un caloroso saluto a tutte.
mandana
sabato 31 gennaio 2009
mercoledì 28 gennaio 2009
Bozza questionario al 18 dicembre 08
ULTIMA VERSIONE QUESTIONARIO (SCRITTA IL GIORNO PRIMA DELL'INCONTRO DEL 28 GENNAIO).
Questo è il mio tentativo di inserire le modifiche al questionario emerse nell'incontro del 18 dicembre, prima delle vacane di Natale, che dovevo inserire da allora. Io avevo segnato le correzioni fino alla prima domanda, e Vale, mi pare, le seguenti. Non riesco però a trovare on line né le correzioni di Vale né le bozze precedenti, quindi quella su cui mi baso è la bozza postata da Pina qui sotto, il 5 dicembre. Scusate la confusione!
1.“Donne e uomini sono uguali”. Sei d’accordo con questa affermazione?
a. D’accordo
b. Parzialmente d’accordo
c. Più in disaccordo che in accordo
d. Del tutto in disaccordo
Perché?
2.In che cosa ti senti diversa dai tuoi coetanei maschi?
(Avevamo stabilito di scrivere “indica 3 opzioni”. E' folle pensare di chiedere, per le opzioni quantificabili, di indicare se credono che quella prerogativa si applichi più o meno a loro o ai maschi? Ne avevamo già discusso, ma a mente fredda mi pare utile. In ogni caso indico le opzioni che ritengo quantificabili)
a. struttura anatomica e sessuale
b. caratteristiche fisiologiche complessive (funzionamento del cervello, forza fisica, ecc.)
c. rapporto col cibo
d. rapporto con la sessualità
e. rapporto con la famiglia d’origine
f. educazione ricevuta
g. mentalità
h. desideri (a me questa non mi convince, è troppo vaga. Invece inserirei una cosa che manca “desiderio di formare una famiglia in futuro”. QUANTIFICABILE)
i. capacità di studio (QUANTIFICABILE)
l. volontà di primeggiare (QUANTIFICABILE)
m. desiderio di realizzarsi (oppure formulare come “volontà di affermarsi, realizzarsi, ecc.) (QUANTIFICABILE)
n. interesse per il potere (QUANTIFICABILE)
o. capacità (o “modalità”?) di relazionarsi con gli altri (QUANTIFICABILE)
p. altro (specifica che cosa)
3.Qual è l’elemento che a tuo avviso ti accomuna maggiormente alle altre donne?
3bis.E quale quello per cui ti senti maggiormente diversa da loro?
4.Nella nostra società godono di maggiori vantaggi
a. gli uomini
b. le donne
Perché?
5.Qual è l’ambito di vita in cui ti senti più diversa da tua madre? Indica una sola opzione
a. la sfera sessuale e amorosa
b. la sfera dello studio e dei progetti di lavoro
c. lo stile di vita quotidiano
d. la cura di sé
5. bis In quale di questi ambiti ritieni che tua madre si sia maggiormente diversificata rispetto a sua madre (tua nonna)? Indica una sola opzione
a. la sfera sessuale e amorosa
b. la sfera dello studio e del lavoro
c. lo stile di vita quotidiano
d. la cura di sé
6. C’è un obiettivo specifico per cui ti batteresti come donna?
Riporto dalla prima correzione postata da Pina il 5 dicembre: “Marzia ha espresso l’urgenza di veder specificata la collocazione identitaria: ha senso parlare di ‘identità di genere’ fuori da una chiara scelta di collocazione etnica, politica, culturale?
Al gruppo è sembrato che la ‘scelta di collocazione’ possa comunque emergere dal testo delle risposte piuttosto che dal presupposto della domanda. Propongo comunque che su questo punto torniamo a riflettere nel prossimo incontro”.
a. sì (specifica quale)
b. no
7. “Hai mai sentito parlare di “identità di genere”?
a. no
b. si: come spiegheresti l’espressione…?
8. Ti è piaciuto fare il test?
a. sì
b. no
9. “Le donne sono...” Scegli tre aggettivi
a.
b.
c.
Questa domanda, a come sono rimasta io, proponevate di metterla in chiusura come 8.bis, però non mi pare tanto legata alla precedente. In ogni caso propongo di metterla a distanza da quelle con cui si verifica le percezioni soggettive (in cosa ti senti diversa, uguale ecc.) per non creare confusioni.
Questo è il mio tentativo di inserire le modifiche al questionario emerse nell'incontro del 18 dicembre, prima delle vacane di Natale, che dovevo inserire da allora. Io avevo segnato le correzioni fino alla prima domanda, e Vale, mi pare, le seguenti. Non riesco però a trovare on line né le correzioni di Vale né le bozze precedenti, quindi quella su cui mi baso è la bozza postata da Pina qui sotto, il 5 dicembre. Scusate la confusione!
1.“Donne e uomini sono uguali”. Sei d’accordo con questa affermazione?
a. D’accordo
b. Parzialmente d’accordo
c. Più in disaccordo che in accordo
d. Del tutto in disaccordo
Perché?
2.In che cosa ti senti diversa dai tuoi coetanei maschi?
(Avevamo stabilito di scrivere “indica 3 opzioni”. E' folle pensare di chiedere, per le opzioni quantificabili, di indicare se credono che quella prerogativa si applichi più o meno a loro o ai maschi? Ne avevamo già discusso, ma a mente fredda mi pare utile. In ogni caso indico le opzioni che ritengo quantificabili)
a. struttura anatomica e sessuale
b. caratteristiche fisiologiche complessive (funzionamento del cervello, forza fisica, ecc.)
c. rapporto col cibo
d. rapporto con la sessualità
e. rapporto con la famiglia d’origine
f. educazione ricevuta
g. mentalità
h. desideri (a me questa non mi convince, è troppo vaga. Invece inserirei una cosa che manca “desiderio di formare una famiglia in futuro”. QUANTIFICABILE)
i. capacità di studio (QUANTIFICABILE)
l. volontà di primeggiare (QUANTIFICABILE)
m. desiderio di realizzarsi (oppure formulare come “volontà di affermarsi, realizzarsi, ecc.) (QUANTIFICABILE)
n. interesse per il potere (QUANTIFICABILE)
o. capacità (o “modalità”?) di relazionarsi con gli altri (QUANTIFICABILE)
p. altro (specifica che cosa)
3.Qual è l’elemento che a tuo avviso ti accomuna maggiormente alle altre donne?
