Buongiorno,
Vi segnalo un articolo di Nadia Urbinati, uscito questa mattina su Repubblica....buona lettura!
http://www.libertaegiustizia.it/primopiano/pp_leggi_articolo.php?id=2791&id_titoli_primo_piano=1
martedì 30 giugno 2009
sabato 27 giugno 2009
Report del 24 Giugno
Presenti: Michela, Pina, Lola, Elisa, Adelaide, Mandana, Teresa, Sonia.
- Nella prima ora ci siamo dedicate alla parte logistica: Michela ha portato le locandine e le brochure della staffetta (davvero belle!!) che sono state divise tra le presenti. Dopo vari scambi e riconteggi, finalmente siamo riuscite a individuare i punti di distribuzione (biblioteche, facoltà, librerie, mense, bar.....) e la quantità di materiale da destinare a ciascun luogo. La staffetta è vicina, quindi abbiamo deciso di non perdere tempo e cominciare subito con l'attacchinaggio selvaggio!
- Teresa ha riportato al gruppo, la proposta lanciata dalle donne del Mara Meoni, di partecipare all'incontro che ci sarà, probabilmente in autunno, con la scrittrice Luisa Muraro, in occasione della presentazione del libro "il mercato della felicità". A parte Michela (che era stata individuata dal Mara Meoni, come possibile interlocutrice), nessuna delle presenti, ha letto il libro. Il fulcro del testo (che emerge anche dal titolo) è il rapporto delle donne contemporanee con un mercato del lavoro sempre più flessibile e precario, che tuttavia riesce, proprio per le sue caratteristiche, a rappresentare una nuova possibilità di emersione e dunque affermazione femminile (aiuto!!!). Ovviamente, tra di noi, questa posizione ha incontrato forti critiche; in ogni caso, sarà necessario (e il gruppo si è trovato d'accordo) leggere il libro, discuterne i contenuti insieme e poi decidere se e con quali modalità eventualmente partecipare all'incontro.
- Durante la seconda ora siamo tornate a confrontarci sui momenti di attrito che negli ultimi periodi il gruppo ha vissuto. E' stata una riflessione importante, che ha spostato il focus, da una dimensione puramente personale, ad una, a mio avviso, di gran lunga più utile e costruttiva, che ha aperto varie questioni, sulle quali evidentemente, abbiamo ancora bisogno di discutere: qual'è il ruolo del nostro gruppo? cosa ci aspettiamo adesso dal gruppo e cosa ci aspettavamo quando abbiamo deciso di prendervi parte?
Mandana apre la riflessione, denunciando quella che lei (se non ho capito male) percepisce come una sorta di superficialità nei rapporti interni al gruppo; superficialità che si traduce in una non condivisione delle esperienze personali e delle attività che sono portate avanti singolarmente (nel caso specifico l'organizzazione del ciclo di proiezioni). Mandana si chiede quale ruolo giochi tra di noi la solidarietà, e di li a poco emerge, uno dei nodi, forse il più importante, ancora da sciogliere: quello della fiducia. Mandana ammette di non fidarsi pienamente del gruppo, per la presenza di un background negativo legato ad alcune esperienze di esclusione, vissute in passato. Esperienze, che l'hanno portata a maturare una specie di diffidenza a priori nei confronti dell'attività di gruppi di questo tipo.
Probabilmente, alla parola fiducia, ognuna delle presenti si è interrogata sulle proprie aspettative, sui dubbi iniziali e sulle modalità individuali di partecipazione: Adelaide, ad esempio , ha espresso la voglia e l 'entusiasmo di stare nel gruppo, ma l'incapacità di parlare delle proprie esperienze personali. Una questione già emersa qualche tempo fa, che conferma ancora una volta i punti di forza del nostro gruppo: l'eterogeneità delle modalità di partecipazione/condivisione, la soggettività di ognuna di noi e la presenza di percorsi individuali di riflessione e analisi che devono assolutamente essere rispettati e mai forzati.
A cosa serve allora il gruppo? è questa la domanda che più volte Pina e Michela rivolgono a Mandana, sollecitando una riflessione sul nostro modo di stare insieme. E' la frase usata da Monica nel suo ultimo report ("questo non è un gruppo di autoaiuto") a ridefinire ancora una volta i contorni della discussione.
Il gruppo accoglie (Pina), il gruppo si confronta con modalità diverse sul tema dell'identità di genere all'interno dell'ambito universitario (Michela), il fine del gruppo non è l'accoglimento della storia personale di chi vi partecipa (Elisa). Ed è proprio Elisa a rimarcare, quello che forse, per molte di noi, era già stato interiorizzato nel corso di questi mesi: nel gruppo i singoli bisogni devono trovare spazio, ma questo non può in alcun modo spezzare il flusso e il ritmo di una comunicazione basata su "norme" tacite ma condivise ormai da tutte (rispetto dei turni di parola, abbandono di modalità individuali di partecipazione che spostano di continuo il focus, emersione di atteggiamenti vittimistici che riportano sul piano personale questioni generali, uso di un linguaggio allusivo).
Più o meno a questo punto, me ne sono andata....per cui chiedo gentilmente a Pina di finire il report...grazie!!!
Quasi dimenticavo, sarebbe utile segnalare chi ci sarà al prossimo incontro, perchè a quanto pare alcune non potranno esserci. Io vi posso già dire che purtroppo non ce la farò a venire!
Un bacio a tutte
venerdì 26 giugno 2009
Un'altra notazione frettolosissima: Michael Jackson e il rifiuto del corpo e/o di un’identità
Vedendo gli afroamericani piangere la morte di Michael Jackson mi domandavo come si sentono quelli che come loro hanno visto cancellare dal corpo un elemento (penso) essenziale della loro identità: il colore della pelle. Cancellato poi attraverso la trasformazione del corpo per assimilarlo a un’identità dominante: i bianchi! Da una cosa sono passata ad un’altra e pensavo ai transessuali, oppure al fatto che dal punto di vista della differenza sessuale conosco solo esempi di uomini che trasformano il loro corpo per assomigliare al nostro, a quello di donna e nessuna donna che voglia avere il corpo dell’uomo o mi sbaglio?. Se ci fermiamo solo al corpo e al desiderio di trasformarlo in quello di donna….che vuol dire questo? che siamo portatrici di un’identità dominante? che siamo portatrici dell’oggetto del desiderio del patriarcato? perché una donna pur desiderando essere un uomo non rinuncia così facilmente al suo corpo di donna? Solo a causa di limiti della scienza o c’è anche dell’altro? Il corpo della donna come dono…..
giovedì 25 giugno 2009
Una frettolosissima notazione
Sono a Isernia da qualche giono, e da qualche giorno vivo con la mia splendida nipotina di quasi 4 anni, cuore di zia!
Stamani riflettevo sul suo abbigliamento di questi giorni: comodissimi fuseaux monocolori con balza di pizzo in fondo; calze a rete vezzosissime: rete fitta fitta, intendiamoci, color cipria, con delle farfalline cucite alla caviglia, un gingillino delicatissimo; minigonne di jeans larghe larghe con perline colorate, vertiginosissime e innocenti. Alcuni capi mi rimandano alle prostitute di qualche anno fa. E comunque molte donne adulte vestono così. E anche tutte le bimbe, e comunque né mia sorella né mia madre si sono poste il problema, giacché acquistano quello che sta bene alla bimba, quello che normalmente si trova nei negozi, dal superstore alla boutique. Ovviamente dopo la mia riflessione si stanno ponendo delle domande, specie di questi tempi... E allora vi giro la domanda: devo dir loro che sono io che deliro oppure c'è davvero qualcosa che non va, qualcosa che riguarda la costruzione delle identità di queste 'criature' su cui è necessario 'vigilare' con attenzione, oggi più di ieri? Grazie mie care e saluti dal Molise
Stamani riflettevo sul suo abbigliamento di questi giorni: comodissimi fuseaux monocolori con balza di pizzo in fondo; calze a rete vezzosissime: rete fitta fitta, intendiamoci, color cipria, con delle farfalline cucite alla caviglia, un gingillino delicatissimo; minigonne di jeans larghe larghe con perline colorate, vertiginosissime e innocenti. Alcuni capi mi rimandano alle prostitute di qualche anno fa. E comunque molte donne adulte vestono così. E anche tutte le bimbe, e comunque né mia sorella né mia madre si sono poste il problema, giacché acquistano quello che sta bene alla bimba, quello che normalmente si trova nei negozi, dal superstore alla boutique. Ovviamente dopo la mia riflessione si stanno ponendo delle domande, specie di questi tempi... E allora vi giro la domanda: devo dir loro che sono io che deliro oppure c'è davvero qualcosa che non va, qualcosa che riguarda la costruzione delle identità di queste 'criature' su cui è necessario 'vigilare' con attenzione, oggi più di ieri? Grazie mie care e saluti dal Molise
martedì 23 giugno 2009
Aspettando " Vogliamo anche le rose" !
Lorella Zanardo è autrice di un documentario che raccoglie della volgarità tv. Dove le donne non invecchiano: sono giovani e rifatti.
