quando avremo deciso come impostarla: http://www.ondarossa.info/mar.php)ho scoperto che tanto nell'Onda, il movimento studentesco, quanto in alcuni atenei sta emergendo una specifica posizione di genere, con documenti e indagini.
Nella trasmissione che ha fatto Onda Rossa stamani sono stati riportati i risultati di un monitoraggio sul genere nell'università italiana, che include tutte le fasce: dagli studenti ai rettori (sì, al maschile: basta sentire le percentuali!). Contatto la Radio e chiedo se possono passarmi questi dati, la fonte, i soggetti promotori.
Nel frattempo riporto il link a "Figlie femmine. Collettivo Universitario Femminista" http://figliefemmine.noblogs.org/
C'è un loro documento che mi pareva interessante riportare e che potrebbe offrire spunti per la nostra analisi del genere nell'Università. Il tetto di cristallo ricorre!
Copio e incollo qui sotto (gli ho notificato che ho linkato il loro documento sul nostro blog):

Su DL 133 e 137, PENSIERI FEMMINISTI SULL'AUTORIFORMA
Come femministe che lottano, si muovono e creano saperi all'interno dell'università crediamo sia fondamentale un'analisi dal punto di vista di genere degli ultimi decreti legge in materia di istruzione e welfare. Prendiamo parola come componenti del movimento sulla reale condizione delle donne nel sistema universitario attuale, con la volontà di portare un contributo alla critica dell'esistente e alla volontà di autoriforma espressa dalle studentesse e dagli studenti.
Partiamo dalla pesante ricaduta che ha lo smantellamento del welfare, di cui i decreti Tremonti-Gelmini sono espressione, sulle donne e sulla nostra libertà di autodeterminazione. Oltre a delegare la nostra salute ad enti privati, tagliando fondi ai Consultori e persino ai Centri Antiviolenza, promuove una retorica familista neo-fascista, in cui il lavoro di cura si riversa completamente sulle spalle delle donne, ancora una volta ricacciate in casa a occuparsi di bambini e anziani. La famiglia è il luogo primario delle violenze contro le donne e del controllo sui nostri corpi e sulle nostre vite. Un'altra conseguenza è la gerarchizzazione femminile su linee razziali e di classe del lavoro di cura che si traduce in una regolazione dei flussi migratori sulla base dei servizi che il pubblico non vuole più garantire.
Il DL 137 riduce il tempo scolastico a 24 ore settimanali, decretando la scomparsa del tempo pieno. Questo pone fine ad un progetto pedagogico avanzato e decreta una divisione di classe tra madri che possono pagare per lasciare i bambini a scuola e madri che saranno costrette a pagare col proprio tempo e progetto di vita, tenendoli a casa, visto e considerato che ancora oggi gli uomini-padri non sembrano condividere quanto dovrebbero il lavoro di cura. Meno tempo a scuola e classi differenziali per migranti significano precisa volontà di discriminazione e pongono le basi per un'educazione razzista, xenofoba, sulla scorta di un "pensiero unico" catto-fascista.
L'insegnamento nelle scuole primarie è tuttora demandato alle donne. Questa femminilizzazione dell'educazione comporta il perpetuarsi dello stereotipo che ci vuole inserite all'interno del mondo dell'istruzione solo nei gradi più vicini alle funzioni materne. L'enorme presenza di donne nelle scuole elementari e la decisione della Gelmini di imporre alle classi una maestra unica comporta il futuro licenziamento di massa delle donne. La "razionalizzazione" del personale ATA sancita nel DL 133 significa anch'essa licenziamenti per le donne, che rappresentano due terzi dei lavoratori, e incide ulteriormente sull'occupazione femminile che nel nostro paese non può vantare dati dignitosi. Le modifiche all'iter di richiesta del part-time, che diventa una "concessione dell'amministrazione" penalizzano ancora una volta le donne che in un numero maggiore usufruiscono di questa modalità lavorativa.
La critica al DL 133, nella parte riservata alla "riforma" dell'Università, che in realtà sancisce tagli economici, di personale e la trasformazione dell'Università pubblica in fondazioni private, non può esimersi da un'analisi delle nefaste condizioni del sistema universitario precedente. In particolare è un sistema che per le donne rappresenta ancora un "tetto di cristallo". Le donne laureate superano di gran lunga il numero di uomini laureati ogni anno, il numero di ricercatrici di III Livello (precarie e sottopagate) è in aumento, ma risulta in decremento il dato sulle ricercatrici di I livello, il numero di docenti ordinarie è inferiore alla media europea, e nel CRUI (Conferenza Rettori Università Italiana) ci sono solo 2 donne su 67 membri, che rappresentano il 2, 6% contro il 25% francese. Il sapere è di fatto in mano maschile come in tutti gli ambiti economico-politici italiani, e si traduce nelle tante forme di potere patriarcale.
Riteniamo che il blocco del turn-over al 20% penalizzerà ulteriormente le donne, e le possibilità di ricerca sui saperi "non convenzionali" per il sistema italiano e in particolare sui "grandi assenti" Gender Studies. Con i tagli e senza una precisa volontà politica, la sperimentazione nella ricerca non è ammessa, la razionalizzazione finisce per limitare anche la ricerca tradizionale e a mercificare il sapere.
Da una parte in Italia, a differenza da tanti paesi europei e extraeuropei non esistono Lauree triennali in Studi di Genere. D'altra parte quando si traducono in insegnamenti all'interno di triennali o specialistiche vengono trasmessi dal punto di vista metodologico come specificità, senza metterne in pratica gli aspetti di messa in discussione della didattica ufficiale e delle asimmetrie di potere (si ripropone la lezione frontale, nozionistica…). I temi degli studi di genere si ritrovano a dover stare all'interno di compartimenti stagni limitanti, e, dove esistono, vengono relegati a nicchie di saperi che non prevedono la contaminazione con gli altri, neutralizzandone la natura trasversale a tutti gli altri insegnamenti. Non è prevista inoltre l'integrazione della didattica ufficiale con saperi che provengano dal basso, da soggettività altre, come le espressioni di movimento della società civile, in questo caso di donne femministe e lesbiche. Questo provoca l'esclusione di temi che noi consideriamo fondamentali per la formazione ma che il "sistema" non considera neutri, perciò sufficientemente scientifici o razionali. Ad esempio sembra impensabile proporre tesi di ricerca o addirittura corsi sull'autodeterminazione delle donne, sulla sessualità, sul sex work, sulle esperienze e la storia dei movimenti lgbtqi o sul transessualismo. Sono temi che, se portati dal basso all'interno dell'università possono aprire delle brecce, mettere in discussione l'intera impalcatura patriarcale sulla quale si regge il sistema di sapere-potere interno ed esterno all'università stessa.
Crediamo che la volontà di autoriforma non possa prescindere da un'analisi di genere sul sistema universitario italiano. Se l'onda decidesse di omettere questa critica, finirebbe per riproporre quel concetto di "neutralità" che finisce per escludere le esistenze, resistenze e desideri di tutte e tutti.