3bis.E quale quello per cui ti senti maggiormente diversa da loro?
4.Nella nostra società godono di maggiori vantaggi
a. gli uomini
b. le donne
Perché?
5.Qual è l’ambito di vita in cui ti senti più diversa da tua madre? Indica una sola opzione
a. la sfera sessuale e amorosa
b. la sfera dello studio e dei progetti di lavoro
c. lo stile di vita quotidiano
d. la cura di sé
5. bis In quale di questi ambiti ritieni che tua madre si sia maggiormente diversificata rispetto a sua madre (tua nonna)? Indica una sola opzione
a. la sfera sessuale e amorosa
b. la sfera dello studio e del lavoro
c. lo stile di vita quotidiano
d. la cura di sé
6. C’è un obiettivo specifico per cui ti batteresti come donna?
Riporto dalla prima correzione postata da Pina il 5 dicembre: “Marzia ha espresso l’urgenza di veder specificata la collocazione identitaria: ha senso parlare di ‘identità di genere’ fuori da una chiara scelta di collocazione etnica, politica, culturale?
Al gruppo è sembrato che la ‘scelta di collocazione’ possa comunque emergere dal testo delle risposte piuttosto che dal presupposto della domanda. Propongo comunque che su questo punto torniamo a riflettere nel prossimo incontro”.
a. sì (specifica quale)
b. no
7. “Hai mai sentito parlare di “identità di genere”?
a. no
b. si: come spiegheresti l’espressione…?
8. Ti è piaciuto fare il test?
a. sì
b. no
9. “Le donne sono...” Scegli tre aggettivi
a.
b.
c.
Questa domanda, a come sono rimasta io, proponevate di metterla in chiusura come 8.bis, però non mi pare tanto legata alla precedente. In ogni caso propongo di metterla a distanza da quelle con cui si verifica le percezioni soggettive (in cosa ti senti diversa, uguale ecc.) per non creare confusioni.
abusi degli abusi sulle donne
Posto questo comunicato, che credo interesante ai nostri fini, e con cui il gruppo donne del mio collettivo (sì, ho sbagliato il decennio in cui nascere) risponde ai recenti episodi di violenza sessuale e fisica sulle donne e alla strumentalizzazione politico-mediatica che ne è stata fatta. Aggiungo solo che il TG2 di stasera, se da un lato apriva con gli aggiornamenti circa lo stupro "di branco" a capodanno e sullo stupro di Guidonia (in entrambi i casi sono stati fermati dei romeni), dall'altro si riportava a mettere solo sullo scroller le due seguenti notizie: 1) uomo di 27 anni in carcere: abusava della figlia dodicenne della convivente, che lo aveva denunicato in passato e che lui aveva costretto a ritrattare; 2) professore di 60 anni accusato di molestie sessuali verso una sua studentessa, dentro e fuori la scuola". Pare che le violenze operate da italiani siano meno violente...oppure meno utili ai fini dell'approvazione del pacchetto sicurezza, in discussione in questi giorni al senato, e che prevede misure durissime nei confronti degli immigrati.
La violenza sulle donne non è una questione di sicurezza pubblica.
Negli ultimi giorni si sono consumati due stupri a Roma e dintorni, denunciati a gran voce dai media italiani. Non si parlava così tanto e diffusamente di violenza sulle donne dai tempi della campagna elettorale dello scorso aprile, quando la questione della sicurezza, dell'emergenza creata dai "violenti aggressori migranti", ha permesso l'impennata elettorale della destra.
Non è un caso che la grande risonanza data a questi episodi di violenza avvenga proprio alla vigilia della votazione al Senato del “pacchetto sicurezza” (DDL 733) per giustificarne le misure vergognosamente razziste e repressive.
Ribadiamo qui, contro chi usa la questione della violenza sulle donne solo quando fa più comodo, a scopi elettorali e mediatici, che la violenza sulle donne la fanno gli uomini, non è una questione di ordine pubblico, né di sicurezza, né tanto meno è relazionata alla provenienza geografica dell'uomo. Purtroppo è la stessa società in cui viviamo a legittimare un vera e propria cultura dello stupro, basti pensare alle recenti dichiarazioni del premier italiano, secondo il quale gli stupri POSSONO SEMPRE CAPITARE, dunque sono INEVITABILI, a meno che non si riesca a stanziare un soldato per ogni bella ragazza.
Ricordiamo che l'80% dei casi di violenza sulle donne avviene all'interno delle mura domestiche, e non per strada, e soprattutto è agita da mariti, compagni, fidanzati, fratelli e padri, non da perfetti sconosciuti, né tantomeno da migranti. Ci chiediamo perché a questo dato non venga data tanta risonanza, come ci chiediamo perché non ha fatto scalpore la notizia della donna rumena stuprata nello scorso ottobre dal datore di lavoro italiano. Evidentemente l'interesse della classe politica non è quello di risolvere la questione della violenza sulle donne, ma creare dei nemici sociali, in particolare individuati nei cittadini migranti, sui quali direzionare il malcontento della gente, sempre più strangolata dalle conseguenze della crisi economica, dalla mancanza di uno stato sociale efficiente, dal precariato diffuso sul lavoro.
Le politiche razziste del governo sono direttamente responsabili di episodi quali l'aggressione da parte di Forza Nuova ai danni di cittadini rumeni avvenuta a Guidonia.
La violenza sulle donne non è un fenomeno nuovo, ma un pesante fardello culturale che ci portiamo dietro da secoli. E' la spia di una società in cui l'uguaglianza tra i sessi è puramente formale, ma vede le donne svantaggiate dal punto di vista occupazionale (ricordiamo che in Italia l'occupazione femminile presenta una delle percentuali più basse d'Europa, nonostante le donne siano mediamente più istruite degli uomini), dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale. Una società che propone ancora un modello di donna succube e sottomessa all'uomo, o in quanto oggetto di piacere sessuale o in quanto moglie e madre reclusa nella prigione domestica.