Vi invito a guardare il documentario sul sito.
www.Il corpo delle donne.it
Vi invito a guardare il documentario sul sito.
www.Il corpo delle donne.it
domenica 21 giugno 2009
Vent'anni di liberazione sessuale nel periodo delle grandi rivoluzioni del femminismo che portarano a quelle importanti conquiste che oggi vengono messe in discussione da chi non riesce a capire fino in fondo l'universo femminile: con Vogliamo anche le rose, delizioso documentario, Aline Marazzi riesce a cogliere l'urgenza delle donne di affermare sè stesse e lo fa riportando a galla le parole, mai cosi attuali, di chi, quarant'anni fa, ha combattuto, nel proprio privato o nel fermento della piazza, per far sentire proprio voce.
Alina Marazzi, perchè un altro film sulle donne, dopo i suoi precedenti Un'Ora sola ti vorrei e Per sempre?
A.M. Tutto nasce dall' osservazione del mio presente. Rivisitare la storia di quegli anni parte dall'esigenza di capire delle cose dell'oggi.Io sono del'64 e nel periodo che racconta nel film ero piccola, ma ho fatto in tempo a iscrivermi al liceo alla fine degli anni Settanta, cosi alcune atmosfere me lo ricordo. Sentivo l'esigenza di realizzare questo film perchè volevo capire in che modo vivo le mie relazioni oggi, da dove vengono certi miei comportamenti. mi interessa lavorare sui materiali d'archivio, cercare le tracce, gli indizi con cui mettere insieme la storia, per capire come sono andate le cose. Nel film parlo sopratutto di tre storie private, grazie ai tre diari di altrettante donne, ma la cosa stupefacente di quegli anni è che a un certo punto si scopri le esigenze personali, individuali erano in realtà collettive, quindi sociale e politiche.
Qual è stato il criterio che ha seguito nella scelta del materiale da utilizzare e dei temi da trattare nelle realizzazione del film?
A.M. Ho iniziato il lavoro di ricerca in maniera aperta. Il tema che volevo affrontare era quello della liberazione sessuale in Italia. Inizialmente, si voleva parlare di un arco di tempo più lungo che arrivasse fino ad oggi, ma c'era una vastità di argomenti e di materiali di repertorio che andava contenuto. I materiali mi suggerivano delle cose, e ho fatto subito la ricerca dei testi. Sono emersi dall'archivio di Pieve Santo Stefano questi tre diari che erano perfetti per quello che volevo dire.Mi interessava gli interni, le scritture autobiografiche, mettere in relazione il collettivo con il soggettivo. Sono state fatte delle scelte a monte, perchè ci trovavamo di fronte alla possibilità di scegliere tra il raccontare la storia dell'emancipazione della donna o porre invece l'accento sul per corso della liberazione sessuale, con le tematiche del corpo e del sesso in primo piano. abbiamo scelto questa seconda strada, tralasciando riferimenti e avvenimenti storici importanti come la strage di Piazza Fontana o il rapimento Moro, e mi sono permessa perciò di raccontare un aspetto della storia previlegiando gli interni, gli aspetti intimi di storie private.
....
Cosa si è perso oggi rispetto alle battaglie del femminismo?
A.M. Credo si sia perso un'abitudine al dialogo e alla discussione. oggi si tende a rimanere ognuno chiuso nelle proprie emergenze quotidiane. Si è perso una passione rispetto a un sentire comune, la passione per la politica.
Come Commenta lei la situazione attuale in Italia in merito ai temi etici di cui si discute in campagna elettorale?
A.M. Penso che sia paradossale, un tentativo strumentale di porre in discussione la 194, la legge sull'aborto, che dovrebbe sicuramente essere aggiornata alla luce del cambiamento della società, ma la questione importante oggi sono altre. si vuole dividere la società in buoni e cattivi, mentre ci si dovrebbe occupare seriamente di temi importanti come la fecondazione assistita e le coppie di fatto.
a cura di Massimo Borriello 2007
Alina Marazzi, perchè un altro film sulle donne, dopo i suoi precedenti Un'Ora sola ti vorrei e Per sempre?
A.M. Tutto nasce dall' osservazione del mio presente. Rivisitare la storia di quegli anni parte dall'esigenza di capire delle cose dell'oggi.Io sono del'64 e nel periodo che racconta nel film ero piccola, ma ho fatto in tempo a iscrivermi al liceo alla fine degli anni Settanta, cosi alcune atmosfere me lo ricordo. Sentivo l'esigenza di realizzare questo film perchè volevo capire in che modo vivo le mie relazioni oggi, da dove vengono certi miei comportamenti. mi interessa lavorare sui materiali d'archivio, cercare le tracce, gli indizi con cui mettere insieme la storia, per capire come sono andate le cose. Nel film parlo sopratutto di tre storie private, grazie ai tre diari di altrettante donne, ma la cosa stupefacente di quegli anni è che a un certo punto si scopri le esigenze personali, individuali erano in realtà collettive, quindi sociale e politiche.
Qual è stato il criterio che ha seguito nella scelta del materiale da utilizzare e dei temi da trattare nelle realizzazione del film?
A.M. Ho iniziato il lavoro di ricerca in maniera aperta. Il tema che volevo affrontare era quello della liberazione sessuale in Italia. Inizialmente, si voleva parlare di un arco di tempo più lungo che arrivasse fino ad oggi, ma c'era una vastità di argomenti e di materiali di repertorio che andava contenuto. I materiali mi suggerivano delle cose, e ho fatto subito la ricerca dei testi. Sono emersi dall'archivio di Pieve Santo Stefano questi tre diari che erano perfetti per quello che volevo dire.Mi interessava gli interni, le scritture autobiografiche, mettere in relazione il collettivo con il soggettivo. Sono state fatte delle scelte a monte, perchè ci trovavamo di fronte alla possibilità di scegliere tra il raccontare la storia dell'emancipazione della donna o porre invece l'accento sul per corso della liberazione sessuale, con le tematiche del corpo e del sesso in primo piano. abbiamo scelto questa seconda strada, tralasciando riferimenti e avvenimenti storici importanti come la strage di Piazza Fontana o il rapimento Moro, e mi sono permessa perciò di raccontare un aspetto della storia previlegiando gli interni, gli aspetti intimi di storie private.
....
Cosa si è perso oggi rispetto alle battaglie del femminismo?
A.M. Credo si sia perso un'abitudine al dialogo e alla discussione. oggi si tende a rimanere ognuno chiuso nelle proprie emergenze quotidiane. Si è perso una passione rispetto a un sentire comune, la passione per la politica.
Come Commenta lei la situazione attuale in Italia in merito ai temi etici di cui si discute in campagna elettorale?
A.M. Penso che sia paradossale, un tentativo strumentale di porre in discussione la 194, la legge sull'aborto, che dovrebbe sicuramente essere aggiornata alla luce del cambiamento della società, ma la questione importante oggi sono altre. si vuole dividere la società in buoni e cattivi, mentre ci si dovrebbe occupare seriamente di temi importanti come la fecondazione assistita e le coppie di fatto.
a cura di Massimo Borriello 2007
venerdì 19 giugno 2009
"L'accesso delle donne all'esperienza del pensiero passa attraverso il loro accesso alla dimensione dialogica. La più grande innovazione del movimento delle donne alla fine del XX secolo è la reciproca autorizzazione a pensare che si sono date attraverso la parola e l'azione (volo ut sis, voglio che tu sia ...), ognuna autorizzando l'altra e autorizzandosi ad essere, a pensare e a parlare, che fosse nell'accordo o nel disaccordo, perchè lo stesso disaccordo conferma l'importanza attribuita all'altra".
F. Collin, Nel dialogo, il senso.
F. Collin, Nel dialogo, il senso.
giovedì 18 giugno 2009
Cinema
Ieri al cineforum tutto è andato bene. Il film era intressante e, nonostante la lunghezza e l'orario, era presente un discreto pubblico.
Report Mercoledì 17 giugno 2009 e proposta ODG mercoledì 24
Presenti: Pina, Lola, Sonia, Adelaide, Mandana, Teresa, Veronica, Monica, Michela (ma è andata via dopo poco).
- Pina ha portato alcune brochure della Staffetta;
- alcune di noi hanno espresso una sorta di non identificazione con la Staffetta, che sentono come una specie di ‘corpo estraneo’;
- inoltre, alcune hanno espresso la mancanza della riflessione e del confronto;
- mentre riprendevamo alcuni nodi (identità, responsabilità, trasmissione, autenticità, libertà) venuti fuori durante la presentazione dell’oggetto di Veronica e formulavamo la proposta di individuare della parole-chiave utili per il Glossario, individuando nel contempo la necessità di fissare almeno la presentazione di un altro oggetto (forse Teresa il prossimo mercole), una scritta di Mandana alla lavagna sul ‘dover assolutamente’ partecipare alla visione del film ‘Vogliamo anche le rose’ ha fatto nascere un’accesa e slegata discussione innanzitutto sul tema del dovere: alcune hanno parlato di ‘dover essere’ intendendolo come necessità di essere fedeli a noi stesse mentre altre hanno preferito sostituire la parola ‘dovere’ con ‘responsabilità’ perché essa, nel momento in cui viene consapevolmente assunta, trasforma i ‘devo’ in ‘voglio’;
- da qui, abbiamo scatenato un pollaio, ricco però di spunti di riflessione, su certi comportamenti che molte di noi non condividono e che ritengono estranei al gruppo.
