mercoledì 21 gennaio 2009

esser femminista è partecipazione

L'impronta che dò alla differenza femminile consiste in un discorso di classe. Discorso di classe in quanto discorso sociale. Ritengo che sia importante battersi secondo un'ottica femminista nei luoghi di potere perchè le donne rappresentano, al di là delle differenze economiche, una classe, una categoria di emarginate.
L'azione politica da svolgere non può semplicemente consistere in rivendicazioni fattuali, quali le quote rosa, che personamente aborro, ma nell'agire nell'immaginario collettivo simbolico anche tramite livelli istituzionali. La presenza di donne in certi luoghi di potere appare ancora adesso dissacratoria. Senza dubbio la presenza fisica non esaurisce il problema ma è un buon inizio. Ciò che però non condivido è giustificare la mancata presenza delle donne in luoghi di potere connotando il potere e i luoghi istituzionali come prettamente “maschili”. Io userei la parola maschilisti. In questo modo non si sottolineerebbe l'incapacità delle donne di fare politica ma solo il fatto che la loro esclusione sia dovuta a meccanismi maschilisti.

Se invece si segue la via alternativa ci si appella ad una sorta di innatismo secondo cui le donne hanno determinate caratteristiche e gli uomini altre.
Il problema è: c'è un messaggio che le donne in quanto donne possono portare nelle istituzioni? Vogliamo appellarci ad una presunta cultura millenaria che ci scorre nelle vene?
Al di là degli stereotipati luoghi comuni sulla femminilità, qual è lo scoglio da superare? L'idea che le donne non siano persone. Persone nel senso di individui con una particolare storia personale che vive in una determinta contingenza storica. Il privilegio d'esser considerata persone alle donne non è ancora stato riconosciuto, relegate da millenni nel ruolo di angeli del focolare e riproduttrici della specie.
Cosa dunque è importante che le donne in quanto donne, oltre che come persone che hanno a cuore le classi subalterne, portino avanti?
Un diverso modo di agire politico in primis. Il problema è: consideriamo questo agire politico come frutto della particolare natura della donna e dei suoi rapporti con altre donne, lo consideriamo figlio di un sapere tenuto nell'ombra?
Io lo presenterei e soprattutto lo penserei come un'ottica parziale, particolare, attuata da donne per le donne, ma in definitiva per la società intera, lo definirei, senza mezzi termini, un'ottica femminista, non femminile.
Esser femminista significa, per me, non tanto rivalutare la parte “femminile” di ognuna di noi anche perchè non può che esser frutto di contingenza storica o comunque risulta troppo personale. Esser femminista significa intraprendere una battaglia politica che punti alla piena rappresentanza di tutti i soggetti della cittadinanza, dato che ancora adesso nel XXI° secolo la nostra società deve fare i conti con una classe politica mutilata. E non solo perchè le donne sono fisicamente poche in Parlamento ma perchè tante fasce della società non sono in esso rappresentate. La politica a cui assistiamo è una politica di meri interessi economici che non ha nessuna idea di società (se non classista) alla base.
L'ottica femminista non può che portare alla messa in discussione di un sistema politico mercificato, Mettere in discussione la forma politica in atto significa mettere in atto forme d'azione politica che non si esuriscono nel vuoto ma sono condotte tramite un agire concreto a partire da livelli basilari, come in una riunione tra donne.

1 commento:

Michela ha detto...

Per sbaglio ho postato in L'outre-femme il commento relativo a questo post di Veronica, ciao a tutte