La questione della violenza sulle donne è il portato di una cultura misogina e non si risolve con l'ordine pubblico, con l'incremento dei poliziotti nelle strade o cercando di individuare una categoria di “stranieri nemici” secondo logiche apertamente razziste.
La violenza sulle donne potrà essere risolta solo all'interno una società in cui
venga promosso il rispetto per le differenze di cultura, di provenienza geografica, di genere, di orientamento sessuale.
Gruppo Donne CSOA Ex Snia, Roma
La violenza sulle donne non è una questione di sicurezza pubblica.
Negli ultimi giorni si sono consumati due stupri a Roma e dintorni, denunciati a gran voce dai media italiani. Non si parlava così tanto e diffusamente di violenza sulle donne dai tempi della campagna elettorale dello scorso aprile, quando la questione della sicurezza, dell'emergenza creata dai "violenti aggressori migranti", ha permesso l'impennata elettorale della destra.
Non è un caso che la grande risonanza data a questi episodi di violenza avvenga proprio alla vigilia della votazione al Senato del “pacchetto sicurezza” (DDL 733) per giustificarne le misure vergognosamente razziste e repressive.
Ribadiamo qui, contro chi usa la questione della violenza sulle donne solo quando fa più comodo, a scopi elettorali e mediatici, che la violenza sulle donne la fanno gli uomini, non è una questione di ordine pubblico, né di sicurezza, né tanto meno è relazionata alla provenienza geografica dell'uomo. Purtroppo è la stessa società in cui viviamo a legittimare un vera e propria cultura dello stupro, basti pensare alle recenti dichiarazioni del premier italiano, secondo il quale gli stupri POSSONO SEMPRE CAPITARE, dunque sono INEVITABILI, a meno che non si riesca a stanziare un soldato per ogni bella ragazza.
Ricordiamo che l'80% dei casi di violenza sulle donne avviene all'interno delle mura domestiche, e non per strada, e soprattutto è agita da mariti, compagni, fidanzati, fratelli e padri, non da perfetti sconosciuti, né tantomeno da migranti. Ci chiediamo perché a questo dato non venga data tanta risonanza, come ci chiediamo perché non ha fatto scalpore la notizia della donna rumena stuprata nello scorso ottobre dal datore di lavoro italiano. Evidentemente l'interesse della classe politica non è quello di risolvere la questione della violenza sulle donne, ma creare dei nemici sociali, in particolare individuati nei cittadini migranti, sui quali direzionare il malcontento della gente, sempre più strangolata dalle conseguenze della crisi economica, dalla mancanza di uno stato sociale efficiente, dal precariato diffuso sul lavoro.
Le politiche razziste del governo sono direttamente responsabili di episodi quali l'aggressione da parte di Forza Nuova ai danni di cittadini rumeni avvenuta a Guidonia.
La violenza sulle donne non è un fenomeno nuovo, ma un pesante fardello culturale che ci portiamo dietro da secoli. E' la spia di una società in cui l'uguaglianza tra i sessi è puramente formale, ma vede le donne svantaggiate dal punto di vista occupazionale (ricordiamo che in Italia l'occupazione femminile presenta una delle percentuali più basse d'Europa, nonostante le donne siano mediamente più istruite degli uomini), dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale. Una società che propone ancora un modello di donna succube e sottomessa all'uomo, o in quanto oggetto di piacere sessuale o in quanto moglie e madre reclusa nella prigione domestica.
La questione della violenza sulle donne è il portato di una cultura misogina e non si risolve con l'ordine pubblico, con l'incremento dei poliziotti nelle strade o cercando di individuare una categoria di “stranieri nemici” secondo logiche apertamente razziste.
La violenza sulle donne potrà essere risolta solo all'interno una società in cui
venga promosso il rispetto per le differenze di cultura, di provenienza geografica, di genere, di orientamento sessuale.
Gruppo Donne CSOA Ex Snia, Roma
mercoledì 21 gennaio 2009
l' outre-femme
Nel manifesto femminista di Carla Lonzi emergono in due filoni concettuali strettamente legati:
- da una parte la negazione dell'uomo, in quanto tiranno sia praticamente (nel non concedere autonomia) sia intellettualmente (in quanto costruttore di un'immagine predefinita della femminilità che va dall'attività di ogni giorno al campo sessuale).
- dall'altra l'identificazione della donna come altro dall'uomo, ossia l'affermazione della differenza
Questi due punti sfociano nel rifiuto delle femministe degli anni '60 di integrarsi completamente nel panorama politico di quegli anni. Pian piano i vari gruppi di donne si rifiutano di pensare la propria lotta come un appendice della lotta che, in quel momento storico, veniva considerata di importanza primaria: la lotta di classe. Nei metodi, nei contenuti, nelle azioni ne scorgono la matrice maschile. Le femministe di quegli anni invece, si pongono come primo obiettivo il delineare nuove modalità di azione che pongono le loro radici in uno specifico metodo: il “partire da sè”. Partire da sé significa ridare dignità a ciò che era stata sino ad allora l'esperienza di “ confino” dela donna, far riemergere un vissuto che sino ad allora era rimasto un ululato solitario al focolare.
Riunendosi in gruppi si riappropriarono delle loro esistenze violando gli schemi preimpostati, anche appunto di tipo politico- sociale rivoluzionario. Ciò che, forse, ho capito nel leggere questi documenti è la ragione per la mia avversione, varie volte radicalmente emersa, nelle discussioni a proposito del tema “intimismo sì- intimismo no”.