Detti comportamenti sono:
- la creazione di sottogruppi, incluso l’abuso di dialoghi a due/tre mentre il resto del gruppo segue una persona che parla, cosa percepita da molte come recente e molto fastidiosa;
- gli interventi che spostano il focus della discussione su temi distanti da quelli di cui si sta invece discutendo (credo sia quel parlare che a Napoli si chiama ‘a schiovere’, a spiovere);
- l’uso di strategie comunicative ‘sottotraccia’, quelle che 'dicono senza dire' mediante l'uso di allusioni e impliciti che permettono alla persona di non esprimere chiaramente cosa vuole o pensa;
- la presenza in molte di noi di ‘non detti’ rispetto a tali comportamenti.
Abbiamo rilevato un disagio all’interno del gruppo per cui abbiamo pensato di attivare una discussione il prossimo mercoledì in cui riflettere su temi come:
- cos’è che dei suddetti comportamenti non ci piace e perché;
- perché il nostro gruppo sta svelando solo ultimamente queste difficoltà (c’è stato un ‘prima’ in cui dette difficoltà non si sono manifestate): cosa c’è, insomma, che ultimamente è cambiato e ci sta mettendo di fronte, forse, al non aver ancora acquisito abbastanza strumenti per poter gestire serenamente i comportamenti, quando non le idee, che percepiamo come disturbanti;
- dov’è il confine fra la ‘risposta’ soggettiva e quella ‘collettiva’, la zona insomma in cui il ‘(non) mi piace’ diventa ‘(non) ci piace’.
Inoltre sarebbe necessario:
- approfondire la riflessione su 'libertà' e 'responsabilità' riguardanti lo stare in QUESTO gruppo;
- rinominare i confini del gruppo, ovvero i comportamenti e i valori che condividiamo e che definiscono la nostra identità (a scapito di altri percepiti come sterili, superati in discussioni precedenti che hanno punteggiato la nostra storia, indatti al momento che sta vivendo il gruppo);
- esplorare il legame fra il ‘dovere’ e il ‘potere’ e le ragioni del nostro rifiuto non solo teorico ma nella pratica di relazioni fra noi, basata sull’assenza di ruoli e di gerarchie e su un dialogo in cui la parola di una ha lo stesso peso e valore di quella delle altre indipendentemente dall’età, dalla posizione sociale, dall’esperienza di vita e dalla provenienza geografica: elementi, questi, che hanno sempre per noi avuto valore per il modo in cui ciascuna li rendeva parola, gesto e relazione, e mai sono stati caricati di un valore intrinseco e assoluto;
- ridefinire le specificità del gruppo e le sue attività (ampliare la riflessione sul Glossario, sulla Staffetta, sul Cineforum, sul Questionario: cosa ha funzionato e cosa no; come possiamo far tesoro dell'esperienza e quali azioni possiamo programmare per il futuro);
- chiarire che il nostro NON è un gruppo di autoaiuto ma di riflessione sull’identità di genere, e se qualcuna ci prende strumenti per star meglio anche con sé è tanto di guadagnato, ma il sostegno psicologico NON è obiettivo primario del gruppo.
Ecco, spero di aver usato un linguaggio semplice così da agevolare anche Mandana nella lettura, ieri ha espresso una sorta di difficoltà nel maneggiare certe parole.
Aggiungete, commentate e modificate, ovviamente, giacché non è stato per me semplice rendere la complessità della riunione di ieri, in cui abbiamo provato a sciogliere alcuni nodi emozionali per trasformarli in spunti di crescita sforzandoci di tenere separato 'quello che si fa' da 'chi si è', questo sì, a mio parere, valore assoluto il cui riconoscimento e la cui accettazione ci consentono di staccarci dalle valutazioni e dai giudizi personali e di posizionarci in una zona di ascolto e cambiamento.
- Pina ha portato alcune brochure della Staffetta;
- alcune di noi hanno espresso una sorta di non identificazione con la Staffetta, che sentono come una specie di ‘corpo estraneo’;
- inoltre, alcune hanno espresso la mancanza della riflessione e del confronto;
- mentre riprendevamo alcuni nodi (identità, responsabilità, trasmissione, autenticità, libertà) venuti fuori durante la presentazione dell’oggetto di Veronica e formulavamo la proposta di individuare della parole-chiave utili per il Glossario, individuando nel contempo la necessità di fissare almeno la presentazione di un altro oggetto (forse Teresa il prossimo mercole), una scritta di Mandana alla lavagna sul ‘dover assolutamente’ partecipare alla visione del film ‘Vogliamo anche le rose’ ha fatto nascere un’accesa e slegata discussione innanzitutto sul tema del dovere: alcune hanno parlato di ‘dover essere’ intendendolo come necessità di essere fedeli a noi stesse mentre altre hanno preferito sostituire la parola ‘dovere’ con ‘responsabilità’ perché essa, nel momento in cui viene consapevolmente assunta, trasforma i ‘devo’ in ‘voglio’;
- da qui, abbiamo scatenato un pollaio, ricco però di spunti di riflessione, su certi comportamenti che molte di noi non condividono e che ritengono estranei al gruppo.
Detti comportamenti sono:
- la creazione di sottogruppi, incluso l’abuso di dialoghi a due/tre mentre il resto del gruppo segue una persona che parla, cosa percepita da molte come recente e molto fastidiosa;
- gli interventi che spostano il focus della discussione su temi distanti da quelli di cui si sta invece discutendo (credo sia quel parlare che a Napoli si chiama ‘a schiovere’, a spiovere);
- l’uso di strategie comunicative ‘sottotraccia’, quelle che 'dicono senza dire' mediante l'uso di allusioni e impliciti che permettono alla persona di non esprimere chiaramente cosa vuole o pensa;
- la presenza in molte di noi di ‘non detti’ rispetto a tali comportamenti.
Abbiamo rilevato un disagio all’interno del gruppo per cui abbiamo pensato di attivare una discussione il prossimo mercoledì in cui riflettere su temi come:
- cos’è che dei suddetti comportamenti non ci piace e perché;
- perché il nostro gruppo sta svelando solo ultimamente queste difficoltà (c’è stato un ‘prima’ in cui dette difficoltà non si sono manifestate): cosa c’è, insomma, che ultimamente è cambiato e ci sta mettendo di fronte, forse, al non aver ancora acquisito abbastanza strumenti per poter gestire serenamente i comportamenti, quando non le idee, che percepiamo come disturbanti;
- dov’è il confine fra la ‘risposta’ soggettiva e quella ‘collettiva’, la zona insomma in cui il ‘(non) mi piace’ diventa ‘(non) ci piace’.
Inoltre sarebbe necessario:
- approfondire la riflessione su 'libertà' e 'responsabilità' riguardanti lo stare in QUESTO gruppo;
- rinominare i confini del gruppo, ovvero i comportamenti e i valori che condividiamo e che definiscono la nostra identità (a scapito di altri percepiti come sterili, superati in discussioni precedenti che hanno punteggiato la nostra storia, indatti al momento che sta vivendo il gruppo);
- esplorare il legame fra il ‘dovere’ e il ‘potere’ e le ragioni del nostro rifiuto non solo teorico ma nella pratica di relazioni fra noi, basata sull’assenza di ruoli e di gerarchie e su un dialogo in cui la parola di una ha lo stesso peso e valore di quella delle altre indipendentemente dall’età, dalla posizione sociale, dall’esperienza di vita e dalla provenienza geografica: elementi, questi, che hanno sempre per noi avuto valore per il modo in cui ciascuna li rendeva parola, gesto e relazione, e mai sono stati caricati di un valore intrinseco e assoluto;
- ridefinire le specificità del gruppo e le sue attività (ampliare la riflessione sul Glossario, sulla Staffetta, sul Cineforum, sul Questionario: cosa ha funzionato e cosa no; come possiamo far tesoro dell'esperienza e quali azioni possiamo programmare per il futuro);
- chiarire che il nostro NON è un gruppo di autoaiuto ma di riflessione sull’identità di genere, e se qualcuna ci prende strumenti per star meglio anche con sé è tanto di guadagnato, ma il sostegno psicologico NON è obiettivo primario del gruppo.
Ecco, spero di aver usato un linguaggio semplice così da agevolare anche Mandana nella lettura, ieri ha espresso una sorta di difficoltà nel maneggiare certe parole.
Aggiungete, commentate e modificate, ovviamente, giacché non è stato per me semplice rendere la complessità della riunione di ieri, in cui abbiamo provato a sciogliere alcuni nodi emozionali per trasformarli in spunti di crescita sforzandoci di tenere separato 'quello che si fa' da 'chi si è', questo sì, a mio parere, valore assoluto il cui riconoscimento e la cui accettazione ci consentono di staccarci dalle valutazioni e dai giudizi personali e di posizionarci in una zona di ascolto e cambiamento.
mercoledì 17 giugno 2009
Il colore viola
Il colore viola è conosciuto come il colore dello spirito e,in effetti, agisce sull' inconscio dando forza spirituale ed ispirazione. Questo colore rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione e intelligenza, tra amore e saggezza.
E' il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi, della transizione, ma anche della fascinazione erotica. questo colore esprime una energia pura, atavica: è una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro.E'una colorazione insieme di attesa e di precognizione, e eleva la coscienza umana fino al raggiungimento della pure luce bianca. E' anche associato alla preghiera edagli stati alterati di coscienza.
Perchè Alice Wailker sceglie il colore viola per il titolo del suo libro?