Figliefemmine (Bologna)
Per adesioni: figliefemmine@inventati.org

Manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne, 22 novembre a Roma

Ho pensato di riportare l'appello alla Manifestazione. Lo stesso e tutte le informazioni (logistica, collettivi coinvolti, come fare per aderire ecc.) su
http://flat.noblogs.org/
dove c'è anche una sezone Materiale con volantini ecc. da stampare per pubblicizzare la manifestazione
Interessante anche http://femminismo-a-sud.noblogs.org/

Corteo di donne autorganizzato
ROMA, 22 NOVEMBRE 2008
P.zza della Repubblica, ore 14.00- Roma
INDECOROSE E LIBERE!
La violenza maschile è la prima causa di morte e di invalidità permanente delle donne in Italia come nel resto del mondo. La violenza fa parte delle nostre vite quotidiane e si esprime attraverso la negazione dei nostri diritti, la violazione dei nostri corpi, il silenzio.

Un anno fa siamo scese in piazza in 150.000 donne, femministe e lesbiche per dire NO alla VIOLENZA MASCHILE e ai tentativi di strumentalizzare la violenza sulle donne, da parte di governi e partiti, per legittimare politiche securitarie e repressive e torneremo in piazza anche quest’anno perché i governi cambiano ma le politiche restano uguali e, al giorno d’oggi, peggiorano.

In un anno gli attacchi alla nostra libertà e autodeterminazione sono aumentati esponenzialmente, mettendo in luce la deriva autoritaria,sessista, e razzista del nostro paese. Ricordiamo il blitz della polizia al policlinico di Napoli per il presunto aborto illegale, le aggressioni contro lesbiche, omosessuali e trans,contro immigrate/i e cittadine/i di seconda generazione. Violenza legittimata e incoraggiata da governi e sindaci-sceriffi che vogliono imporre modelli di comportamento normalizzati in nome del “decoro” e della “dignità” impedendoci di scegliere liberamente come condurre le nostre vite.

La violenza maschile ha molte facce, e una di queste è quella istituzionale: vorrebbero risolvere la crisi economica e culturale che stiamo vivendo smantellando lo stato sociale. Per salvare le banche, rifinanziare le missioni militari all’estero e militarizzare le nostre città tagliano i fondi ai centri antiviolenza, ai consultori e a tutti i servizi che garantiscono alle donne libertà, salute e indipendenza.

Con la legge 133 tagliano i fondi alla scuola e all’università pubblica per consegnare l’istruzione nelle mani dei privati determinando la fine del diritto ad una istruzione gratuita e libera per tutte/i.

Con il decreto Gelmini, migliaia di insegnanti, maestre precarie, perdono il posto di lavoro, e viene meno un sistema educativo - il tempo pieno - che sostiene le donne, consentendo loro una maggiore libertà di movimento e autonomia.

L’obiettivo delle riforme del lavoro, della sanità, della scuola e dell’università è di renderci sempre più precarie e meno garantite:mogli e madri “rispettabili” rinchiuse nelle case, economicamente dipendenti da un uomo, che lavorano gratuitamente per badare ad anziani e bambini.

Non pagheremo noi la vostra crisi!

Vogliamo reagire alla violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale e religiosa agita verso di noi, in famiglia e fuori, "solo" perché siamo donne.Vogliamo dire basta al femminicidio.

SABATO 22 NOVEMBRE

SAREMO DI NUOVO IN PIAZZA COME FEMMINISTE E LESBICHE

PER RIBADIRE

con la stessa forza, radicalità e autonomia che la VIOLENZA MASCHILE non ha classe né confini, NASCE IN FAMIGLIA, all’interno delle mura domestiche, e NON È UN PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO MA E' UN PROBLEMA DI ORDINE CULTURALE E POLITICO!

E AFFERMARE CHE

al disegno di legge Carfagna, che criminalizza le prostitute e impone regole di condotta per tutte, che ci vuole dividere in buone e cattive, in sante e puttane, in vittime e colpevoli, noi rispondiamo che SIAMO TUTTE INDECOROSAMENTE LIBERE!

al decreto Gelmini che ci confeziona una scuola autoritaria e razzista, noi rispondiamo che VOGLIAMO TUTTE 5 IN CONDOTTA!

ai pacchetti sicurezza e alle norme xenofobe che ci vogliono distinguere in cittadine/i con e senza diritti, rispondiamo che SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE!

Bozza questionario Identità di genere

Ecco le domande che nella riunione scorsa, 12 novembre, abbiamo pensato di inserire nel questionario da distribuire alle studentesse, in classe, tramite la segreteria ecc. Inizialmente intendevamo anche esplorare la percezione che le giovani donne hanno del femminismo, il loro rapporto con quella memoria e quella storia. Poi si è pensato che questa è in realtà un'area tematica differente da quella relativa all'identità di genere (ma per come l'abbiamo impostato forse stiamo parlando di “coscienza” di genere).
Il fine vorrebbe essere farsi un'idea del modo in cui le ragazze vivono, diciamo, la loro differenza, se la loro esperienza di genere è positiva, se c'è la percezione di una problematicità associata alla condizione femminile. Non so se sto ricostruendo fedelmente il “nostro brain storming”, in caso integrate, correggete ecc. Le altre che non erano presenti che ne pensano?
Soprattutto, dovremmo fare tutte l'enorme sforzo di provare anche solo mentalmente a rispondere a queste domande, per verificarne l'efficacia/comprensibilità....io ho provato e non mi riesce proprio bene. Non so, forse perché so già a cosa mirano le domande...oppure ho bisogno di un analista?!

1)Donne e uomini sono uguali? Perché?
2)Ti senti diversa dai tuoi coetanei maschi? Perchè? (se si mettesse semplicemente “maschi”?)
3)Cosa pensi di avere in comune con le tue coetanee femmine? (idem)
4)Ti piace essere donna? (non mi ricordo più se si era poi deciso di lasciarla in questa posizione o metterla in apertura o in chiusura)
5)Pensi che nella nostra società siano più avvantaggiati gli uomini o le donne?
6)Le donne di oggi sono diverse da quelle di ieri?
7)Come donna, per quale obiettivo di batteresti?
8)Cosa è l'identità di genere per te? Oppure: cosa si intende per....? L'espressione....ti dice qualcosa?