Mi sembra che partendo dal nostro gruppo di donne emancipate, l'esigenza di rientrare all'interno della casa, nell'intimo, sia un rispondere, un riflesso incondizionato ad un clichet imposto, clichet che ho sempre detestato contrassegnato da debolezza prima di tutto fisica, piagnistei e isterismi. Con questo non voglio negare che la formula del partire da sé sia effettivamente una lancia da scagliare nel mare degli universalismi, delle generalizzazioni delle sovrapposizioni identitarie forzate. Senza dubbio, come nel documento è sottolineato, è importante rivalutare il soggetto, l'individuo, (notare tutti termini possibili solo al maschile), la donna singola nel suo approcciarsi alla realtà. Ma bisogna tener conto dell'individualismo aggressivo che avvelena le nostre vite. In questo momento storico penso sia necessario un ritorno al pubblico piuttosto che al privato. I quadri di partito sono ormai caduti, le grandi riunioni di piazza si innestano sempre in un quadro di rivendicazioni economiche, non sono mai puramente ideologiche (nel senso di giudizio concettuale-tentativo di cambiamento della realtà). La vera rivoluzione ora non è certo diventare uomini nel gestire la sfera pubblica recidendo qualunque legame col privato, ma di sicuro aprire uno spiraglio in queste mura fatte di immagini in mondovisione è un compito che la prospettiva di genere non può esimersi dall'affrontare.
Per quanto riguarda le critiche che la professoressa Marzia Pieri ha avanzato al femminismo degli anni '70, descritto come fonte di mali quasi innominabili e la sorpresa carica di ironia (naturalmente benevola) di Elisa nell'osservare la tenacia con la quale soprattutto noi giovani abbiamo difeso questo nuovo dolcetto-reperto intellettuale qual è il femminismo, rispondo che probabilmente gli errori sono stati tanti e io non sono neanche in grado di comprenderli, ma non posso fare a meno ogni giorno di esprimere gratitudine a chi prima di me ha fatto delle lotte, il cui frutto si sta pian piano perdendo. Ringrazio chi prima di me ha creato il clima nel quale io ogni tanto posso tentare di imporre la mia voce. In realtà ritengo che gli errori che possono aver fatto le donne negli anni '70 siano stati comunque delle briciole, dei sassi contro cannoni che risuonano da secoli. Oltre tutto penso che l'autocritica sia uno strumento indispensabile, però penso che che spesso con l'autocritica si esuarisca dell'energia che potrebbe essere in maniera migliore veicolata. Non posso evitare di pensare a tutte quelle donne, che anche in Italia si pensi al sud, o ai cosiddetti paesi del secondo e terzo mondo in cui la condizione della donna è a dir poco spaventosa.
Mi ricordo di un cortrometraggio di una regista iraniana che ho visto al Santa Maria della Scala che mostrava come nel suo paese neanche i manichini avessero diritto ad avere forme naturali: una lama recideva-tagliava tutte le forme “tipicamente femminili”, tramite un'immagine fortissima di una lama rotante che si incide sulla carne. La durezza dell'immagine può sembrare a sproposito ma penso che in ognuno di noi possa risuonare, come dite voi, possa rievocare mutilazioni che spesso sentiamo inflitte alle nostre menti, sui nostri corpi.
Il discorso sul corpo mi sta particolarmente a cuore, cosa c'è di più individuale ma allo stesso tempo politico del corpo? La reificazione alla quale assistiamo impotenti giorno dopo giorno, il furto della nostra bellezza particolare (nel senso di individuale) che finisce nell'immondezzaio dell'imperfezione a causa di un criterio di plastica. Proprio il corpo può essere il trait d'union, l'aggancio, anzi il grimaldello (termine spesso usato nelle nostre conversazioni che ha degli echi freudiani niente male) capace di legare e nello stesso tempo scassinare, mutare il rapporto tra queste due fantomatiche sfere il privato e il pubblico, il personale e il politico. Dato che la privazione del nostro mondo privato-personale ha uno stampo politico, purtroppo nel senso senso più attuale del termine, ossia legato a logiche di mercato, noi dobbiamo politicamente, stavolta nel senso più proprio del termine, riappropriarci della nostra bellezza, sventoliamola, sbattiamola in faccia prima di tutto allo specchio che ci osserva spesso malevolemente. Questa è cura di sé. Non botulino, non creme che puzzano di acidi. Questa può essere una via per riagganciare la nostra mente al nostro corpo, questa sineddoche che in un primo momento pare superficiale, questo riprendere il nostro stesso corpo, è un'azione politica in quanto agirà anche nei nostri rapporti interpersonali e si spanderà come una macchia d'olio. Il tempo ci darà ragione. Chi fa le rivoluzioni raramente beneficia dei diritti conquistati, ci troviamo così spesso a fare dei discorsi che producono l'eco del vuoto dell'incomprensione, ma questi semi lanciati troveranno terre nelle quali germogliare.
I risultato della “triangolazione del desiderio” nella vita di ognuna di noi, che deriva direttamnte dal fatto che sempre si siano permessi di giudicarti, di esaminarti, di spezzettarti e ricomporti a loro piacimento, di infliggerti una forma viziata dalle loro esigenze, e tu rimani tutta la vita con questo corvo, questo fantasma che in alto a sinistra, controlla, redarguisce o vezzeggia a suo piacimento: non si è mai sole. Questa presenza assume diversi volti, il primo è senza dubbio il padre e poi via via i vari padri adottivi, sia persone che istituzioni. Chissà se questo è un fenomeno legato al patriarcato dopotutto chi ci osserva può assumere forme anche femminili, risulta comunque essere altro da sé, è esterno. Risulta essere senza dubbio un collare ad una libertà già di per sé malandata, intrinsecamente umana quindi sostanzialmente contingente.
L'ultimo punto che mi piacerebbe chiarire, è il mio continuo bisogno di strumenti culturali, come un' handicappata che non è più abituata a provare a camminare senza bastone oppure una bambina che ha perso il coraggio di imparare a camminare, ossia una persona che non si permette quasi più il lusso di pensare con la propria testa se non supportata da tesi altrui. Sono stata educata a leggere la vita sui libri, ho vissuto mille vite trasportata per mari e per terre mentali altrui. La vita è troppo breve i nostri talenti sono troppo pochi per poterci permette di pensare di essere o diventare tutto quello che vorremmo. Quando si capisce questo ci si può accontentare volentieri di un libro, una citazione, una canzone. Una delle mie citazioni preferite è, strano a dirsi, proprio di una donna, per di più sarda: Grazia Deledda. Parafrasandola: mi capita di provare nostalgia per vite non vissute, per luoghi non attraversati. E' una frase che comprendo appieno, che mi attraversa da capo a piedi.