Il titolo sottolinea un disegno immaginativo.Viola è il colore dei lividi. Quando Sofia viene picchiata dalla polizia (perchè aveva offeso la moglie del sindaco). Il colore viola è anche il colore della nobiltà e della regalità, è il colore dell'Impero Romano e dei lord inglesi.Per questo Celie pensa è il colore adatto per Shug Avery.(...). La base strutturale del romanzo è il contrasto tra il colore delle contusioni e il colore delle donne trionfanti. Il colore dei lividi è diventato un colore 'nobile' alla fine del romanzo.(...). La esistenza stessa del colore viola è meraviglioso, perciò il simbolo della meravglia della esistenza è cuore della nuovo fede che Shug e Celie cindividono....
Se volete sapere di più sul colore viola ci vediamo oggi pomeriggio alle 17 .
Mandana
E' il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi, della transizione, ma anche della fascinazione erotica. questo colore esprime una energia pura, atavica: è una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro.E'una colorazione insieme di attesa e di precognizione, e eleva la coscienza umana fino al raggiungimento della pure luce bianca. E' anche associato alla preghiera edagli stati alterati di coscienza.
Perchè Alice Wailker sceglie il colore viola per il titolo del suo libro?
Il titolo sottolinea un disegno immaginativo.Viola è il colore dei lividi. Quando Sofia viene picchiata dalla polizia (perchè aveva offeso la moglie del sindaco). Il colore viola è anche il colore della nobiltà e della regalità, è il colore dell'Impero Romano e dei lord inglesi.Per questo Celie pensa è il colore adatto per Shug Avery.(...). La base strutturale del romanzo è il contrasto tra il colore delle contusioni e il colore delle donne trionfanti. Il colore dei lividi è diventato un colore 'nobile' alla fine del romanzo.(...). La esistenza stessa del colore viola è meraviglioso, perciò il simbolo della meravglia della esistenza è cuore della nuovo fede che Shug e Celie cindividono....
Se volete sapere di più sul colore viola ci vediamo oggi pomeriggio alle 17 .
Mandana
venerdì 12 giugno 2009
"Sarebbe mille volte un peccato se le donne scrivessero come gli uomini o vivessero come gli uomini (...) Non dovrebbe forse l'istruzione fare emergere e rendere più salde le differenze anziché le somiglianze? Perchè di somiglianze ne abbiamo già troppe..."
V. Woolf, Una stanza tutta per sé
V. Woolf, Una stanza tutta per sé
sabato 6 giugno 2009
Report di Mercoledì 3 giugno 2009 e proposta ODG per Mercoledì 10
Beh, in poche ma sentite parole: Luisa, Sonia, Pina, Monica e Valentina hanno messo a punto il programma definitivo della Staffetta e risolto alcune questioni legate agli aspetti pubblicitari.
Per approfondimenti vi rimando alla mia mail di giovedì.
Riguardo al prossimo ODG vi propongo di:
- aprire uno spazio di riflessione sullo scambio fra Mandana, me e Valentina che ha, per come lo sto vivendo io, dei punti di oscurità ma che, anche, apre a mio parere a delle possibilità di riflessione sulle identità femminili. L’obiettivo potrebbe essere quello di esplorare come il modo in cui ci percepiamo nel gruppo, che sempre a mio parere definisce richieste più o meno tacite anche in termini di riconoscimento e, dunque, di identità, possa attivare dinamiche di inclusione-esclusione, quando non creazione di sottogruppi slegati ed emotivamente confliggenti: insomma, vi chiederei di esplorare in che modo rendere collettivo ciò che invece è, e deve restare, personale, possa produrre categorie interpretative inadeguate al benessere dei gruppi e degli individui contribuendo alla riproduzione di stereotipi legati ai comportamenti e alle identità;
- aggiornare il gruppo sullo status quo Staffetta e impostare una strategia per pubblicizzare operativamente l’evento (rimando ad Elisa per gli approfondimenti). Bacini, Monica
Per approfondimenti vi rimando alla mia mail di giovedì.
Riguardo al prossimo ODG vi propongo di:
- aprire uno spazio di riflessione sullo scambio fra Mandana, me e Valentina che ha, per come lo sto vivendo io, dei punti di oscurità ma che, anche, apre a mio parere a delle possibilità di riflessione sulle identità femminili. L’obiettivo potrebbe essere quello di esplorare come il modo in cui ci percepiamo nel gruppo, che sempre a mio parere definisce richieste più o meno tacite anche in termini di riconoscimento e, dunque, di identità, possa attivare dinamiche di inclusione-esclusione, quando non creazione di sottogruppi slegati ed emotivamente confliggenti: insomma, vi chiederei di esplorare in che modo rendere collettivo ciò che invece è, e deve restare, personale, possa produrre categorie interpretative inadeguate al benessere dei gruppi e degli individui contribuendo alla riproduzione di stereotipi legati ai comportamenti e alle identità;
- aggiornare il gruppo sullo status quo Staffetta e impostare una strategia per pubblicizzare operativamente l’evento (rimando ad Elisa per gli approfondimenti). Bacini, Monica
venerdì 5 giugno 2009
freud e la femminilità, che ne pensate?
Ho trovato un'intervista sulla relazione tra Freud e la "femminilità". Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
1. Professor Assoun, Lei pensa che il processo attraverso cui la donna diventa "se stessa" è un processo più complicato di quanto non avvenga nel caso dell'uomo?
Questa è un'ottima domanda, perché formulata a partire dal testo freudiano, testo su cui bisogna fare sempre moltissima attenzione. Freud, in effetti, non parla mai di un "diventar uomini". Ora, l'uomo stesso, ovviamente, passa per il processo del piccolo Edipo, che è un processo psichico, che comporta dei conflitti.
Ma Freud introduce, molto tardivamente - perché questo accade pochi anni prima della sua morte avvenuta nel 1939 - una nozione capitale, la categoria del "divenir donna", che io prendo particolarmente sul serio, perché da quanto si evince sembra che Freud si accorga che non c'è un Edipo incrociato. Questo è quel che si crede, spesso, sulla base di una mezza conoscenza della psicoanalisi: il maschio si innamorerebbe fantasmaticamente della madre, a cui egli rinuncia prima di abbordare la donna, e la femmina si innamora del padre, in modo che poi, si accosta all'uomo. Ora, Freud scopre l'importanza fondamentale della fissazione primitiva della bambina nei confronti della madre. Io, che ho lavorato anche sulla passione, parlerei qui veramente di "passione materna": vale a dire, che, per ragioni complesse, la bambina è particolarmente attaccata alla madre come oggetto d'amore. È una relazione fusionale, ma direi anche che si tratta di una relazione passionale.
Anche il bambino è molto attaccato alla madre - è una questione su cui è difficile parlare rapidamente - ma il ragazzo, mi pare, slitta molto rapidamente da questo rapporto fusionale orale, dove è la madre nutritiva a dare amore, verso una relazione edipica. Molto presto, il maschio giunge ad elaborare quella relazione di desiderio che lo impegna nel suo Edipo, e che implica il padre; passa dalla fase orale alla fase anale, e quindi elabora il suo Edipo. Freud fa una specie di autocritica, alla fine del suo percorso, quando dice di aver sottovalutato la durata e l'intensità dell'attaccamento primitivo della bambina nei confronti della madre; ed insisto bene sul fatto che questo significa un attaccamento strutturale alla madre, in modo tale che la bambina, certo, ritornerà al padre, laddove lei riconosce il proprio Edipo, se così posso dire.
La bambina - questo è importantissimo - deve fare uno sforzo psichico considerevole per darsi delle ragioni di rinunciare alla madre. Purtuttavia, ad un certo punto, lei rinuncia alla madre: la fine dello stato di grazia della relazione con la madre è molto visibile, si manifesta ad esempio nelle relazioni di rivalità madre-figlia, che possono essere difficilissime, specialmente nella pre-pubertà della ragazza e nell'adolescenza. La ragazza rivolgerà alla madre ogni tipo di rimproveri, che in realtà sono, appunto, rimproveri passionali. È come quando si è amato appassionatamente qualcuno, verso cui si ha poi un enorme risentimento. Ebbene, la bambina metterà in opera una specie di processo contro sua madre, in cui tutto quel che era positivo diventa negativo: le rimprovererà - proprio lei che voleva tanto starle accanto - di averla sedotta attraverso cure corporee. Evocherà, ad esempio, il fatto di non essere un ragazzo e che questo ha potuto nuocerle, le rimprovererà di dividere il suo amore con i fratelli e sorelle. Insomma, darà a se stessa delle ragioni per abbandonarla, per lasciarla. E a questo punto immediatamente si volgerà verso il padre, si lamenterà della madre che pure ha amato tanto, e comincerà ad amare e ad idealizzare il padre. In fondo, dice molto giustamente Freud, "ci sono tante ragioni per il comportamento della bambina ma in fondo ce n'è una sola: che quell'amore, senza il suo obiettivo, non può realizzarsi, è troppo forte per esistere".
In questo modo, il padre, presentandosi come un'alternativa, assume un ruolo molto importante per la ragazza. Lo sguardo del padre è molto importante - dico bene lo sguardo - per permettere alla ragazza di sentirsi una donna, ed è qui che ovviamente troveremo il desiderio edipico e il fantasma.
2. Freud, nel suo articolo "Introduzione al narcisismo", dice anche che la donna in generale è più narcisistica dell'uomo. Che cosa voleva dire con questo?