Report incontro 12 novembre

Care,
provo a riportare in sintesi quello che ci siamo dette all'incontro di mercoledì 12.
Al gruppo si è aggiunta Marzia Pieri, che insegna teatro (pardon per la semplificazione) alla Facoltà di Lettere. Personalmente ho trovato molto utili le domande che ci ha posto sulle motivazioni,il senso e gli obiettivi del nostro percorso, domande che hanno chiamato in causa molti dei temi emersi nelle prime giornate, temi su cui il nostro bisogno di confronto sembra non esaurirsi mai (anche se ho trovato affascinante constatare come a prendere posizioni su questi temi siano state anche le ragazze che a loro volta li avevano sollevati all'inizio: per carità, la discussione proseguirà senza dubbio, ma ho trovato che il gruppo sia cresciuto sia nel numero che nella consapevolezza). Ecco i temi: il nodo universalismo/genere; la continuità/interruzione dell'esperienza di genere tra le generazioni; il femminismo come esperienza superata o piuttosto cancellata; la maggiore/minore libertà delle donne di oggi rispetto ai modelli di ruolo di genere e alle prescrizioni della femminilità convenzionale. Qui è iniziato un gioco di proiezioni, ipotesi e specchi: continuavamo tutte a evocare queste “ragazze di oggi”, le “altre” rispetto alle giovani del nostro gruppo, attribuendo loro conquiste e desideri, restrizioni e obiettivi, a chiederci se madri femministe hanno generato figlie conformiste, a risponderci che forse queste figlie sono più libere ma meno liberate, no, forse più liberate ma meno libere...insomma, c'è venuto il dubbio che forse fuori dalla nostra cerchia di amicizie, fuori dai seminari in aula m ci sia un mondo che non conosciamo, e che continuiamo a rappresentarci (e, aggiungo, al quale a volte crediamo di dare voce...)
Un dubbio che è arrivato, come dire, a fagiuolo, perchè ha rilanciato con forza la faccenda del questionario. Ve la riassumo nella sezione "Gruppo di lavoro Questionario sull'identità di genere".

sabato 8 novembre 2008

Resoconto mercoledì 5 novembre

L'ultima riunione nonostante la scarsa affluenza, data la concomitante riunione della Facoltà di Lettere, è stata particolarmente fattiva. Si è badato principalmente ad aspetti organizzativi, riguardanti gestione del lavoro e programmazione delle attività.

Secondo indicazione della Professoressa Pereira la prima uscita in pubblico potrebbe consistere nella proeizione di due film: “Vogliamo anche le rose” e “un'ora sola ti vorrei” con la regista Alina Marazzi presente, a seguire dibattito.

Punti principali della seduta son stati la riorganizzazione del blog e l'organizzazione in sottogruppi di lavoro, temi che vanno di pari passo. Infatti le varie sezioni del blog rispondono alle tematiche-attività che pensiamo di affrontare.

In particolare:

- il glossario, attività che prevede la partecipazione di tutte noi. In una prima fase si è pensato di postare sul blog il valore che ognuna, personalmente, attribuisce al termine in questione; a seguire un incontro con un' esperta o comunque una persona con un bagaglio storico-filosofico-tecnico per analizzarne le radici e le varie accezioni possibili.

Il primo termine che verrà analizzato sarà “FEMMINISMO”. Ripeto: siamo tutte invitate a postare sul blog una nostra riflessione.

- il sondaggio, per mantenere un contatto con la realtà e per sondare l'opinione comune attuale su temi cari al femminismo. Questo progetto verrà portato avanti tramite dei questionari che verranno resi disponibili alla segreteria degli studenti. La formulazione delle domande da fare, la modalità (crocette o risposta aperte) sono ancora da definire. Chi sia interessata si rivolga a Pina (ci stai a far da capogruppo?). Io personalmente mi sono poi impegnata per delle interviste, anche le modalità di questo aspetto sono ancora da definire. Attendiamo la presentazione della Professoressa Pereira per avere chiari i termini in cui formulare sia a i questionari che le interviste.

- mappatura dei soggetti femminili all'interno delle università. Ossia quanto il genere influisca a livello di carriera, di stipendi, che rapporto ci sia tra l'assunzione da parte di docenti maschi e docenti donne, e altri criteri. Gi enti che verranno contattati saranno senza dubbio l'assemblea dei precari e il comitato pari opportunità. E' stata poi citata l'indagine dell'Istat sulla famiglia del 2006, documento che sarebbe interessante affrontare. L'agenzia specializzata in indagini statistiche a cui ci si potrebbe rifare si chiama “le nove”, composta da sole donne sulle donne.

- relazioni esterne. Un gruppo deve necessariamente occuparsi della comunicazione, a partire dal blog fino all'organizzazione degli eventi. Chi è interessata o ha conoscenze o competenze organizzative è pregata di farsi avanti.


La sistematizzazione del blog, che Valentina ha già fatto, segue dei criteri tematici e prevede quindi:

- la sezione degli appuntamenti “calendario”;

- la sezione dei “report” con resoconti dei vari incontri,

- la sezione “glossario” che punta all'analisi e alla ri-significazione delle parole,

- la sezione dedicata alle mater auctores, definite più affettuosamente “madri”, ossia i nostri punti di riferimento “intellettuali”, quindi articoli, bibliogafie varie, punti di riferimento. Per ora questa sezione è nominata riflessioni.

Spero di non aver dimenticato niente, se ho interpretato male qualcosa od omesso questioni importanti, ditemelo.

A presto

Veronica

martedì 4 novembre 2008

Contiamoci

Contiamoci un po' allora, che ne dite? Chi viene mercoledì? Io posso venire, propongo di contarsi per non arrivare proprio in due. A me sembra che adesso ci sia da prepararsi al grande salto, ossia organizzarsi per sviluppare le idee che abbiamo buttato sul tavolo; secondo me sarebbe meglio utilizzare di più il blog per proposte, correttivi, indicazioni di interesse e poi concretamente riassumere in proposte operative e gruppi di lavoro. Ci sono già molte cose da fare: la "comunicazione" (mailing list, spottino, iniziativa pubblica, sito e gestione blog); l'organizzazione del lavoro sul glossario (questionario/indagine; ipotesi sui lemmi; impostazione e successione degli incontri); l'ipotesi preliminare sulla mappatura e i suoi criteri (secondaria, abbiamo detto, all'emersione di parole-chiave negli incontri relativi al glossario; ma bisognerà pure che qualcuna più delle altre ascolti questi incontri con l'orecchio o la penna piegati ad hoc; che rappresenti un punto di riferimento per chi vuole o vorrà parteciparvi eccetera); la verifica sul progetto mappatura e il coordinamento col comitato PO (per la raccolta dei dati in possesso dell'amministrazione) ed eventualmente con l'assemblea dei precari ecc.ecc. Insomma ognuna dovrebbe farsi carico di una piccola parte organizzativa e progettuale, fermo restando che andiamo avanti insieme; ma i fili vanno retti se no si aggrovigliano! sono i secoli di telaio che parlano in me :-D.
PS pensavo di guardare quando arrivano le prime donne docenti e le prime studentesse a Siena, ora vedo che cosa trovo

sabato 1 novembre 2008

Proposte e decisioni da prendere

Care,
riassunto della scorsa puntata, che ha visto altre due new entry: Maria Grazia, un'assegnista di ricerca in diritto del lavoro, e Krizia, studentessa di filosofia. Abbiamo deciso di iniziare a lavorare su progetti concreti e quindi strutturare maggiormente i nostri seminari, sulla natura e finalità dei quali è tuttavia necessario un confronto.

