sabato 27 giugno 2009

Report del 24 Giugno

Presenti: Michela, Pina, Lola, Elisa, Adelaide, Mandana, Teresa, Sonia.


- Nella prima ora ci siamo dedicate alla parte logistica: Michela ha portato le locandine e le brochure della staffetta (davvero belle!!) che sono state divise tra le presenti. Dopo vari scambi e riconteggi, finalmente siamo riuscite a individuare i punti di distribuzione (biblioteche, facoltà, librerie, mense, bar.....) e la quantità di materiale da destinare a ciascun luogo. La staffetta è vicina, quindi abbiamo deciso di non perdere tempo e cominciare subito con l'attacchinaggio selvaggio!


- Teresa ha riportato al gruppo, la proposta lanciata dalle donne del Mara Meoni, di partecipare all'incontro che ci sarà, probabilmente in autunno, con la scrittrice Luisa Muraro, in occasione della presentazione del libro "il mercato della felicità". A parte Michela (che era stata individuata dal Mara Meoni, come possibile interlocutrice), nessuna delle presenti, ha letto il libro. Il fulcro del testo (che emerge anche dal titolo) è il rapporto delle donne contemporanee con un mercato del lavoro sempre più flessibile e precario, che tuttavia riesce, proprio per le sue caratteristiche, a rappresentare una nuova possibilità di emersione e dunque affermazione femminile (aiuto!!!). Ovviamente, tra di noi, questa posizione ha incontrato forti critiche; in ogni caso, sarà necessario (e il gruppo si è trovato d'accordo) leggere il libro, discuterne i contenuti insieme e poi decidere se e con quali modalità eventualmente partecipare all'incontro.


- Durante la seconda ora siamo tornate a confrontarci sui momenti di attrito che negli ultimi periodi il gruppo ha vissuto. E' stata una riflessione importante, che ha spostato il focus, da una dimensione puramente personale, ad una, a mio avviso, di gran lunga più utile e costruttiva, che ha aperto varie questioni, sulle quali evidentemente, abbiamo ancora bisogno di discutere: qual'è il ruolo del nostro gruppo? cosa ci aspettiamo adesso dal gruppo e cosa ci aspettavamo quando abbiamo deciso di prendervi parte?

Mandana apre la riflessione, denunciando quella che lei (se non ho capito male) percepisce come una sorta di superficialità nei rapporti interni al gruppo; superficialità che si traduce in una non condivisione delle esperienze personali e delle attività che sono portate avanti singolarmente (nel caso specifico l'organizzazione del ciclo di proiezioni). Mandana si chiede quale ruolo giochi tra di noi la solidarietà, e di li a poco emerge, uno dei nodi, forse il più importante, ancora da sciogliere: quello della fiducia. Mandana ammette di non fidarsi pienamente del gruppo, per la presenza di un background negativo legato ad alcune esperienze di esclusione, vissute in passato. Esperienze, che l'hanno portata a maturare una specie di diffidenza a priori nei confronti dell'attività di gruppi di questo tipo.

Probabilmente, alla parola fiducia, ognuna delle presenti si è interrogata sulle proprie aspettative, sui dubbi iniziali e sulle modalità individuali di partecipazione: Adelaide, ad esempio , ha espresso la voglia e l 'entusiasmo di stare nel gruppo, ma l'incapacità di parlare delle proprie esperienze personali. Una questione già emersa qualche tempo fa, che conferma ancora una volta i punti di forza del nostro gruppo: l'eterogeneità delle modalità di partecipazione/condivisione, la soggettività di ognuna di noi e la presenza di percorsi individuali di riflessione e analisi che devono assolutamente essere rispettati e mai forzati.

A cosa serve allora il gruppo? è questa la domanda che più volte Pina e Michela rivolgono a Mandana, sollecitando una riflessione sul nostro modo di stare insieme. E' la frase usata da Monica nel suo ultimo report ("questo non è un gruppo di autoaiuto") a ridefinire ancora una volta i contorni della discussione.