Bisogna forse dire anche che cosa Freud intenda per narcisismo. È una nozione introdotta da Freud a partire dall'inizio degli anni 1910, in particolare in un testo del 1914, Introduzione al narcisismo. Qui egli mette l'accento sul fatto che la libido sessuale non è come l'aveva descritta fino ad allora - questo mostra che la psicoanalisi evolve sotto la pressione dei fatti clinici, non è una filosofia, non è un sistema. Egli si accorge che la libido non si definisce semplicemente grazie al suo oggetto esterno, ma grazie a quel che chiama "libido dell'io", cioè dalla possibilità, per il bambino, di investire il proprio desiderio su se stesso, così come Narciso, il quale, secondo Ovidio, si innamora della propria immagine che egli vede riflessa sull'acqua.
Solo in seguito questa libido narcisistica, investita originariamente sul soggetto, è ceduta agli oggetti. Dunque, quel che si chiama narcisismo è appunto questo investimento auto-erotico, unificato attorno all'Io. In effetti, il momento narcisistico è particolarmente importante nella costituzione del diventar donna. È importante quel che Freud ci dice: quando la donna, subisce, in modo molto concreto, quella grandissima trasformazione corporea al momento della pubertà, ebbene, questa trasformazione corporea estremamente spettacolare fa sì che la sua immagine si modifichi in modo davvero spettacolare, e succede allora molto spesso che essa investa questa immagine in modo estremamente forte.
Ci sono, certo, delle donne particolarmente narcisistiche che amano solo se stesse - in fondo è l'immagine della star che preferisce essere amata anziché amare. Ma in modo più fondamentale direi che il narcisismo gioca un ruolo estremamente importante nella donna, perché la donna è costretta ad amarsi, ad investire su di sé per cedere poi una parte della sua libido agli oggetti. Dunque in un certo senso se lei non è amata - attraverso lo sguardo del padre ed il legame con la madre - non può amarsi; deve sempre operare un'elaborazione narcisistica particolare, laddove l'uomo è indubbiamente più incline a tutto quel lavoro di identificazione simbolica, di rapporto all'oggetto, di rapporto alla legge, che gli permette di staccarsi più facilmente da quel narcisismo. È forse anche quel che costituisce l'intensità dell'amore nella donna: è un amore dell'altro che è allo stesso tempo un amore narcisistico.
3. Riguardo all'incontro di Freud con le isteriche, si è colpiti dal fatto che, all'epoca in cui Freud riscopre il fenomeno dell'isteria, sorgeva il femminismo storico. Il fatto che Freud si accorga della femminilità e quindi del dramma del "diventar donna" è legato in qualche modo alla situazione specifica della donna nella sua epoca?
Primo punto: il fatto che femminismo e psicoanalisi siano contemporanei non è affatto una cosa fortuita. Secondo punto: Freud ha sempre detto - questo è il punto ovviamente dolente delle relazioni tra psicoanalisi e femminismo - che la psicoanalisi non si prestava ad un uso polemico, a quello che lui chiama "uso agonale", in termini, cioè, di lotta. Con questo si vuol dire che la psicoanalisi non si regola su come le cose dovrebbero essere.
Il femminismo, al contrario della psicoanalisi, milita, combatte - perché questo è il suo compito - per l'emancipazione della donna. Ma questa differenza non comporta da parte della psicoanalisi alcuna forma di misoginia, perché essa si accosta alla donna come soggetto. Per questa ragione Freud non ha mai dato forma sistematica ai suoi argomenti. La psicoanalisi, ci dice Freud, non è una Weltanschauung - termine tedesco difficile da tradurre - una "visione del mondo". Non è una visione del mondo che metterebbe le cose a posto in modo da formare una bella sintesi. Una Weltanschauung è un po', in fondo, un'ideologia, una visione del mondo. Allora, da questo punto di vista il femminismo è una Weltanschauung utile, certamente necessaria; ma la psicoanalisi può dire semplicemente che cosa essa impara dalla realtà sul "volere al femminile", sul "desiderio al femminile".
In particolare, si è posta la questione della castrazione, e le femministe - forse sulla base di fraintendimenti -, se la sono presa a male per certe formule di Freud, come nel caso della sua famosa idea del "Penisneid", vale a dire dell'"invida del pene", un elemento che sarebbe del tutto essenziale alla femminilità.
Mi pare che l'invidia del pene sia, da una parte, un elemento evidentemente legato al contesto sociale e relazionale della bambina, che si tratta di una creazione sociale, qualcosa che, più esattamente, è mantenuta dal sociale; ma dall'altra, è anche vero che si può reperire nel desiderio femminile - e questo è inconfutabile - una fascinazione fallica. Forse è utile distinguere, come fa Lacan, il pene come organo distinguendolo dal fallo che sarebbe in qualche modo una specie di significante, portatore del desiderio. Da questo punto di vista, la donna è affascinata da ciò che costituisce l'emblema, se così posso dire, del desiderio. Questo non vuol dire che lei invidi il pene, benché si possano trovare le tracce di questa invidia nell'isterica - insomma: non vuol dire che essa invidi l'organo maschile, non è di questo che si tratta.
Credo che occorra scartare l'idea per cui la psicoanalisi accrediterebbe la castrazione reale della donna. La castrazione reale è una pura fantasia. Invece, c'è un principio di mancanza nel desiderio umano. Lacan dice spesso che il rapporto sessuale non esiste: se l'uomo fosse uomo e la donna donna sin dall'inizio, se l'amore fosse possibile, non ci sarebbe inconscio. I due sessi girano entrambi attorno ad una mancanza, che ciascuno - dal suo lato della barriera sessuale - condivide e da cui si origina un complesso fallico.
4. Perché gli analisti sono rimasti impressionati da questa fascinazione dell'invidia del pene, e non sono impressionati dal fatto che gli uomini sono affascinati dalla vagina? Un noto analista, Bruno Bettelheim, ha scritto un libro, Le ferite simboliche, per dimostrare anche il contrario. Perché allora il problema in psicoanalisi si pone sempre per la donna, e mai per l'uomo?
Questo è un malinteso. Freud ci ha descritto all'origine questo: bisogna rappresentarsi il bambino e la bambina quando scoprono per la prima volta le loro differenze anatomiche. Ebbene, sia il maschio che la femmina percepiscono reciprocamente il fatto che c'è un problema: la femmina si accorge che c'è un "più" visibile sul corpo del ragazzo, qualcosa dell'ordine dell'immaginario; e quindi si interroga su qualcosa che eventualmente le mancherebbe. Il maschio vede che c'è una differenza, senza che egli la possa interpretare subito. Segnalo come Freud noti bene che è la femmina a giudicare subito: è lei ad avere lo spirito di decisione. Ma immediatamente bisogna porsi la domanda: usando quale referente i due sessi - il maschio come la femmina - si interrogano sul fallo? Il corpo della madre.
Sia il bambino maschio che la bambina nutrono questo pregiudizio della madre fallica; è l'immaginario infantile. È assurdo aspettarsi che la madre sia dotata di un pene, o di un fallo, ma nell'immaginario le cose cominciano così. Forse si tratta di un "cattivo" inizio, ma questo inizio organizza l'immaginario sessuale umano. Dunque, non è l'uomo ad avere il fallo all'origine, nell'immaginario, bensì la madre, nel senso che sia il bambino che la bambina attribuiscono un fallo alla madre in una maniera fantasmatica e immaginaria. Allora, partendo da questo, Freud pone la questione sull'angoscia originaria dell'uomo per questa assenza.
Perché alcuni diventano omosessuali, cioè, sono talmente angosciati - per dirla in modo molto rapido - che rinunciano alla donna come oggetto di desiderio? Perché tutti gli altri, si chiede Freud, uomini eterosessuali, vanno oltre l'angoscia di castrazione e giungono a desiderare una donna? Non c'è risposta. La psicoanalisi ci dice che basta già spiegare perché accade una cosa - e cioè, perché c'è angoscia - e ci si può dispensare dallo spiegare perché qualcosa non accade.
Credo che la psicoanalisi non possa spiegare il desiderio eterosessuale, essa può solo prenderne atto; si tratta semplicemente di una dimensione molto profonda. Il desiderio eterosessuale è un desiderio molto forte. Esso è indubbiamente il desiderio propriamente detto, che passando per la castrazione, viene strutturato sia come angoscia, sia come desiderio realizzato.
5. Per quel che riguarda il desiderio di essere madre, Lei ha fatto riferimento alla tesi di Freud. Questi suppone che la bambina, in fase edipica, abbia il desiderio di avere un bambino dal padre. Come procederà questo desiderio di avere un bambino fino a costituire il desiderio materno nella donna adulta?
La questione è molto importante, soprattutto in un'epoca in cui si parla molto delle tecniche di procreazione assistita medicalmente. Il desiderio del bambino da parte della donna è un termine che ha svolto un ruolo rilevante nei dibattiti femministi, particolarmente nell'epoca attuale dei bambini nati in provetta. Credo che la psicoanalisi possa dire delle cose molto importanti su questo tema.
Punto primo: ad una donna non verrebbe mai il desiderio di un bambino in modo spontaneo, istintivo, se non fosse passata per questo desiderio fantasmatico di avere un bambino dal padre. Ma allo stesso tempo essa deve rinunciare a questa fantasia di avere un bambino dal padre, che blocca paradossalmente il suo accesso alla maternità reale. Dirò molto rapidamente che se non c'è la fantasia di avere un bambino dal padre, forse da grande una donna non potrà diventare madre - ci saranno allora ostacoli psichici; se resta troppo attaccata a quel desiderio incestuoso di avere un bambino dal padre, non potrà volere un bambino da un uomo.