IMPOSTAZIONE DEI SEMINARI: fino a questo momento, essendo il numero delle presenti raramente superiore a 10, è stato possibile istituire una modalità dialogica che alcune, soddisfatte, chiamano “autocoscienza” o “partire da noi stesse” e che altre chiamano con gli stessi termini ma non con la stessa soddisfazione (o non con quella di una volta, a seconda della biografia!). In ogni caso, questa modalità si applica a un gruppo ristretto, mentre forse è il momento di iniziare a farsi conoscere e allargare il gruppo, se vogliamo creare cambiamento. L'incontro con l'assemblea permanente, cui partecipano stabilmente alcune delle “nostre” ragazze, è una prima occasione. Poi dovremo pensare allo spottino su facoltà di frequenza, alla mailing list di ateneo (come suggeriva Francesca) e, soprattutto, a un'iniziativa pubblica.
Tutte d'accordo sull'allargare le partecipazioni. Teniamo presente che, se da questi contatti dovessero uscire 4 persone in più, nessun problema, ma se ne escono di più dobbiamo avere anche progetti ben impostati da proporre. Credo che ci sia qualcosa di potente in questo gruppo, in questo argomento, in questi pomeriggi, che si manifesta in modo imprevedibile e dirompente, e che non sopporterà di essere gettato sul palcoscenico senza essere sicuro di saper recitare. O meglio, performare. Vabbè, meglio se ve lo spiego a voce.
PROGETTI E ATTIVITA'. L'idea è che, se riusciamo a coinvolgere molte donne, potremmo dividerci in gruppi di lavoro, che vanno avanti parallelamente ai seminari, e in cui le persone che mano a mano si aggiungono possono scegliere di inserirsi. Il blog può essere usato come una bacheca elettronica, in cui creeremo sezioni che descrivono i diversi progetti in corso; le responsabili di area (o, meglio, a turno le diverse partecipanti) aggiorneranno sinteticissimamente sullo stato dell'arte, cosicché ogni persona nuova saprà a che punto siamo e a chi rivolgersi per inserirsi qui o lì.
Dei progetti seguenti, il primo occuperà i seminari e per realizzarlo bastiamo già quelle che siamo, il secondo occupa i seminari solo in fase di impostazione e può essere realizzato tramite contributi individuali delle interessate, il terzo invece è uno “spin off” del gruppo e (forse, ma leggete) necessità più persone delle attuali.

1)IL VOCBOLARIETTO. Approvata entusiasticamente da tutte le presenti l'idea di realizzare il glossario storico (o, in modo più confidenziale, il “vocabolarietto”) proposto da Valentina in uno degli ultimi suoi post (visibile cliccando sui commenti al mio report “Memorie dal tuo stesso paese”). Esempi: femminismo, identità di genere, pari opportunità, differenza, scarto dalla norma, posizionamento, performare il genere ecc. Gli interventi di ciascuna di noi e la relativa ora di discussione potrebbero essere pensati intorno ai termini/locuzioni che di volta in volta affronteremo. A questo punto le competenze e i saperi rappresentati all'interno del gruppo sono numerosi, e numerosi gli sguardi che possiamo far convergere su ciascun oggetto. Ovviamente è prevista anche una produzione scritta, una scheda, tipo enciclopedia. Come metodo per aiutarci a scardinare i sedimenti culturali e tentare di risignificare alcune zone del linguaggio forse in effetti potremmo partire da noi, descrivendo quale risonanze, quali coloriture ha un certo termine nel nostro vissuto e immaginario (nella consapevolezza che veniamo da studi diversi, e che, se alcune espressioni sono specialistiche o altamente codificate, e definiscono fenomeni/oggetti precisi, magari altre sono meno connotate perché non “residenti”, mutuate da altri ambiti). Quindi:
a) VOTA IL TUO LEMMA! Da cosa vuoi partire? Tutte abbiamo detto “femminismo”. Ok, e poi?
b)Potrebbe essere interessante fare una piccola indagine sul senso comune, ovvero verificare quali significati si associano ad alcuni di questi termini presso gli studenti (o solo le studentesse) che non hanno frequentato corsi sulle tematiche del genere. Una cosa breve, un po' sul modello Cera di Cupra (concorso in cui si chiedeva di commentare delle citazioni) ma con un limite di spazio, magari prepariamo un foglio e lo distribuiamo nelle diverse classi delle diverse facoltà in cui lavoriamo. Su alcuni termini secondo me si può fare (femminsimo, genere, sesso). Sarei curiosissima.
2)LA MAPPATURA DEL CAMPO. L'idea, proposta da Lola, di monitorare i soggetti e le realtà che operano nell'ambito del genere, per fare rete, per essere inserite tra i loro contatti, per linkarle dal nostro blog. Però vorremmo che questa mappatura e successiva organizzazione dei link avvenisse su base tematica, a fronte dell'individuazione di parole chiavi, sotto cui raccogliere i diversi soggetti. Come diceva Maria Grazia, probabilmente la realizzazione del vocabolarietto o almeno il confronto sui termini da inerire saranno un primo passo per l'individuazione dei criteri di ricerca, che poi ognuna fa per conto suo, se ha voglia, esplorando la rete.
3) L'INCHIESTA SUL GENERE NELL'UNIVERSITA'. Anche su questo rimando al post di Valentina. Non abbiamo discusso troppo dei contenuti ma del modus operandi: ovviamente un lavoro del genere è mooooolto impegnativo. Se vogliamo fare in modo che sia un progetto che procede indipendentemente dal “ricambio” entro il nostro gruppo, è necessaria un'impostazione precisa, una formalizzazione delle pratiche, una continuità nel tempo e, naturalmente, molte, molte persone che ci lavorino.
Alternativa: iniziamo subito, senza aspettare di avere molte partecipanti: chi è interessato a questo progetto, di cui si dovrebbe ovviamente parlare prima, potrebbe coordinarsi con l'Assemblea Precari e collaborare alla loro indagine, che riguarda i soli precari, ma insomma, sarebbe un primo passo anche per testare le metodologie e capire come inserire la variabile di genere, no? La prossima assemblea di loro è martedì 4 alle 2 a Economia, io vado, se c'è qualcuno che viene con me possiamo proporre la cosa e dare le nostre disponibilità a partecipare. Vi riporto un estratto da una recente mail:
“dai rappresentanti dei Dipartimenti di Chimica, di Scienze e Tecnologie
Chimiche e dei Biosistemi, e Farmaco Chimico Tecnologico, arriva una
sollecitazione a dimostrare "attraverso un’analisi di tipo qualitativo e
quantitativo, il CONTRIBUTO che questa categoria “occulta” ha nello
svolgimento delle attività di ricerca e didattica all’interno
dell’Università", anche attraverso "un vero e proprio censimento di tutti
i precari". Questa sollecitazione ne incontra altre, e credo sia opportuno
creare un gruppo di lavoro su questo, che valorizzi i dati acquisiti negli
ultimi anni (abbiamo già un data-base di dettaglio dell'Ateneo aggiornato
al 2006 e 2007 con risposte di ricercatori precari dell'Università di Siena a un'inchiesta fatta sempre nel 2006, tutti dati da analizzare e
valorizzare)”.