Il gruppo accoglie (Pina), il gruppo si confronta con modalità diverse sul tema dell'identità di genere all'interno dell'ambito universitario (Michela), il fine del gruppo non è l'accoglimento della storia personale di chi vi partecipa (Elisa). Ed è proprio Elisa a rimarcare, quello che forse, per molte di noi, era già stato interiorizzato nel corso di questi mesi: nel gruppo i singoli bisogni devono trovare spazio, ma questo non può in alcun modo spezzare il flusso e il ritmo di una comunicazione basata su "norme" tacite ma condivise ormai da tutte (rispetto dei turni di parola, abbandono di modalità individuali di partecipazione che spostano di continuo il focus, emersione di atteggiamenti vittimistici che riportano sul piano personale questioni generali, uso di un linguaggio allusivo).

Più o meno a questo punto, me ne sono andata....per cui chiedo gentilmente a Pina di finire il report...grazie!!!
Quasi dimenticavo, sarebbe utile segnalare chi ci sarà al prossimo incontro, perchè a quanto pare alcune non potranno esserci. Io vi posso già dire che purtroppo non ce la farò a venire!

Un bacio a tutte








2 commenti:

mandana ha detto...

Cara Sonia grazie per il report. Dopo che tu sei andata via io non ho potuto trattenermi e mi sono lasciato in un sfogo molto femminile:un pianto inarrestabile.

adelaide ha detto...

Siccome non riesco a scrivere un post nel blog perchè probabilmente l'amministratore del blog mi deve invitare a partecipare a questo blog (o comunque una cosa del genere) vi scrivo qui una mia riflessione riguardante la risignificazione del termine "dovere".In questi giorni ho pensato molto alle discussioni che abbiamo avuto negli ultimi due incontri e soprattutto ho riflettuto sul significato del termine “dovere”. Come ha riassunto bene Monica non tutte eravamo d’accordo sul significato di questo verbo, tantoché è stata proposta una risignificazione del termine. Mandana ad esempio ha identificato il dovere come un “dover essere” una sorta di disciplina che ci consente di vivere in modo civile e di non fare gesti inconsueti o non riconosciuti dalla società come gesti e azioni normali. Altre hanno parlato non di “dover essere” ma di “assumersi la responsabilità” . Tutti questi discorsi a volte anche troppo complicati per i miei gusti mi hanno portato a riflettere anche su me stessa. Io non voglio parlare di “dover essere” ma di“libero di essere”. Dal momento in cui nasciamo l’essere umano è libero!Certo esistono i doveri, oltre ai diritti, ma quel tipo di dovere secondo me è semplicemente “rispetto” che ognuno ha innato dentro di se ma che non sempre riesce a venire fuori. Quando io parlo di dover fare qualcosa mi riferisco sempre a qualcosa di poco gradevole:dover andare a lavoro, dover stirare ecc. Non voglio che me stessa sia definita un “dover essere”,io voglio essere “libera di essere” (che gioco di parole). E’ difficile cercare di esprimere le mie idee in modo oggettivo evitando il soggettivismo. Questo è un argomento che mi tocca abbastanza, forse perché nella mia vita molti hanno voluto e sperato che io fossi un’altra e a volte mi hanno costretto a sopprimere la mia essenza e a volte l’ho fatto proprio per dovere. Il dovere per me non è una cosa piacevole, la sento come un’imposizione e almeno per quanto riguarda il mio carattere, la mia personalità, le mie idee, i miei valori non voglio MAI e ripeto MAI doverli cambiare. Ecco questa è la mia libertà di essere, io scelgo di essere quella che sono:impulsiva, casinista, chiacchierona,confusionaria. E riferendomi sempre alle parole di Mandana anche il termine “disciplina” non ha un suono gradevole. Non siamo una massa di robot che rispettano le leggi o le persone a comando. La disciplina per me è collegata ad un campo tipo quello militare. Quello che Mandana ha definito disciplina per me è convivenza civile che deriva dal fatto che noifaccimo parte di una società in cui certe regole per noi scontate o sottoscritte sono nate secoli se non millenni prima. Non so se sono riuscita a farmi comprendere e forse ho sforato pure la tematica però erano pensieri che volevo condividere con voi.
Un bacio. Adelaide