Perché lei rinuncia al desiderio di avere un figlio dal padre? Freud risponde che è perché il bambino non viene; e progressivamente, consumandosi nell'attesa, perviene a rinunciarci. Indubbiamente si sente delusa, talvolta persino umiliata, e quindi si volgerà verso l'uomo.
Il desiderio di bambini è molto complesso, in quanto implica la rinuncia al desiderio edipico, ma anche a vecchie speranze falliche. Perché avere un bambino - in particolare un maschietto per una donna - è il modo di passare dal desiderio fallico al desiderio di un figlio. Lei realizza questo desiderio fallico attraverso il suo "essere madre". E finalmente l'amore dell'uomo è essenziale; ma questo è - direi come direbbero i chimici - un "catalizzatore" del desiderio di avere bambini, non ne è la causa.
Molto spesso una donna ha voglia di avere un bambino perché ama un uomo a cui rivolgerà la domanda d'amore che prima rivolgeva alle immagini genitoriali, parentali. Così l'uomo, in qualche modo, renderà possibile quel desiderio di avere un bambino. Questo è assolutamente essenziale. Però, direi, di stare molto attenti a non costruire un desiderio artificiale di avere bambini nella donna.
In fondo, il sociale si interessa molto al desiderio di bambini perché la donna in quanto madre interessa molto il sociale, nel meccanismo di riproduzione biologica e sociale. Non è forse vero che certi poteri - non tanto il medico, quanto un certo potere medico-sociale - vogliono creare o progettare in qualche modo un desiderio di bambini? Ovviamente, nel caso di una donna sterile il fatto di disporre di mezzi per avere un bambino può essere una grande felicità. Solo la psicoanalisi spiega bene che questo desiderio di bambini può essere impedito per ragioni psichiche.
6. Alcune femministe dicono che se le donne nella nostra civiltà europea e cristiana avessero svolto un altro ruolo sociale, anche la filosofia sarebbe stata diversa. Che cosa ne pensa?
Effettivamente, forse un'ultima dimensione essenziale del discorso freudiano sulla femminilità è la considerazione della donna non in quanto soggetto che ha sintomi, ma in quanto "fa" sintomo nella cultura. Freud la chiama Kultur, che in tedesco designa, più che la cultura in senso generico, il processo di incivilimento.
Vorrei ricordare molto rapidamente che Freud, nell'opera Totem e tabù, situa all'origine stessa della civiltà un evento fondatore mitologico, l'uccisione del padre. Ora, l'uccisione del padre, che è stata consumata dai figli, è un evento che si produce tra uomini. Ad un certo momento, in questo gregge primitivo dove un solo maschio domina tutti, i giovani maschi e poi le donne, creano la "cultura" nel senso specifico di incivilimento, proprio in virtù dell'uccisione dell'autorità primitiva. I figli, proprio attraverso quell'atto cruento, interiorizzano la legge dell'autorità primitiva che ha istituito il diritto, la società, la proibizione, ecc., e creano la loro famiglia: ritroviamo lo stesso processo all'interno di ogni famiglia esistente, dove i figli devono operare un lavoro fantasmatico di uccisione del padre. Allora, la domanda da porre a tale proposito è: "dove sono qui le donne?"
Mi sembra molto importante il fatto che Freud non pensi che, nel suo mito scientifico, come lui dice, le donne abbiano partecipato al parricidio primitivo. A me pare del tutto ingiusto che paradossalmente le donne nei miti, come in certe religioni - e un po' persino nella psicoanalisi - siano spesso legate alla colpa. Freud ci dice del resto che proprio perché le donne erano innocenti all'origine che nel mito hanno finito con l'essere incolpate. Gli uomini si sono battuti a causa delle donne, all'origine, e si è finito col dire che la donna ha incitato all'uccisione, e che dunque è la causa di tutto. Questo ha fatto sì che ella sia divenuta l'istigatrice al delitto. A questo proposito bisognerebbe rileggere - ma è una questione difficile - la creazione della donna nella Bibbia. Ma è evidente che la donna si pone delle domande su ciò che ella è; e da questo punto di vista direi che la donna "fa sintomo" nell'ordine sociale, nell'ordine simbolico. Di qui il sentimento di perplessità un po' cronico di una donna su ciò che ella è. E allora forse direi, più fondamentalmente ancora, che la donna "fa sintomo" al pensiero. Il fatto più importante, forse più grave, in un certo senso, è che le donne hanno spesso l'impressione di vivere in un mondo nel quali occorre divenire socialmente uomini, e quindi assumere i modelli maschili per poter riuscire.
Ecco che cosa dà la vera dimensione del problema, rispetto a cui si potrebbero considerare altre cose. Per esempio, il fatto che non sono solo il padre e i figli gli unici protagonisti dell'uccisione originaria: c'è un altro elemento che Freud stesso rintraccia, vale a dire la dea madre. In effetti, c'erano state delle grandi discussioni, nell'Ottocento, in etnologia, sul matriarcato, vale a dire su una fase delle società umane, forse mitologica, nella quale era la donna - la dea madre - a regnare. Freud stesso parla della Diana Efesia, ad Efeso in Asia Minore. Mai gli uomini sono riusciti a eliminare la dea madre.
Allora, da questo punto di vista, credo che l'inconscio umano possa essere considerato come un conflitto tra la legge del padre, da una parte, e il riferimento alla femminilità, dall'altra. In questo senso posso dire che la femminilità sarebbe legata ad un "vacillamento" del simbolico. Nella mia opera Freud e la donna, parlo addirittura della femminilità, e del femminile, come inverso del simbolico, e si potrebbe dire che ho cercato di mostrarlo sia sul piano clinico, cioè sul piano del divenire-donna di cui parlavamo prima, sia sul piano culturale. Ebbene, da questo punto di vista la femminilità sarebbe un po' la prova di verità del simbolico stesso. È dunque giusto che, non potendo e non volendo Freud rispondere alla domanda "che cosa è la donna?", ci si lasci interpellare dalla donna stessa.
Intervista realizzata il 5 - 5 - 1994 a Parigi - Istituto Italiano di Cultura
1. Professor Assoun, Lei pensa che il processo attraverso cui la donna diventa "se stessa" è un processo più complicato di quanto non avvenga nel caso dell'uomo?
Questa è un'ottima domanda, perché formulata a partire dal testo freudiano, testo su cui bisogna fare sempre moltissima attenzione. Freud, in effetti, non parla mai di un "diventar uomini". Ora, l'uomo stesso, ovviamente, passa per il processo del piccolo Edipo, che è un processo psichico, che comporta dei conflitti.
Ma Freud introduce, molto tardivamente - perché questo accade pochi anni prima della sua morte avvenuta nel 1939 - una nozione capitale, la categoria del "divenir donna", che io prendo particolarmente sul serio, perché da quanto si evince sembra che Freud si accorga che non c'è un Edipo incrociato. Questo è quel che si crede, spesso, sulla base di una mezza conoscenza della psicoanalisi: il maschio si innamorerebbe fantasmaticamente della madre, a cui egli rinuncia prima di abbordare la donna, e la femmina si innamora del padre, in modo che poi, si accosta all'uomo. Ora, Freud scopre l'importanza fondamentale della fissazione primitiva della bambina nei confronti della madre. Io, che ho lavorato anche sulla passione, parlerei qui veramente di "passione materna": vale a dire, che, per ragioni complesse, la bambina è particolarmente attaccata alla madre come oggetto d'amore. È una relazione fusionale, ma direi anche che si tratta di una relazione passionale.
Anche il bambino è molto attaccato alla madre - è una questione su cui è difficile parlare rapidamente - ma il ragazzo, mi pare, slitta molto rapidamente da questo rapporto fusionale orale, dove è la madre nutritiva a dare amore, verso una relazione edipica. Molto presto, il maschio giunge ad elaborare quella relazione di desiderio che lo impegna nel suo Edipo, e che implica il padre; passa dalla fase orale alla fase anale, e quindi elabora il suo Edipo. Freud fa una specie di autocritica, alla fine del suo percorso, quando dice di aver sottovalutato la durata e l'intensità dell'attaccamento primitivo della bambina nei confronti della madre; ed insisto bene sul fatto che questo significa un attaccamento strutturale alla madre, in modo tale che la bambina, certo, ritornerà al padre, laddove lei riconosce il proprio Edipo, se così posso dire.
La bambina - questo è importantissimo - deve fare uno sforzo psichico considerevole per darsi delle ragioni di rinunciare alla madre. Purtuttavia, ad un certo punto, lei rinuncia alla madre: la fine dello stato di grazia della relazione con la madre è molto visibile, si manifesta ad esempio nelle relazioni di rivalità madre-figlia, che possono essere difficilissime, specialmente nella pre-pubertà della ragazza e nell'adolescenza. La ragazza rivolgerà alla madre ogni tipo di rimproveri, che in realtà sono, appunto, rimproveri passionali. È come quando si è amato appassionatamente qualcuno, verso cui si ha poi un enorme risentimento. Ebbene, la bambina metterà in opera una specie di processo contro sua madre, in cui tutto quel che era positivo diventa negativo: le rimprovererà - proprio lei che voleva tanto starle accanto - di averla sedotta attraverso cure corporee. Evocherà, ad esempio, il fatto di non essere un ragazzo e che questo ha potuto nuocerle, le rimprovererà di dividere il suo amore con i fratelli e sorelle. Insomma, darà a se stessa delle ragioni per abbandonarla, per lasciarla. E a questo punto immediatamente si volgerà verso il padre, si lamenterà della madre che pure ha amato tanto, e comincerà ad amare e ad idealizzare il padre. In fondo, dice molto giustamente Freud, "ci sono tante ragioni per il comportamento della bambina ma in fondo ce n'è una sola: che quell'amore, senza il suo obiettivo, non può realizzarsi, è troppo forte per esistere".