partecipazione all'assemblea permanente

Salve a tutte!

Per chi non c'era, all'ultimo incontro è venuta fuori l'idea di fare una prima "uscita pubblica" durante la prossima assemblea permanente degli studenti, per far conoscere il nostro lavoro e quindi estendere la partecipazione, in un momento così difficile, ma anche a mio avviso, così fervido e ricco di impegno.
Ho già parlato con Carolina e per lei non ci sono problemi. Con molta probabilità però l'assemblea di mercoledì non sarà fatta al rettorato, ma a fieravecchia. Rimango in contatto con Carolina per avere informazioni più precise. L'idea era quella di mantenere l'incontro delle 14 in aula m per poi spostarsi alle 17 all'assemblea.

martedì 28 ottobre 2008

domani riunione al rettorato?

ma è conferamata la solita riunione di domani alle 14? magari vediamoci al rettorato così organzziamo una giornata a tema feminista. ciao veronica

giovedì 23 ottobre 2008

Un articolo di Lea Melandri

Mi sembra che questo articolo di Lea Melandri, uscito lo scorso 15 ottobre su "Liberazione", ci possa offrire qualche spunto da discutere.

«PERCHE' IL FEMMINISMO NON "SFONDA" PROPRIO ADESSO CHE POTREBBE?
Se è vero che la pacifica "rivoluzione femminista" è l'unica sopravissuta alla fine degli anni Settanta, l'unica che abbia avuto continuità in una vasta proliferazione di gruppi, associazioni, centri culturali e politici, è anche vero che è la più silenziosa, oscillante tra brevi comparse e altrettanto rapide sparizioni. Il pensiero e l'azione politica del movimento delle donne sembra aver perso estensione e radicalità proprio quando è il contesto storico in cui viviamo a richiederla. Un antidoto al populismo, al trionfo dell'antipolitica, al risveglio del fondamentalismo religioso, potrebbero essere proprio quella ‘politica della vita' che discende dalle pratiche e dai saperi degli anni Settanta.
La domanda che viene da porsi allora è questa: perché il femminismo non è riuscito a generalizzare la sua cultura, che riguarda uomini e donne, sfera pubblica e sfera privata? Che difficoltà abbiamo incontrato e incontriamo per sentirci oggi così ‘povere' pur possedendo un sapere prezioso, uno sguardo sul mondo indispensabile per capire i rivolgimenti in atto nel presente?
Faccio un passo indietro e parto da una osservazione elementare: la donna, esclusa dalle responsabilità della vita pubblica, dallo statuto stesso di "umano", identificata col corpo, la natura, la funzione sessuale e riproduttiva, è stata da sempre "oggetto" del sapere. Sono stati i saperi, oltre che i poteri, della comunità storica degli uomini a definire che cosa è "femminile", a esercitare, più o meno direttamente, sui corpi, sulla vita psichica e intellettuale delle donne, controllo, imperio, sfruttamento, violenza o, al contrario, esaltazione immaginaria. Attraverso i saperi passa la violenza manifesta di un dominio, ma anche e soprattutto quella violenza più insidiosa, perché invisibile, che è l'interiorizzazione di un'immagine di sé dettata da altri: un modo di pensarsi, di sentire, di essere, che fa propria la lingua e la visione del mondo dell'altro. Quando esclude le donne dal "contratto sociale", quando descrive l'educazione della femmina, destinata a vivere «in funzione degli uomini», «piacere e rendersi utile a loro», Rousseau, il padre della democrazia moderna, sa di poter contare sul sentire comune delle donne, un sentire fatto di adattamenti, resistenze, ma anche strategie di sopravvivenza - come il potere che viene dal rendersi indispensabili all'altro, l'uso sapiente di potenti attrattive, come la maternità e la seduzione.
Uscire da questa pesante eredità storica ha comportato, per le donne, un doppio "scarto": smascherare la falsa neutralità dei saperi creati dal sesso maschile, ma anche sradicare quella che Sibilla Aleramo, già all'inizio del ‘900, chiamava «una rappresentazione del mondo aprioristicamente ammessa e poi compresa per virtù di analisi». L'analisi che Aleramo affronterà in solitudine, attraverso un processo continuo di "svelamento" e costruzione dell'«autonomia dell'essere femminile», è diventata poi nel femminismo degli anni Settanta la "pratica dell'autocoscienza": un modo di procedere originalissimo, che tiene insieme scavo in profondità, modificazione di equilibri psichici profondi ("presa di coscienza"), e costruzione di sé come individualità che si pone per la prima volta nella sua interezza: corpo pensante, o pensiero incarnato, sessuato.
Quello che avviene negli anni Settanta, dunque, non è solo l'ingresso massiccio delle donne nella vita pubblica - lavoro extradomestico, istruzione, urbanizzazione, impegno politico, ecc. -, e neppure solo la nascita di una soggettività femminile singolare e plurale . E' una rivoluzione (pacifica) che va alle radici dell'umano, riportando alla storia quanto di umano è stato "naturalizzato", sottratto perciò a possibili cambiamenti, una ridefinizione del confine tra privato e pubblico, che sovverte l'atto fondativo stesso della politica, che interroga tutte le costruzioni storiche della civiltà dell'uomo a partire dal pensiero che le sorregge: un pensiero che si è strappato dalle sue radici biologiche e che su questa scissione originaria ha costruito tutte le dualità che conosciamo. Prima fra tutte, quella tra i ruoli del maschio e della femmina. Quella che si profila, attraverso una inedita coscienza e parola femminile, è un'idea diversa di cultura, di storia, di democrazia, di libertà, di politica. Non si tratta di un "sapere" che si aggiunge ad altri, un'iniezione vitale di conoscenza, che va ad integrare, o «fecondare la sterile civiltà dell'uomo» - secondo l'idea di complementarietà che ha accompagnato l'emancipazione di inizio Novecento -, ma di un processo formativo e cognitivo che ha osato addentrarsi nelle «acque insondate delle persona» , in una «materia segreta, imparentata con l'inconscio», e che da lì, da quelle «lande deserte», da quella "preistoria" pietrificata, ha cominciato a guardare con occhi diversi la storia, a sovvertire l'ordine esistente.
«Che cosa avverrà delle istituzioni quando si accorgeranno di essere funzionalizzate a un sesso solo?» (Rossana Rossanda, Le altre, Feltrinelli 1979).
E' con questa domanda che il femminismo tentò allora di costruire un proprio "lessico politico", ridefinendo parole già in uso - democrazia, uguaglianza, libertà, organizzazione, ecc. -, e introducendone delle nuove, frammenti di una teorizzazione che aveva come punto di partenza e di analisi il "sé", rivisitato attraverso la pratica dell'autocoscienza (Lessico politico delle donne, a cura di Manuela Fraire e Biancamaria Frabotta, 1978, ristampato da Fondazione Badaracco-Franco Angeli 2002).
La cultura femminista degli anni Settanta rappresenta un eccezionale equilibrio tra un sapere inteso come processo formativo - aderenza alla memoria del corpo, all'immaginario sessuale, all'esperienza particolare di ognuna -, e, al medesimo tempo, come tensione trasformativa del mondo, quale si espresse allora nelle battaglie per il divorzio, l'aborto, il diritto di famiglia, la violenza sessuale. Si potrebbe anche dire che mobilitazioni per i diritti e pratiche di liberazione erano tra loro intersecati: non si voleva che restassero "un pezzo di riforma" isolata dalla messa in discussione della sessualità e dalla cultura dominante maschile. Quello che si stava abbozzando era un sapere che, partendo dalla costruzione di sé, si andava a collocare, con una forte conflittualità, sul confine tra sfera pubblica e privata, che si richiamava al corpo, alla sessualità, alla salute fisica e psichica, consapevole dei segni che la civiltà dell'uomo vi ha lasciato sopra. Era una sfida che le istituzioni non potevano reggere, e che perciò hanno ostacolato e in alcuni casi osteggiato.
Era, come capì lucidamente Rossana Rossanda, «una critica vera, e perciò unilaterale, antagonista, negatrice della cultura altra. Non la completa ma la mette in causa».

