mercoledì 26 novembre 2008

Salve a tutte,
è la prima volta che intervengo nel post. Il mio augurio è che tutto quello che cerchiamo di fare insieme sia l'inizio di una storia che costruisce e la fine di una storia che distrugge. Apprezzo molto la forma dialogica che hanno assunto i nostri incontri, perchè credo che il dialogo ci permetta di assumere la nostra identità, anzichè subirla, in modo più aperto e meno difensivo. L'incontro faccia faccia è un donarsi e aprirsi senza aspettative precostituite, il mondo aspetta il nostro messaggio, anzi ha bisogno del nostro messaggio perchè rappresentativo di un alterità che lo costituisce. Le donne sono sempre state considerate "altre" o "straniere" e grazie ad iniziative tipo queste noi donne ci rendiamo visibili, e tutto ciò influirà non solo sul mondo femminile ma anche sul mondo maschile. Vorrei concludere questo mio primo breve intervento ricordando che il dialogo ha bisogno di donne e uomini (non interpretate questo riferimento in modo polemico) che siano disposti a liberarlo dal suo nascondimento, non ha bisogno di un perchè per esistere, non è un mezzo per raggiungere un obiettivo altro diverso dal dialogo stesso. Il dialogo ci fa emergere dall'ombra e uscire dal pregiudizio!

2 commenti:

Elisa ha detto...

Ciao Verbena,
vorrei commentare in molti modi le tue parole, ma quello che al momento mi viene più congeniale e spontaneo è questo:
:-) :-) :-)

teresa ha detto...

"Il dialogo ci fa emergere dall'ombra e ci libera dal pregiudizio", e non solo. Una donna che voglia porsi come soggetto autonomo e indipendente, deve in prima istanza essere capace di autodefinirsi e nominarsi partendo da sé, e deve essere in grado di significare questo sé partendo dal proprio vissuto e dal racconto di esso. La voce che corre da donna a donna interviene sull'agire comunicativo che non si fonda più sull’unicità del soggetto, ma si costruisce come processo che parte dalla duplicità e dalla volontà di mettersi in relazione.
Il racconto di sé è, allora, la prima essenziale manifestazione di soggettività, proprio perché la parola femminile assume pienamente il valore di significante. Le donne, insomma, danno un nome a se stesse e alle cose. Ma prendere la parola non è in automatico una via di fuga dalla femminilità intesa come inferiorità interiorizzata; la nascita di un soggetto femminile passa certamente attraverso l’espressione, ma può compiersi solo attraversando le strade dell’ascolto e dell’accoglimento della parola femminile. Lo spazio in cui le donne storicamente si sono mosse è quello del silenzio o della parola paterna, lo spazio in cui noi vogliamo muoverci è quello di una parola autonoma che si faccia racconto della situazione in cui una donna fa esistere l’altra, che sia in grado di spezzare il circolo dialettico in cui facilmente si indovina chi è servo e chi è padrone. La parola che nell’incontro e nella relazione dia voce alla coscienza di donna e spazio all’autonomia del soggetto femminile.
Il dialogo, dunque, non solo ci “mette in luce” ma ci pone in essere, è un passo fondamentale verso la costruzione di identità. E, se è vero che il dialogo necessita di interlocutori maschili quanto femminili, è anche vero che “la via del pensiero e della parola autonoma femminile, è quella di mutare il destinatario, facendone un pensiero e una parola che va da donna a donna. In questo senso se possono esservi interlocutori maschili, il destinatario non può invece essere che femminile”.