In questo modo, il padre, presentandosi come un'alternativa, assume un ruolo molto importante per la ragazza. Lo sguardo del padre è molto importante - dico bene lo sguardo - per permettere alla ragazza di sentirsi una donna, ed è qui che ovviamente troveremo il desiderio edipico e il fantasma.
2. Freud, nel suo articolo "Introduzione al narcisismo", dice anche che la donna in generale è più narcisistica dell'uomo. Che cosa voleva dire con questo?
Bisogna forse dire anche che cosa Freud intenda per narcisismo. È una nozione introdotta da Freud a partire dall'inizio degli anni 1910, in particolare in un testo del 1914, Introduzione al narcisismo. Qui egli mette l'accento sul fatto che la libido sessuale non è come l'aveva descritta fino ad allora - questo mostra che la psicoanalisi evolve sotto la pressione dei fatti clinici, non è una filosofia, non è un sistema. Egli si accorge che la libido non si definisce semplicemente grazie al suo oggetto esterno, ma grazie a quel che chiama "libido dell'io", cioè dalla possibilità, per il bambino, di investire il proprio desiderio su se stesso, così come Narciso, il quale, secondo Ovidio, si innamora della propria immagine che egli vede riflessa sull'acqua.
Solo in seguito questa libido narcisistica, investita originariamente sul soggetto, è ceduta agli oggetti. Dunque, quel che si chiama narcisismo è appunto questo investimento auto-erotico, unificato attorno all'Io. In effetti, il momento narcisistico è particolarmente importante nella costituzione del diventar donna. È importante quel che Freud ci dice: quando la donna, subisce, in modo molto concreto, quella grandissima trasformazione corporea al momento della pubertà, ebbene, questa trasformazione corporea estremamente spettacolare fa sì che la sua immagine si modifichi in modo davvero spettacolare, e succede allora molto spesso che essa investa questa immagine in modo estremamente forte.
Ci sono, certo, delle donne particolarmente narcisistiche che amano solo se stesse - in fondo è l'immagine della star che preferisce essere amata anziché amare. Ma in modo più fondamentale direi che il narcisismo gioca un ruolo estremamente importante nella donna, perché la donna è costretta ad amarsi, ad investire su di sé per cedere poi una parte della sua libido agli oggetti. Dunque in un certo senso se lei non è amata - attraverso lo sguardo del padre ed il legame con la madre - non può amarsi; deve sempre operare un'elaborazione narcisistica particolare, laddove l'uomo è indubbiamente più incline a tutto quel lavoro di identificazione simbolica, di rapporto all'oggetto, di rapporto alla legge, che gli permette di staccarsi più facilmente da quel narcisismo. È forse anche quel che costituisce l'intensità dell'amore nella donna: è un amore dell'altro che è allo stesso tempo un amore narcisistico.
3. Riguardo all'incontro di Freud con le isteriche, si è colpiti dal fatto che, all'epoca in cui Freud riscopre il fenomeno dell'isteria, sorgeva il femminismo storico. Il fatto che Freud si accorga della femminilità e quindi del dramma del "diventar donna" è legato in qualche modo alla situazione specifica della donna nella sua epoca?
Primo punto: il fatto che femminismo e psicoanalisi siano contemporanei non è affatto una cosa fortuita. Secondo punto: Freud ha sempre detto - questo è il punto ovviamente dolente delle relazioni tra psicoanalisi e femminismo - che la psicoanalisi non si prestava ad un uso polemico, a quello che lui chiama "uso agonale", in termini, cioè, di lotta. Con questo si vuol dire che la psicoanalisi non si regola su come le cose dovrebbero essere.
Il femminismo, al contrario della psicoanalisi, milita, combatte - perché questo è il suo compito - per l'emancipazione della donna. Ma questa differenza non comporta da parte della psicoanalisi alcuna forma di misoginia, perché essa si accosta alla donna come soggetto. Per questa ragione Freud non ha mai dato forma sistematica ai suoi argomenti. La psicoanalisi, ci dice Freud, non è una Weltanschauung - termine tedesco difficile da tradurre - una "visione del mondo". Non è una visione del mondo che metterebbe le cose a posto in modo da formare una bella sintesi. Una Weltanschauung è un po', in fondo, un'ideologia, una visione del mondo. Allora, da questo punto di vista il femminismo è una Weltanschauung utile, certamente necessaria; ma la psicoanalisi può dire semplicemente che cosa essa impara dalla realtà sul "volere al femminile", sul "desiderio al femminile".
In particolare, si è posta la questione della castrazione, e le femministe - forse sulla base di fraintendimenti -, se la sono presa a male per certe formule di Freud, come nel caso della sua famosa idea del "Penisneid", vale a dire dell'"invida del pene", un elemento che sarebbe del tutto essenziale alla femminilità.
Mi pare che l'invidia del pene sia, da una parte, un elemento evidentemente legato al contesto sociale e relazionale della bambina, che si tratta di una creazione sociale, qualcosa che, più esattamente, è mantenuta dal sociale; ma dall'altra, è anche vero che si può reperire nel desiderio femminile - e questo è inconfutabile - una fascinazione fallica. Forse è utile distinguere, come fa Lacan, il pene come organo distinguendolo dal fallo che sarebbe in qualche modo una specie di significante, portatore del desiderio. Da questo punto di vista, la donna è affascinata da ciò che costituisce l'emblema, se così posso dire, del desiderio. Questo non vuol dire che lei invidi il pene, benché si possano trovare le tracce di questa invidia nell'isterica - insomma: non vuol dire che essa invidi l'organo maschile, non è di questo che si tratta.
Credo che occorra scartare l'idea per cui la psicoanalisi accrediterebbe la castrazione reale della donna. La castrazione reale è una pura fantasia. Invece, c'è un principio di mancanza nel desiderio umano. Lacan dice spesso che il rapporto sessuale non esiste: se l'uomo fosse uomo e la donna donna sin dall'inizio, se l'amore fosse possibile, non ci sarebbe inconscio. I due sessi girano entrambi attorno ad una mancanza, che ciascuno - dal suo lato della barriera sessuale - condivide e da cui si origina un complesso fallico.
4. Perché gli analisti sono rimasti impressionati da questa fascinazione dell'invidia del pene, e non sono impressionati dal fatto che gli uomini sono affascinati dalla vagina? Un noto analista, Bruno Bettelheim, ha scritto un libro, Le ferite simboliche, per dimostrare anche il contrario. Perché allora il problema in psicoanalisi si pone sempre per la donna, e mai per l'uomo?
Questo è un malinteso. Freud ci ha descritto all'origine questo: bisogna rappresentarsi il bambino e la bambina quando scoprono per la prima volta le loro differenze anatomiche. Ebbene, sia il maschio che la femmina percepiscono reciprocamente il fatto che c'è un problema: la femmina si accorge che c'è un "più" visibile sul corpo del ragazzo, qualcosa dell'ordine dell'immaginario; e quindi si interroga su qualcosa che eventualmente le mancherebbe. Il maschio vede che c'è una differenza, senza che egli la possa interpretare subito. Segnalo come Freud noti bene che è la femmina a giudicare subito: è lei ad avere lo spirito di decisione. Ma immediatamente bisogna porsi la domanda: usando quale referente i due sessi - il maschio come la femmina - si interrogano sul fallo? Il corpo della madre.
Sia il bambino maschio che la bambina nutrono questo pregiudizio della madre fallica; è l'immaginario infantile. È assurdo aspettarsi che la madre sia dotata di un pene, o di un fallo, ma nell'immaginario le cose cominciano così. Forse si tratta di un "cattivo" inizio, ma questo inizio organizza l'immaginario sessuale umano. Dunque, non è l'uomo ad avere il fallo all'origine, nell'immaginario, bensì la madre, nel senso che sia il bambino che la bambina attribuiscono un fallo alla madre in una maniera fantasmatica e immaginaria. Allora, partendo da questo, Freud pone la questione sull'angoscia originaria dell'uomo per questa assenza.
Perché alcuni diventano omosessuali, cioè, sono talmente angosciati - per dirla in modo molto rapido - che rinunciano alla donna come oggetto di desiderio? Perché tutti gli altri, si chiede Freud, uomini eterosessuali, vanno oltre l'angoscia di castrazione e giungono a desiderare una donna? Non c'è risposta. La psicoanalisi ci dice che basta già spiegare perché accade una cosa - e cioè, perché c'è angoscia - e ci si può dispensare dallo spiegare perché qualcosa non accade.
Credo che la psicoanalisi non possa spiegare il desiderio eterosessuale, essa può solo prenderne atto; si tratta semplicemente di una dimensione molto profonda. Il desiderio eterosessuale è un desiderio molto forte. Esso è indubbiamente il desiderio propriamente detto, che passando per la castrazione, viene strutturato sia come angoscia, sia come desiderio realizzato.