Le difficoltà che il sapere prodotto in quel decennio incontra nel riattraversare le costruzioni storiche, nascono dunque dalla radicalità dell'assunto iniziale: un soggetto politico imprevisto e anomalo, quale era la soggettività femminile, collettiva e insieme rispettosa della singolarità, una "presa di parola" che denunciava, non svantaggi o discriminazioni sociali, ma una "espropriazione di esistenza", a partire dal destino toccato alla sessualità femminile, identificata con la procreazione e quindi cancellata come tale - da cui il ruolo "naturale" di madre, la dedizione all'uomo, il sacrificio di sé. Era una affermazione di "libertà" che si poneva però come lento processo di "liberazione" dalle tante "illibertà" interiorizzate: nel vissuto amoroso, nelle relazioni famigliari, nei rapporti di lavoro, nella malattia, nella follia, nell'assuefazione alla violenza quotidiana.
Con l'autocoscienza, il processo conoscitivo si spostava in prossimità del corpo, della memoria che vi si è depositata sopra. Alle generalizzazioni della politica, opponeva il "partire da sé".
«Il blocco - scrisse Carla Lonzi - va forzato una per una, passaggio necessario per la nascita della propria individualità».
Ma questo processo, che interessa la singola, aveva bisogno di un «accostamento di vissuti di ognuna», della presenza fisica delle altre, del separatismo, cioè di relazioni tra donne fuori dallo sguardo maschile. «Il sapere sull'autocoscienza non può sostituire la formazione che avviene praticandola» (M.Fraire). La soggettività femminile nasce in questa particolare relazione tra simili e, in questo senso, l'autocoscienza non è la pratica di una fase storica, non è "a termine", come si legge nella ricostruzione che la Libreriadelle donne di Milano ha fatto di quegli anni (Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, 1987). Insieme al suo portato teorico, è la forma che ha preso il discorso femminile sul corpo, sulla sessualità e che non poteva non fare i conti con la psicanalisi. La sua durata va messa in relazione col fatto che la sessualità non appartiene a questa o a quell'epoca in particolare, non è solo una componente della vita personale, ma una struttura portante della società in tutti i suoi aspetti. Sono d'accordo perciò con Manuela Fraire quando scrive che è stato «uno strumento abbandonato precocemente», e che i suoi frutti maturi sono stati in parte raccolti da certe scritture che ne conservano traccia. Il riferimento è, in particolare, al gruppo milanese "sessualità e scrittura" ("A zig zag", numero speciale, 1978), alle scritture di esperienza dei corsi delle donne (Associazione per una Libera Università di Milano), alla rivista "Lapis. Percorsi della riflessione femminile" (1987-1997).
Difficoltà e ostacoli cominciano a nascere quando il femminismo si estende fuori dai piccoli gruppi di autocoscienza, dai collettivi cittadini, e a entrare negli ambiti istituzionali della cultura e della politica, quando "dal movimento femminista" si passa al "femminismo diffuso". Se l'allargamento era augurabile, evidenti furono anche da subito i rischi che comportava: «un'operazione massiccia di esproprio e ridefinizione del patrimonio prodotto dalle donne, da parte di ambiti istituzionali della politica e della cultura» (Marina Zancan).
Al convegno di Modena sugli "Studi femministi in Italia" (1987), si profilano due orientamenti: uno che vuole tutelare «spazi di autonomia e di autogestione, all'interno dell'università, attivare momento di autoriflessione sulla presenza in quel luogo, definire diversi paradigmi scientifici», «decostruire le discipline con pezzi di sapere esterni ad esse»; in altre parole, mantenere un «pendolarismo tra dentro e fuori l'Università» (Raffaella Lamberti). L'altro, proposto da Luisa Muraro, mira invece a fondare un soggetto forte, una «tradizione» di donne, che come tale ha bisogno di una «autorità» e di un «linguaggio», di un «ordine simbolico» su cui fondarsi. Nella costruzione identitaria di una «differenza femminile» con cui affrontare la vita pubblica, sparisce l'attenzione al corpo, al sé, al vissuto personale, e anche il sapere che ne discende porta i segni di una posizione essenzialistica, rassicurante e destinata ad avere molto seguito, proprio perché sembra portare fuori dalla lentezza e dalle secche delle pratiche di "liberazione".
Rispetto a queste due posizioni, la rivista "Lapis" ha rappresentato un percorso a parte, critico rispetto al "pensiero della differenza", ma anche rispetto al proliferare di "studi di genere" in ambiti accademici. L'intento che muove la redazione è quella di dare continuità e sviluppo alla pratica con cui era nato il femminismo: ricerca di "nessi" tra politica e vita, tra il sapere di sé e i «cento ordini del discorso» di cui pure siamo imbevute; un'autocoscienza capace di interrogare saperi e poteri della vita pubblica; una «geografia, non una genealogia», un sapere che non teme di addentrarsi in «paesaggi inquinati», di scandagliare il rapporto uomo-donna in tutta la sua complessità e contraddittorietà.