Al di là di questo, nonostante anche nei nostri incontri mi erga a paladina del culturale-pubblico piuttosto che del privato, per la prima volta in vita mia, provo consapevolmente spavento nei confronti dei documenti brucianti di frasi e critiche femministe che balzellano nelle mie dita. La conquista in particolare, dopo 23 anni di pensieri, del fatto che donna si diventa non si nasce, dopo un più che decennale rifiuto della femminilità dato che quella che conoscevo, che il mondo mi proponeva, che molte donne intorno a me mettevano in scena, mi disgustava. Ad un certo punto mi sono riappropriata del diritto di essere qualcos'altro (rispetto al canone di femminilità imposta) che non fosse però solo la negazione di questo. Poi ho scoperto che la frase che riassumeva questa mio percorso, l'aveva già detta Simone de Beauvoir. Mi sono sentita derubata. Non tanto perchè ciò che pensavo essere una grande scoperta in realtà era già stata detta, quanto per la paura che anche i percorsi di “liberazione” siano precostituiti. La mia fiducia sconfinata nei confronti dei libri vacilla quindi, perchè non voglio fare in modo che anche questo pensieri che sento così personali subiscano le infiltrazioni accademicizzanti, istituzionalizzanti, che potrebbero immobilizzare nuovamente il mio cervello. Certo l'altra faccia della medaglia c'è, ed è il non sentirmi sola a combattere una battaglia di cui magari non raccoglierò tutti i frutti ma che vale la pena di combattere soprattutto in un Occidente logoro di valori e privo di prospettive che non siano d'implosione. Le conquiste sui diritti umani e delle donne sono senza dubbio il fiore all'occhiello di una società in lenta decadenza, ma è estremente importante battersi per far sì che non affondino nel mare della propaganda fasulla.
Forse avrete notato che ho usato spesso parole derivanti dal gergo militare, non perchè son nata in una società patriarcale, ma perchè penso che ci siano delle vittime, soprattutto se ci relazioniamo al mondo esterno (non occidentale). Esistono vittime anche sul fronte interno, sono però vittime in senso più metaforico, ciò che muore o viene violato sono parti di noi.
Ho voluto raccontare tutti questi pensieri perchè penso che il lavoro che stiamo portando avanti mi è stato d'aiuto soprattutto in modo sottile, sotterraneo nel mettere a fuoco delle questioni che giacendo di imputridivano dentro di me. Ora che le sto facendo venire alla luce e soprattutto ho il coraggio di poter pensare di poter cambiare qualcosa, anche solo dentro di me.
Queste mie “confessioni” hanno poi, volendo, un'ulteriore sviluppo: la de-costruzione di giochi di potere, lo smantellamento dei ruoli, schema che tra l'altro sta alla base della problematica di genere. Penso che rimettere in gioco, esporre il fluire contraddittorio dei miei pensieri su tematiche da noi affrontate, apra uno spazio ulteriore di libertà all'interno del gruppo, senza che ci si senta inchiodate-fissate in ruoli precostituiti, sfuggendo così alla logica del tertium non datur ed esperire serenamente le contraddizioni componendo i contrasti, però seriamente (non come Veltroni).
- da una parte la negazione dell'uomo, in quanto tiranno sia praticamente (nel non concedere autonomia) sia intellettualmente (in quanto costruttore di un'immagine predefinita della femminilità che va dall'attività di ogni giorno al campo sessuale).
- dall'altra l'identificazione della donna come altro dall'uomo, ossia l'affermazione della differenza
Questi due punti sfociano nel rifiuto delle femministe degli anni '60 di integrarsi completamente nel panorama politico di quegli anni. Pian piano i vari gruppi di donne si rifiutano di pensare la propria lotta come un appendice della lotta che, in quel momento storico, veniva considerata di importanza primaria: la lotta di classe. Nei metodi, nei contenuti, nelle azioni ne scorgono la matrice maschile. Le femministe di quegli anni invece, si pongono come primo obiettivo il delineare nuove modalità di azione che pongono le loro radici in uno specifico metodo: il “partire da sè”. Partire da sé significa ridare dignità a ciò che era stata sino ad allora l'esperienza di “ confino” dela donna, far riemergere un vissuto che sino ad allora era rimasto un ululato solitario al focolare.
Riunendosi in gruppi si riappropriarono delle loro esistenze violando gli schemi preimpostati, anche appunto di tipo politico- sociale rivoluzionario. Ciò che, forse, ho capito nel leggere questi documenti è la ragione per la mia avversione, varie volte radicalmente emersa, nelle discussioni a proposito del tema “intimismo sì- intimismo no”.
Mi sembra che partendo dal nostro gruppo di donne emancipate, l'esigenza di rientrare all'interno della casa, nell'intimo, sia un rispondere, un riflesso incondizionato ad un clichet imposto, clichet che ho sempre detestato contrassegnato da debolezza prima di tutto fisica, piagnistei e isterismi. Con questo non voglio negare che la formula del partire da sé sia effettivamente una lancia da scagliare nel mare degli universalismi, delle generalizzazioni delle sovrapposizioni identitarie forzate. Senza dubbio, come nel documento è sottolineato, è importante rivalutare il soggetto, l'individuo, (notare tutti termini possibili solo al maschile), la donna singola nel suo approcciarsi alla realtà. Ma bisogna tener conto dell'individualismo aggressivo che avvelena le nostre vite. In questo momento storico penso sia necessario un ritorno al pubblico piuttosto che al privato. I quadri di partito sono ormai caduti, le grandi riunioni di piazza si innestano sempre in un quadro di rivendicazioni economiche, non sono mai puramente ideologiche (nel senso di giudizio concettuale-tentativo di cambiamento della realtà). La vera rivoluzione ora non è certo diventare uomini nel gestire la sfera pubblica recidendo qualunque legame col privato, ma di sicuro aprire uno spiraglio in queste mura fatte di immagini in mondovisione è un compito che la prospettiva di genere non può esimersi dall'affrontare.