5. Per quel che riguarda il desiderio di essere madre, Lei ha fatto riferimento alla tesi di Freud. Questi suppone che la bambina, in fase edipica, abbia il desiderio di avere un bambino dal padre. Come procederà questo desiderio di avere un bambino fino a costituire il desiderio materno nella donna adulta?
La questione è molto importante, soprattutto in un'epoca in cui si parla molto delle tecniche di procreazione assistita medicalmente. Il desiderio del bambino da parte della donna è un termine che ha svolto un ruolo rilevante nei dibattiti femministi, particolarmente nell'epoca attuale dei bambini nati in provetta. Credo che la psicoanalisi possa dire delle cose molto importanti su questo tema.
Punto primo: ad una donna non verrebbe mai il desiderio di un bambino in modo spontaneo, istintivo, se non fosse passata per questo desiderio fantasmatico di avere un bambino dal padre. Ma allo stesso tempo essa deve rinunciare a questa fantasia di avere un bambino dal padre, che blocca paradossalmente il suo accesso alla maternità reale. Dirò molto rapidamente che se non c'è la fantasia di avere un bambino dal padre, forse da grande una donna non potrà diventare madre - ci saranno allora ostacoli psichici; se resta troppo attaccata a quel desiderio incestuoso di avere un bambino dal padre, non potrà volere un bambino da un uomo.
Perché lei rinuncia al desiderio di avere un figlio dal padre? Freud risponde che è perché il bambino non viene; e progressivamente, consumandosi nell'attesa, perviene a rinunciarci. Indubbiamente si sente delusa, talvolta persino umiliata, e quindi si volgerà verso l'uomo.
Il desiderio di bambini è molto complesso, in quanto implica la rinuncia al desiderio edipico, ma anche a vecchie speranze falliche. Perché avere un bambino - in particolare un maschietto per una donna - è il modo di passare dal desiderio fallico al desiderio di un figlio. Lei realizza questo desiderio fallico attraverso il suo "essere madre". E finalmente l'amore dell'uomo è essenziale; ma questo è - direi come direbbero i chimici - un "catalizzatore" del desiderio di avere bambini, non ne è la causa.
Molto spesso una donna ha voglia di avere un bambino perché ama un uomo a cui rivolgerà la domanda d'amore che prima rivolgeva alle immagini genitoriali, parentali. Così l'uomo, in qualche modo, renderà possibile quel desiderio di avere un bambino. Questo è assolutamente essenziale. Però, direi, di stare molto attenti a non costruire un desiderio artificiale di avere bambini nella donna.
In fondo, il sociale si interessa molto al desiderio di bambini perché la donna in quanto madre interessa molto il sociale, nel meccanismo di riproduzione biologica e sociale. Non è forse vero che certi poteri - non tanto il medico, quanto un certo potere medico-sociale - vogliono creare o progettare in qualche modo un desiderio di bambini? Ovviamente, nel caso di una donna sterile il fatto di disporre di mezzi per avere un bambino può essere una grande felicità. Solo la psicoanalisi spiega bene che questo desiderio di bambini può essere impedito per ragioni psichiche.
6. Alcune femministe dicono che se le donne nella nostra civiltà europea e cristiana avessero svolto un altro ruolo sociale, anche la filosofia sarebbe stata diversa. Che cosa ne pensa?
Effettivamente, forse un'ultima dimensione essenziale del discorso freudiano sulla femminilità è la considerazione della donna non in quanto soggetto che ha sintomi, ma in quanto "fa" sintomo nella cultura. Freud la chiama Kultur, che in tedesco designa, più che la cultura in senso generico, il processo di incivilimento.
Vorrei ricordare molto rapidamente che Freud, nell'opera Totem e tabù, situa all'origine stessa della civiltà un evento fondatore mitologico, l'uccisione del padre. Ora, l'uccisione del padre, che è stata consumata dai figli, è un evento che si produce tra uomini. Ad un certo momento, in questo gregge primitivo dove un solo maschio domina tutti, i giovani maschi e poi le donne, creano la "cultura" nel senso specifico di incivilimento, proprio in virtù dell'uccisione dell'autorità primitiva. I figli, proprio attraverso quell'atto cruento, interiorizzano la legge dell'autorità primitiva che ha istituito il diritto, la società, la proibizione, ecc., e creano la loro famiglia: ritroviamo lo stesso processo all'interno di ogni famiglia esistente, dove i figli devono operare un lavoro fantasmatico di uccisione del padre. Allora, la domanda da porre a tale proposito è: "dove sono qui le donne?"
Mi sembra molto importante il fatto che Freud non pensi che, nel suo mito scientifico, come lui dice, le donne abbiano partecipato al parricidio primitivo. A me pare del tutto ingiusto che paradossalmente le donne nei miti, come in certe religioni - e un po' persino nella psicoanalisi - siano spesso legate alla colpa. Freud ci dice del resto che proprio perché le donne erano innocenti all'origine che nel mito hanno finito con l'essere incolpate. Gli uomini si sono battuti a causa delle donne, all'origine, e si è finito col dire che la donna ha incitato all'uccisione, e che dunque è la causa di tutto. Questo ha fatto sì che ella sia divenuta l'istigatrice al delitto. A questo proposito bisognerebbe rileggere - ma è una questione difficile - la creazione della donna nella Bibbia. Ma è evidente che la donna si pone delle domande su ciò che ella è; e da questo punto di vista direi che la donna "fa sintomo" nell'ordine sociale, nell'ordine simbolico. Di qui il sentimento di perplessità un po' cronico di una donna su ciò che ella è. E allora forse direi, più fondamentalmente ancora, che la donna "fa sintomo" al pensiero. Il fatto più importante, forse più grave, in un certo senso, è che le donne hanno spesso l'impressione di vivere in un mondo nel quali occorre divenire socialmente uomini, e quindi assumere i modelli maschili per poter riuscire.
Ecco che cosa dà la vera dimensione del problema, rispetto a cui si potrebbero considerare altre cose. Per esempio, il fatto che non sono solo il padre e i figli gli unici protagonisti dell'uccisione originaria: c'è un altro elemento che Freud stesso rintraccia, vale a dire la dea madre. In effetti, c'erano state delle grandi discussioni, nell'Ottocento, in etnologia, sul matriarcato, vale a dire su una fase delle società umane, forse mitologica, nella quale era la donna - la dea madre - a regnare. Freud stesso parla della Diana Efesia, ad Efeso in Asia Minore. Mai gli uomini sono riusciti a eliminare la dea madre.
Allora, da questo punto di vista, credo che l'inconscio umano possa essere considerato come un conflitto tra la legge del padre, da una parte, e il riferimento alla femminilità, dall'altra. In questo senso posso dire che la femminilità sarebbe legata ad un "vacillamento" del simbolico. Nella mia opera Freud e la donna, parlo addirittura della femminilità, e del femminile, come inverso del simbolico, e si potrebbe dire che ho cercato di mostrarlo sia sul piano clinico, cioè sul piano del divenire-donna di cui parlavamo prima, sia sul piano culturale. Ebbene, da questo punto di vista la femminilità sarebbe un po' la prova di verità del simbolico stesso. È dunque giusto che, non potendo e non volendo Freud rispondere alla domanda "che cosa è la donna?", ci si lasci interpellare dalla donna stessa.
Intervista realizzata il 5 - 5 - 1994 a Parigi - Istituto Italiano di Cultura
giovedì 4 giugno 2009
Benvenuti agli amici di Amnesty
Il giorno 10 giugno avremo gli amici di Amnesty con il loro banchetto per raccogliere le firme contro la violenza sulle donne davanti alla sala cinema.
Ieri al seminario sono andate soltanto Sonia e Luisa. Se qualcun altra è andata , un grande applauso.
Chiedo a Sonia o Luisa se vogliono continuare il "loro" report.
Mandana
Ieri al seminario sono andate soltanto Sonia e Luisa. Se qualcun altra è andata , un grande applauso.
Chiedo a Sonia o Luisa se vogliono continuare il "loro" report.
Mandana
lunedì 1 giugno 2009
(MINI)REPORT 27 MAGGIO
Dalle 14 di mercoledi scorso eravamo in Aula M, Veronica, Adelaide ed io. Abbiamo chiacchierato un po' e poi abbiamo aspettato le altre. Solo Michela è arrivata dopo un po' e ci ha lasciato una lettera (ce l'ha Mandana). Sono andate tutte via e io sono rimasta guardando la posta finchè non è arrivata Mandana e abbiamo continuato a parlare...(si rinvia a INTOPPI).
Quello di mercoledi è il secondo semi vuoto del gruppo o si tratta del primo vero e proprio vuoto, fisiologico anche esso?
Parto domani per Barcellona. Torno tra dieci giorni. Ci vediamo il 17 giugno. Buon Persepolis. Mi mancherete.
Besosmil
Quello di mercoledi è il secondo semi vuoto del gruppo o si tratta del primo vero e proprio vuoto, fisiologico anche esso?
Parto domani per Barcellona. Torno tra dieci giorni. Ci vediamo il 17 giugno. Buon Persepolis. Mi mancherete.
Besosmil
X ADELAIDE
Grazie mia cara Adelaide per esser venuta e perdonami se solo oggi ti ricordo.
Con Ade saremo stati 11....
Con Ade saremo stati 11....
Iscriviti a:
Post (Atom)