Ma torniamo all'oggi, alla domanda su come possa contribuire il sapere delle donne alla costruzione di una "democrazia di genere". Io penso che la cultura prodotta dal femminismo - quella che ha mantenuto un'attenzione al corpo, alla storia personale, al rapporto tra individuo e società - abbia oggi una parte importantissima, non tanto nel dare risposte quanto nel porre interrogativi al contesto in cui viviamo, in modo meno semplicistico di quanto non si faccia di solito, quando si liquida tutto come "barbarie", "irrazionalità", "regressione". Il femminismo, se resiste alla tentazione di restringersi a "questione femminile" - uscita dalla marginalità, riequilibrio della rappresentanza, politiche sociali e famigliari, ecc. -, ha molto da dire, non solo su questioni specifiche, come la procreazione medicalmente assistita, i consultori, la violenza maschile contro le donne, ma su fenomeni che investono tutta la società: la crisi dei partiti, il trionfo dell'antipolitica, il populismo, le politiche sicuritarie, la xenofobia, la crisi della famiglia, le battaglie per i diritti civili, le biotecnologie. Questo comporta, da un lato, recuperare la radicalità dello sguardo, del punto di vista che ha caratterizzato il femminismo ai suoi inizi - quello che ha visto nel rapporto tra i sessi l'impianto originario di ogni dualismo -, dall'altro prendere atto che le problematiche del corpo, e tutto ciò che è stato considerato "non politico", sono oggi al centro della vita pubblica, sia pure sotto etichette che ne occultano il significato politico - ad esempio "questioni eticamente sensibili", "problemi di coscienza". Purtroppo lo sono in modo molto diverso da come ce lo prospettavamo. Sono temi che rimandano a vissuti, esperienze umane tra le più significative, ma che non riusciamo quasi più, non solo a "raccontare", ma a "vivere" come tali, tanto sono intersecate, confuse coi poteri e i linguaggi della sfera pubblica.
Noi volevamo trovare "nessi" tra poli apparentemente opposti, oggi ci troviamo di fronte a un amalgama , in cui privato e pubblico, casa e città, azienda e Stato, sembrano divorarsi a vicenda. Sotto questo profilo si può leggere anche il protagonismo femminile: un esempio inequivocabile è Sarah Palin, un ibrido perfetto di tratti virili e femminili tradizionali. Sempre più spesso è il discorso pubblico a prevalere: non parliamo più di maternità e di aborto, ma di Legge 40 o Legge 194. Altre volte invece sono la vita e le relazioni personali e prevalere: è il quotidiano, la casalinghità, ad assorbire e stemprare dentro il "senso comune" le istituzioni della sfera pubblica.
Per tentare di sciogliere questo agglutinamento pericoloso, di cui si alimenta il populismo, bisogna tornare a interrogare l'esperienza, sapendo che oggi non è più pensabile al di fuori dei vincoli che la imparentano con saperi e poteri istituzionali. Per riappropiarsene occorre un sapere di sé capace perciò di confrontarsi con tutti i saperi specialistici elaborati dalle donne, i quali, a loro volta, devono lasciarsi contaminare, modificare, da quei «barlumi di sapere che vengono dalla lenta modificazione di sé» ("A zig zag" , 1978). Bisogna, in altre parole, imparare quello che Laura Kreyder, redattrice della rivista "Lapis", chiama «un salvifico bilinguismo»: «il ragionare con la memoria profonda di sé, la lingua intima dell'infanzia e, contemporaneamente, con le parole di fuori, i linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle istituzioni» (Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998)
Ma si tratta anche di saper affrontare la conflittualità che questo sapere inedito apre in tutti i luoghi in cui le donne sono presenti».

domenica 19 ottobre 2008

“Memorie dal tuo stesso paese” Report dell'incontro di mercoledì 15 ottobre 2008

QUESTIONI TEORICHE

All'incontro di oggi eravamo una decina, tra cui una ragazza nuova, Giovanna (e si è riunita al gruppo anche Lola). Dati i nuovi arrivi, abbiamo approfittato per ri-presentarci e ri-descrivere le ragioni della nostra partecipazione al seminario. Vuoi per la necessaria brevità di questo secondo “outing”, vuoi perché molte di noi sono al terzo incontro, ho avuto la sensazione che le risposte fossero diverse dalla prima volta e che tutte abbiamo messo maggiormente a fuoco aspettative e obiettivi. Bene. Ma certo l'oggetto (delle nostre discussioni, del nostro disagio, del nostro desiderio....) continua a illuminarsi in modo intermittente, e non appena ti sembra di averlo afferrato, trasparente come una biglia di vetro da tenere sul palmo della mano e offrire allo sguardo delle altre, ecco che improvvisamente si appanna di nuovo e rotola via, verso i territorio del non intellegibile, non dicibile, non condivisibile (poetica, eh? Deve essere la foto di Brunetta che sorride dalla prima pagina del giornale accanto a me....).

Comunque: detto così sembra un po' tautologico, anzi, diciamo che fa proprio ridere, ma all'alba del terzo incontro e dopo numerosi confronti, pare che ciò che interessa a tutte – pensate un po'! - sia la riflessione sulla/l'elaborazione della nostra identità di genere. Quindi mi dispiace: niente corso di Origami! Scherzi a parte, non so se è la mia percezione individuale, ma davvero credo che questa sia una piccola conquista, e perdonatemi le metafore militar-territoriali, però davvero penso che abbiamo picchettato un'area comune, trasversale alle generazioni e alle appartenenze. Voglio dire che a volte mi è sembrato che “identità di genere” e “differenza” fossero parole in codice, parole che che usavamo per “semplificare”, per richiamare posizioni teoriche, letture, sensibilità e modi di stare nel mondo che forse non sono così condivisi da tutte le donne nel gruppo. Invece oggi queste parole davvero hanno preso corpo, per la prima volta, mi pare, avevano senso (o iniziavano a perderlo, che è la stessa cosa) per TUTTE: ognuna poteva agganciarci un pezzetto di vissuto, usarle per rileggere relazioni di una vita o per dare un nome alla sensazioni di un'istante.