Per quanto riguarda le critiche che la professoressa Marzia Pieri ha avanzato al femminismo degli anni '70, descritto come fonte di mali quasi innominabili e la sorpresa carica di ironia (naturalmente benevola) di Elisa nell'osservare la tenacia con la quale soprattutto noi giovani abbiamo difeso questo nuovo dolcetto-reperto intellettuale qual è il femminismo, rispondo che probabilmente gli errori sono stati tanti e io non sono neanche in grado di comprenderli, ma non posso fare a meno ogni giorno di esprimere gratitudine a chi prima di me ha fatto delle lotte, il cui frutto si sta pian piano perdendo. Ringrazio chi prima di me ha creato il clima nel quale io ogni tanto posso tentare di imporre la mia voce. In realtà ritengo che gli errori che possono aver fatto le donne negli anni '70 siano stati comunque delle briciole, dei sassi contro cannoni che risuonano da secoli. Oltre tutto penso che l'autocritica sia uno strumento indispensabile, però penso che che spesso con l'autocritica si esuarisca dell'energia che potrebbe essere in maniera migliore veicolata. Non posso evitare di pensare a tutte quelle donne, che anche in Italia si pensi al sud, o ai cosiddetti paesi del secondo e terzo mondo in cui la condizione della donna è a dir poco spaventosa.
Mi ricordo di un cortrometraggio di una regista iraniana che ho visto al Santa Maria della Scala che mostrava come nel suo paese neanche i manichini avessero diritto ad avere forme naturali: una lama recideva-tagliava tutte le forme “tipicamente femminili”, tramite un'immagine fortissima di una lama rotante che si incide sulla carne. La durezza dell'immagine può sembrare a sproposito ma penso che in ognuno di noi possa risuonare, come dite voi, possa rievocare mutilazioni che spesso sentiamo inflitte alle nostre menti, sui nostri corpi.
Il discorso sul corpo mi sta particolarmente a cuore, cosa c'è di più individuale ma allo stesso tempo politico del corpo? La reificazione alla quale assistiamo impotenti giorno dopo giorno, il furto della nostra bellezza particolare (nel senso di individuale) che finisce nell'immondezzaio dell'imperfezione a causa di un criterio di plastica. Proprio il corpo può essere il trait d'union, l'aggancio, anzi il grimaldello (termine spesso usato nelle nostre conversazioni che ha degli echi freudiani niente male) capace di legare e nello stesso tempo scassinare, mutare il rapporto tra queste due fantomatiche sfere il privato e il pubblico, il personale e il politico. Dato che la privazione del nostro mondo privato-personale ha uno stampo politico, purtroppo nel senso senso più attuale del termine, ossia legato a logiche di mercato, noi dobbiamo politicamente, stavolta nel senso più proprio del termine, riappropriarci della nostra bellezza, sventoliamola, sbattiamola in faccia prima di tutto allo specchio che ci osserva spesso malevolemente. Questa è cura di sé. Non botulino, non creme che puzzano di acidi. Questa può essere una via per riagganciare la nostra mente al nostro corpo, questa sineddoche che in un primo momento pare superficiale, questo riprendere il nostro stesso corpo, è un'azione politica in quanto agirà anche nei nostri rapporti interpersonali e si spanderà come una macchia d'olio. Il tempo ci darà ragione. Chi fa le rivoluzioni raramente beneficia dei diritti conquistati, ci troviamo così spesso a fare dei discorsi che producono l'eco del vuoto dell'incomprensione, ma questi semi lanciati troveranno terre nelle quali germogliare.
I risultato della “triangolazione del desiderio” nella vita di ognuna di noi, che deriva direttamnte dal fatto che sempre si siano permessi di giudicarti, di esaminarti, di spezzettarti e ricomporti a loro piacimento, di infliggerti una forma viziata dalle loro esigenze, e tu rimani tutta la vita con questo corvo, questo fantasma che in alto a sinistra, controlla, redarguisce o vezzeggia a suo piacimento: non si è mai sole. Questa presenza assume diversi volti, il primo è senza dubbio il padre e poi via via i vari padri adottivi, sia persone che istituzioni. Chissà se questo è un fenomeno legato al patriarcato dopotutto chi ci osserva può assumere forme anche femminili, risulta comunque essere altro da sé, è esterno. Risulta essere senza dubbio un collare ad una libertà già di per sé malandata, intrinsecamente umana quindi sostanzialmente contingente.
L'ultimo punto che mi piacerebbe chiarire, è il mio continuo bisogno di strumenti culturali, come un' handicappata che non è più abituata a provare a camminare senza bastone oppure una bambina che ha perso il coraggio di imparare a camminare, ossia una persona che non si permette quasi più il lusso di pensare con la propria testa se non supportata da tesi altrui. Sono stata educata a leggere la vita sui libri, ho vissuto mille vite trasportata per mari e per terre mentali altrui. La vita è troppo breve i nostri talenti sono troppo pochi per poterci permette di pensare di essere o diventare tutto quello che vorremmo. Quando si capisce questo ci si può accontentare volentieri di un libro, una citazione, una canzone. Una delle mie citazioni preferite è, strano a dirsi, proprio di una donna, per di più sarda: Grazia Deledda. Parafrasandola: mi capita di provare nostalgia per vite non vissute, per luoghi non attraversati. E' una frase che comprendo appieno, che mi attraversa da capo a piedi.
Al di là di questo, nonostante anche nei nostri incontri mi erga a paladina del culturale-pubblico piuttosto che del privato, per la prima volta in vita mia, provo consapevolmente spavento nei confronti dei documenti brucianti di frasi e critiche femministe che balzellano nelle mie dita. La conquista in particolare, dopo 23 anni di pensieri, del fatto che donna si diventa non si nasce, dopo un più che decennale rifiuto della femminilità dato che quella che conoscevo, che il mondo mi proponeva, che molte donne intorno a me mettevano in scena, mi disgustava. Ad un certo punto mi sono riappropriata del diritto di essere qualcos'altro (rispetto al canone di femminilità imposta) che non fosse però solo la negazione di questo. Poi ho scoperto che la frase che riassumeva questa mio percorso, l'aveva già detta Simone de Beauvoir. Mi sono sentita derubata. Non tanto perchè ciò che pensavo essere una grande scoperta in realtà era già stata detta, quanto per la paura che anche i percorsi di “liberazione” siano precostituiti. La mia fiducia sconfinata nei confronti dei libri vacilla quindi, perchè non voglio fare in modo che anche questo pensieri che sento così personali subiscano le infiltrazioni accademicizzanti, istituzionalizzanti, che potrebbero immobilizzare nuovamente il mio cervello. Certo l'altra faccia della medaglia c'è, ed è il non sentirmi sola a combattere una battaglia di cui magari non raccoglierò tutti i frutti ma che vale la pena di combattere soprattutto in un Occidente logoro di valori e privo di prospettive che non siano d'implosione. Le conquiste sui diritti umani e delle donne sono senza dubbio il fiore all'occhiello di una società in lenta decadenza, ma è estremente importante battersi per far sì che non affondino nel mare della propaganda fasulla.
