Come gruppo universitario che si occupa di studi di genere abbiamo ritenuto necessario intercettare questa occasione di scambio e di dialogo tra donne per porre in luce degli aspetti relativi ai tre temi trattati in qs occasione dal gruppo snoq. Dalle nostre riflessioni è emersa l’importanza di partire dal concetto di antisessismo declinabile sulle tre tematiche da voi proposte. Senza trasformare la differenza, espressa dalle varie soggettività coinvolte, in diffidenza ci pare importante ai fini della creazione di una ricca rete di donne evidenziare una serie di istanze che abbiamo elaborato tra di noi.
In relazione anche all’ultimo episodio di discriminazione di genere che ha coinvolto le lavoratrici del MaVib di Inzago licenziate a causa del loro doppio sì al lavoro e alla maternità ci sembra necessario affrontare la tematica del lavoro femminile anche da altri punti di vista oltre quelli già proposti. La precarietà alla quale le donne sono più esposte deriva non solo dal dato biologico ma anche dal sistema culturale che implicitamente ci considera come lavoratrici di serie b. Il gender pay gap e la diffusa considerazione che lo stipendio femminile sia un “secondo” stipendio svilisce sacrifici e lavoro di tante donne ed esclude automaticamente le numerose famiglie monogenitoriali, nelle quali le donne si devono fare carico da sole della vita pubblica e privata. Inoltre considerando il lavoro femminile come un in più rispetto a quello maschile, si dà per scontato che le istanze prese in carico siano solo quelle dei modelli familiari tradizionali riconoscendo il diritto alla conciliazione e a condizioni di vita più umane solo o soprattutto alle madri di famiglia. Per evitare di rimanere schiacciate nel ruolo di curatrici “naturalmente” preposte alla cura dei figli, ci sembra necessario ripartire da un discorso che riesca a intercettare tutti gli altri aspetti relativi al lavoro femminile tra cui la precarietà di genere, le cui implicazioni rendono quasi obsoleto il tema della conciliazione tra famiglia e carriera, che seppure importante, racconta una realtà che non sarà, e che forse, già non è più. La maggioranza delle donne soprattutto ma non solo sotto i 40 anni, oggi, non ha nemmeno la possibilità di pensare alla conciliazione tra casa e lavoro perché la trappola del precariato ha escluso ogni possibilità di crearsi una vita privata/familiare. Inoltre questo tipo di focus sulla maternità, seppure importante e necessario, esclude dal dibattito tutte quelle donne che per vari motivi sono al di fuori del meccanismo di produzione/riproduzione e ribadisce una visione normativa del femminile come moglie e madre, deputata biologicamente al lavoro di cura. E allora ci sentiamo di suggerire, sulla scia del vostro “e se domani”, immaginare per immaginare, perché non figurarsi un uomo alle prese con passeggini e buste della spesa? Perché non immaginare una rampa che faciliti la salita con la carrozzina? Invece di continuare a riproporre le solite immagini che ci rappresentano come donne multitasking che si appellano a solidarietà e senso comune per riuscire a superare gli ostacoli quotidiani, proviamo a immaginare una società che vada oltre questa ghettizzazione del femminile entro i confini imposti dall’etica della cura, attraverso le neccessarie strutture e politiche, ma anche attraverso una risignificazione dell’ordine simbolico riprodotto dai rapporti tra i generi.
Il principio di perpetuazione dei rapporti di forza materiali e simbolici tra i sessi non si colloca solamente in seno all'unità domestica, sebbene questo sia uno dei luoghi più visibili del suo esercizio, ma in istanze come la scuola o lo stato e, in generale, nei luoghi di imposizione ed elaborazione di principi di dominio, tra i quali il già citato immaginario mediatico. E a questo riguardo ci sentiamo di aggiungere un’ultima cosa. Al di là dell’annichilimento provato per le immagini mediatiche di corpi femminili smembrati e oggettivizzati a fini commerciali secondo la norma eterosessuale imposta dal desiderio maschile, ci pare importante sottolineare un altro aspetto che va un po’ oltre la mera offesa della dignità delle donne. L’operazione mediatica che trasforma il corpo femminile in mero oggetto di consumo rende questi “corpi senza donne” manipolabili conducendo alla pericolosa deriva che suggerisce la possibilità di agire su un corpo- oggetto violenze di tipo fisico, sessuale e/o psicologico.
Secondo i dati istat del 2007 il 31,9% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale. Il 69,7% di queste violenze accade tra le mura domestiche; il 17,4% avviene per mano di un conoscente e solo il 6,2% è opera di un estraneo. In considerazione di ciò ci sembra rilevante porre l’accento su questo fenomeno in continua ascesa e cercare di mettere le basi per contrastarlo agendo non solo sul piano legislativo ma anche su quell’ordine simbolico che ne alimenta lo sviluppo.
Nello spettacolo Libere di C. Comencini, che come gruppo abbiamo caldamente apprezzato, ritorna spesso il concetto di spazio, di una rete e di luoghi deputati a stabilire delle connessioni tra donne, luoghi dove continuare a elaborare le riflessioni e i discorsi nati durante femminismo degli anni settanta , andando oltre ciò che è stato ma traendo dal passato la forza per agire nel presente e nel futuro.
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