Vabbè, non riesco a uscire dal corto-circuito delle parole. Proviamo così, riportando alcuni interrogativi e qualche risposta, che sono stati punti di innesco della discussione e che magari in futuro ci potrebbero servire:

- E' possibile definire un'identità senza il confronto con l'altro (in questo caso, il genere maschile)? E' necessario, sì, ma non rischia di divenire autoreferenziale, di costringere l'orizzonte, come “parlare con uno del tuo stesso paese”?

- Importanza di esplicitare il genere (ma anche il sesso, l'appartenenza etnica ecc.) dell'altro, altrimenti questo altro diviene un soggetto indefinito, che si pretende neutro (e sappiamo che tutto ciò che è stato scritto al neutro e pensato come neutro è in realtà maschile);

- Cosa vuole dire per ognuna/in che modo ognuna fa l'esperienza di “significare la differenza, lo scarto dalla norma”? Lo scarto dalla norma ha evidentemente una grande parentela con il fatto di essere continuamente, nei contesti privati e pubblici più diversi, “sessualizzate” (nel senso di feticizzate, trasformate in oggetti sessuali, ma soprattutto nel senso – persino più grave – di essere identificate, percepite, riconosciute, in primis e in via definitiva, in virtù del proprio sesso.

- In che modo avviene la naturalizzazione, la normalizzazione di quelle limitazioni e ingiustizie di cui siamo vittima e che sono interamente culturali? Esempio: troviamo accettabile, e nemmeno limitante, ma anzi, protettivo, che ci ama ci ricordi la nostra vulnerabilità in quanto donne e ci inviti a comportarci di conseguenza. Noi per prime ci facciamo cooptare da questa logica, la obbediamo come se fosse ineluttabile e quindi la riproduciamo e la rafforziamo (sono donna e quindi fragile, “gli altri” per me possono essere un pericolo: è normale che io debba usare qualche cautela in più rispetto ai miei coetanei maschi). Invece qui di normale, naturale non c'è proprio niente, è tutto culturale: una cultura che indirettamente legittima la predabilità della donna; una cultura, che, di nuovo, ci ha abituato all'assunzione della neutralità dell'altro. Il “problema della sicurezza”, il modo in cui i media lo presentano e l'agenda politica lo usa, il modo in cui noi per prime lo interpretiamo e interpretiamo la nostra posizione (POTERE) in relazione allo stesso rivela con chiarezza il rischio di generalizzazione e quindi mistificazione contenuto nella pretesa di neutralità dell'altro. Ci dicono “gli altri possono essere una minaccia per la tua sicurezza, e lo sono ancor di più se sei una donna”: e se questa paura, che razionalmente rifiutiamo, in qualche modo ci si attacca addosso, è perché anche tutte noi ascoltiamo, diciamo, scriviamo “altri” ma in realtà leggiamo “uomini”. Se il genere dell'altro venisse esplicitato, ne deriverebbe un modo completamente diverso di percepire e affrontare il “problema della sicurezza”: non perché non sia un problema, ma perché chiaramente non si limita alla “sicurezza”. Non so se ho spiegato bene.

PROPOSTE PRATICHE

1) Su suggerimento di Lola, abbiamo pensato che sarebbe molto utile realizzare una mappatura di tutti i soggetti (associazioni, collettivi, movimenti, circoli, gruppi universitari ecc.) che sul territorio italiano si occupano di tematiche di genere. Con possibile link ai loro siti e magari tentativo di instaurare un dialogo quando faremo iniziative allargate. Opinione personale: penso che sia molto utile. Moltiplicare gli interlocutori, realizzare incontri con donne che vengono da altre esperienze e portano altre analisi e altre pratiche, diverse da quelle che maturano entrano l'università, è sicuramente un modo per potenziare il nostro sguardo e la nostra capacità di azione. E è una risposta concreta al fenomeno della segregazione sociale e dei saperi, che, personalmente, mi pare costituisca il principale ostacolo al cambiamento.

2) Abbiamo pensato che sarebbe interessante organizzare delle vere e proprie lezioni, perché tutte abbiamo esigenza di dotarci di strumenti di analisi che siano teoricamente informati: l'idea sarebbe di affrontare la questione dell'identità di genere in primo luogo in chiave storica e filosofica, per definirla in via teorica e conoscere/approfondire le diverse posizioni che si sono affermate in merito (come viene concepito il “genere” entro la corrente angloamericana dei gender studies? E' all'interno di quella italiana e francese del “pensiero della differenza”? In che modo si articola il rapporto tra sesso, genere, orientamento sessuale? Quale delle due posizioni risulta più incisiva nel criticare lo status quo? Ecc..). Poi si potrebbe analizzare la tematica del genere in relazione ad altre (il potere, per dirne una) e nelle sue diverse declinazioni disciplinari (filosofia politica, letteratura, sociologia, media studies, e dico solo le prime che mi vengono in mente, ma insomma, un po' sulla falsariga dei moduli del master. Ho anche parlato con docenti di SDC e lettere e filosofia che sarebbero interessate a partecipare). Ognuna di noi potrebbe contribuire con le sue conoscenze settoriali, e per fare in modo che non si tratti di lezioni frontali e basta, potremmo organizzarle con la prima ora di spiegazioni a carico di chi tratterà le diverse tematiche e la seconda di dibattito. Naturalmente la spiegazione e dibattito possono essere serializzate e proseguire anche all'incontro/incontri successivi, se non esauriamo tutto in uno solo. La presenza di donne che vengono da formazioni e professioni diverse sarebbe sicuramente una risorsa importante per provare a realizzare un collegamento continuo tra le posizioni teoriche e l'esperienza quotidiana e diretta di tutte noi. Se siamo tutte d'accordo, dal prossimo incontro potremmo iniziare a buttare giù uno schema.

3)Se l'assemblea permanente (dalle 17 di ogni giorno al rettorato) dovesse continuare sarebbe bello portare lì i nostri incontri: un modo per contribuire fattivamente al ripensamento delle forme di circolazione del sapere entro l'università, un modo per coinvolgere altre donne. Barbara o Sonia hanno poi preso contatti con le studentesse/gli studenti dell'assemblea per dire questa cosa?