Forse avrete notato che ho usato spesso parole derivanti dal gergo militare, non perchè son nata in una società patriarcale, ma perchè penso che ci siano delle vittime, soprattutto se ci relazioniamo al mondo esterno (non occidentale). Esistono vittime anche sul fronte interno, sono però vittime in senso più metaforico, ciò che muore o viene violato sono parti di noi.
Ho voluto raccontare tutti questi pensieri perchè penso che il lavoro che stiamo portando avanti mi è stato d'aiuto soprattutto in modo sottile, sotterraneo nel mettere a fuoco delle questioni che giacendo di imputridivano dentro di me. Ora che le sto facendo venire alla luce e soprattutto ho il coraggio di poter pensare di poter cambiare qualcosa, anche solo dentro di me.
Queste mie “confessioni” hanno poi, volendo, un'ulteriore sviluppo: la de-costruzione di giochi di potere, lo smantellamento dei ruoli, schema che tra l'altro sta alla base della problematica di genere. Penso che rimettere in gioco, esporre il fluire contraddittorio dei miei pensieri su tematiche da noi affrontate, apra uno spazio ulteriore di libertà all'interno del gruppo, senza che ci si senta inchiodate-fissate in ruoli precostituiti, sfuggendo così alla logica del tertium non datur ed esperire serenamente le contraddizioni componendo i contrasti, però seriamente (non come Veltroni).
esser femminista è partecipazione
L'impronta che dò alla differenza femminile consiste in un discorso di classe. Discorso di classe in quanto discorso sociale. Ritengo che sia importante battersi secondo un'ottica femminista nei luoghi di potere perchè le donne rappresentano, al di là delle differenze economiche, una classe, una categoria di emarginate.
L'azione politica da svolgere non può semplicemente consistere in rivendicazioni fattuali, quali le quote rosa, che personamente aborro, ma nell'agire nell'immaginario collettivo simbolico anche tramite livelli istituzionali. La presenza di donne in certi luoghi di potere appare ancora adesso dissacratoria. Senza dubbio la presenza fisica non esaurisce il problema ma è un buon inizio. Ciò che però non condivido è giustificare la mancata presenza delle donne in luoghi di potere connotando il potere e i luoghi istituzionali come prettamente “maschili”. Io userei la parola maschilisti. In questo modo non si sottolineerebbe l'incapacità delle donne di fare politica ma solo il fatto che la loro esclusione sia dovuta a meccanismi maschilisti.
Se invece si segue la via alternativa ci si appella ad una sorta di innatismo secondo cui le donne hanno determinate caratteristiche e gli uomini altre.
Il problema è: c'è un messaggio che le donne in quanto donne possono portare nelle istituzioni? Vogliamo appellarci ad una presunta cultura millenaria che ci scorre nelle vene?
Al di là degli stereotipati luoghi comuni sulla femminilità, qual è lo scoglio da superare? L'idea che le donne non siano persone. Persone nel senso di individui con una particolare storia personale che vive in una determinta contingenza storica. Il privilegio d'esser considerata persone alle donne non è ancora stato riconosciuto, relegate da millenni nel ruolo di angeli del focolare e riproduttrici della specie.
Cosa dunque è importante che le donne in quanto donne, oltre che come persone che hanno a cuore le classi subalterne, portino avanti?
Un diverso modo di agire politico in primis. Il problema è: consideriamo questo agire politico come frutto della particolare natura della donna e dei suoi rapporti con altre donne, lo consideriamo figlio di un sapere tenuto nell'ombra?
Io lo presenterei e soprattutto lo penserei come un'ottica parziale, particolare, attuata da donne per le donne, ma in definitiva per la società intera, lo definirei, senza mezzi termini, un'ottica femminista, non femminile.
Esser femminista significa, per me, non tanto rivalutare la parte “femminile” di ognuna di noi anche perchè non può che esser frutto di contingenza storica o comunque risulta troppo personale. Esser femminista significa intraprendere una battaglia politica che punti alla piena rappresentanza di tutti i soggetti della cittadinanza, dato che ancora adesso nel XXI° secolo la nostra società deve fare i conti con una classe politica mutilata. E non solo perchè le donne sono fisicamente poche in Parlamento ma perchè tante fasce della società non sono in esso rappresentate. La politica a cui assistiamo è una politica di meri interessi economici che non ha nessuna idea di società (se non classista) alla base.
L'ottica femminista non può che portare alla messa in discussione di un sistema politico mercificato, Mettere in discussione la forma politica in atto significa mettere in atto forme d'azione politica che non si esuriscono nel vuoto ma sono condotte tramite un agire concreto a partire da livelli basilari, come in una riunione tra donne.
L'azione politica da svolgere non può semplicemente consistere in rivendicazioni fattuali, quali le quote rosa, che personamente aborro, ma nell'agire nell'immaginario collettivo simbolico anche tramite livelli istituzionali. La presenza di donne in certi luoghi di potere appare ancora adesso dissacratoria. Senza dubbio la presenza fisica non esaurisce il problema ma è un buon inizio. Ciò che però non condivido è giustificare la mancata presenza delle donne in luoghi di potere connotando il potere e i luoghi istituzionali come prettamente “maschili”. Io userei la parola maschilisti. In questo modo non si sottolineerebbe l'incapacità delle donne di fare politica ma solo il fatto che la loro esclusione sia dovuta a meccanismi maschilisti.
Se invece si segue la via alternativa ci si appella ad una sorta di innatismo secondo cui le donne hanno determinate caratteristiche e gli uomini altre.
Il problema è: c'è un messaggio che le donne in quanto donne possono portare nelle istituzioni? Vogliamo appellarci ad una presunta cultura millenaria che ci scorre nelle vene?
Al di là degli stereotipati luoghi comuni sulla femminilità, qual è lo scoglio da superare? L'idea che le donne non siano persone. Persone nel senso di individui con una particolare storia personale che vive in una determinta contingenza storica. Il privilegio d'esser considerata persone alle donne non è ancora stato riconosciuto, relegate da millenni nel ruolo di angeli del focolare e riproduttrici della specie.
Cosa dunque è importante che le donne in quanto donne, oltre che come persone che hanno a cuore le classi subalterne, portino avanti?
Un diverso modo di agire politico in primis. Il problema è: consideriamo questo agire politico come frutto della particolare natura della donna e dei suoi rapporti con altre donne, lo consideriamo figlio di un sapere tenuto nell'ombra?
Io lo presenterei e soprattutto lo penserei come un'ottica parziale, particolare, attuata da donne per le donne, ma in definitiva per la società intera, lo definirei, senza mezzi termini, un'ottica femminista, non femminile.
Esser femminista significa, per me, non tanto rivalutare la parte “femminile” di ognuna di noi anche perchè non può che esser frutto di contingenza storica o comunque risulta troppo personale. Esser femminista significa intraprendere una battaglia politica che punti alla piena rappresentanza di tutti i soggetti della cittadinanza, dato che ancora adesso nel XXI° secolo la nostra società deve fare i conti con una classe politica mutilata. E non solo perchè le donne sono fisicamente poche in Parlamento ma perchè tante fasce della società non sono in esso rappresentate. La politica a cui assistiamo è una politica di meri interessi economici che non ha nessuna idea di società (se non classista) alla base.
L'ottica femminista non può che portare alla messa in discussione di un sistema politico mercificato, Mettere in discussione la forma politica in atto significa mettere in atto forme d'azione politica che non si esuriscono nel vuoto ma sono condotte tramite un agire concreto a partire da livelli basilari, come in una riunione tra donne.
martedì 20 gennaio 2009
Appuntamento del 21 gennaio
Centro Culturale delle Donne “Mara Meoni”
MARIA LUISA BOCCIA
discute su
“IL FEMMINISMO CONTEMPORANEO TRA RICERCA STORICA E TRASMISSIONE”
Mercoledì 21 Gennaio 2009, ore 16,30
Università degli Studi di Siena
Aula Magna Storica- Palazzo del Rettorato-Via Banchi di Sotto, 55 - SIENA
Introduce Manuela Bosica, Centro Culturale delle Donne Mara Meoni
Interviene Pina Sangiovanni del Gruppo ‘Presenti, differenti. La parola alle donne’.
MARIA LUISA BOCCIA
discute su
“IL FEMMINISMO CONTEMPORANEO TRA RICERCA STORICA E TRASMISSIONE”
Mercoledì 21 Gennaio 2009, ore 16,30
Università degli Studi di Siena
Aula Magna Storica- Palazzo del Rettorato-Via Banchi di Sotto, 55 - SIENA
Introduce Manuela Bosica, Centro Culturale delle Donne Mara Meoni
Interviene Pina Sangiovanni del Gruppo ‘Presenti, differenti. La parola alle donne’.
Appuntamento del 21 gennaio
Ciao a tutte,
due righe solo per ricordarvi l'appuntamento di domani alle 16.30 presso l'Aula Magna Storica del Rettorato -ammazza quante maiuscole... vorrà dire qualche cosa?
Nella riunione scorsa abbiamo deciso di vederci in aula M alle 15 e non alle 14, per fare un giro di chiacchiere e poi fare gruppo nella salita di via Pantaneto.
un abbraccio
Pina
due righe solo per ricordarvi l'appuntamento di domani alle 16.30 presso l'Aula Magna Storica del Rettorato -ammazza quante maiuscole... vorrà dire qualche cosa?
Nella riunione scorsa abbiamo deciso di vederci in aula M alle 15 e non alle 14, per fare un giro di chiacchiere e poi fare gruppo nella salita di via Pantaneto.
un abbraccio
Pina
martedì 13 gennaio 2009
Ordine del giorno e (mia) assenza
Ciao a tutte e buon anno a tutte,
volevo dirvi che per una serie di impegni saltati e sovrapposti a gennaio non potrò venire al seminario (seguirò comunque i nostri lavori). Ci vedremo però mercoledì 21 al Mara Meoni: la lezione sulle poetesse italiane mi è slittata giustappunto al mercoledì successivo....
Mea culpa per non aver postato l'ordine del giorno di mercoledì (scorso), che doveva essere appunto:
1 - lettura definitiva, approvazione, decisione sui modi di somministrazione del questionario;
2 - lavoro dei prossimi incontri;
3 - discussione sugli argomenti dell'intervento di Pina.
Mi pare che, accogliendo i suggerimenti fatti da Elisa e Pina via email, possa essere ugualmente valido rovesciandone l'ordine in 3 - 1 - 2 .
Aggiungo che la stesura definitiva del questionario deve tener conto degli appunti di Elisa (prima parte) e di Pina (seconda parte).
Vi abbraccio tutte
volevo dirvi che per una serie di impegni saltati e sovrapposti a gennaio non potrò venire al seminario (seguirò comunque i nostri lavori). Ci vedremo però mercoledì 21 al Mara Meoni: la lezione sulle poetesse italiane mi è slittata giustappunto al mercoledì successivo....
Mea culpa per non aver postato l'ordine del giorno di mercoledì (scorso), che doveva essere appunto:
1 - lettura definitiva, approvazione, decisione sui modi di somministrazione del questionario;
2 - lavoro dei prossimi incontri;
3 - discussione sugli argomenti dell'intervento di Pina.
Mi pare che, accogliendo i suggerimenti fatti da Elisa e Pina via email, possa essere ugualmente valido rovesciandone l'ordine in 3 - 1 - 2 .
Aggiungo che la stesura definitiva del questionario deve tener conto degli appunti di Elisa (prima parte) e di Pina (seconda parte).
Vi abbraccio tutte
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