mercoledì 15 ottobre 2008

Ri-significare le parole: perché?

Partendo dal titolo di questo seminario, “Presenti, differenti. La parola alle donne” sorge, provocatoria, una domanda: quale parola? La parola dietro cui si maschera il luogo del potere di una società connotata al maschile?
La parola da cui per secoli la storia ci ha escluse, relegandoci all’ombra di un sentire diverso e minoritario? La parola che, appannaggio esclusivo degli uomini, ha consolidato il gioco delle parti in una cultura declinata da un soggetto univoco e uniforme, il maschio bianco proprietario della realtà? Quale parola?
E, quale donna? Chi è questa donna che, insolente, prende la parola?
Presupposto imprescindibile, sembra porsi allora un’altra, fondativa, questione: “che cosa rappresenta l’essere donna”? E cosa rappresenta in rapporto all’essere uomo, all’interno di una società globalizzata e uniformante?
Rispondere a questa domanda presuppone, a mio avviso, una dislocazione del soggetto dai cardini a cui la storia lo ha assicurato; una mise en question delle tracce su cui quella stessa storia è stata costruita. Tracce quasi elusivamente maschili. Quasi, perché vi sono delle smagliature nella rete. Momenti di apertura ad un altro modo di essere in relazione della realtà cosciente, esperienza di un mondo sensibilmente esperibile e scientificamente documentabile: il vivente; con la realtà sfuggente e apofatica dell’inconscio, all’interno di quel mondo della psiche che si fa conoscibile solo attraverso le immagini dell’anima: il vissuto. Un modo diverso di mettere in relazione il vissuto con il vivente, l’Io e l’Altro. Momenti che hanno il sapore di una rivendicazione possibile ma, soprattutto, mostrano che disorientare l’Io, dis-locare il soggetto è premessa necessaria nell’esperienza di un diverso sentire identitario e, a maggior ragione, nella costruzione di un’identità di genere.
De-costruire il soggetto fallo-logo-centrico, ricostruendo un soggetto duale.
Ma per mettere in crisi la centralità dell’Io occorre mettere in crisi il modo di dirsi di questa centralità.
Ecco, quindi, che i termini della questione possono essere cambiati, e alla domanda “che cosa rappresenta l’essere donna?”, se ne sostituisce un’altra: “che cosa significa l’essere donna?”. Quali sono, cioè, le parole che il femminile usa per dirsi e, ancor prima, per riconoscersi?
I concetti passano attraverso le parole, e l’uso continuato di una parola convalida il valore concettuale di cui è intrinsecamente portatrice.
Diventa allora importante, primario, restituire alle parole l’ampiezza del loro significato, individuarne accanto al referente extra linguistico di matrice spiccatamente maschile, anche il referente femminile. E diventa necessario chiedersi se termini quali identità, alterità, produttività, solidarietà, tolleranza, ideologia, etc., acquistino un significato diverso da quello che quotidianamente gli attribuiamo, se correlati al genere femminile.
Le parole esprimono i concetti, raccontano, cioè, il modo di essere di una realtà; ma il linguaggio è anche l’espressione del mio essere in questa realtà: parlare in un certo modo mi situa in una specifica porzione del reale. Le parole sono il collante di cui la cultura si serve per conservare e perpetuare la sua integrità; sono il “detto” che sancisce la realtà, poiché ci hanno insegnato che la realtà è solo ciò di cui si può dire.
Ecco, allora, che per ripensare il mondo al femminile occorre intervenire sulle parole che lo consolidano e attraverso cui si autocelebra. Per ripensare il mondo al femminile è necessario de-costruire l’identità di genere culturalmente determinata, a partire dalle parole con cui la storia l’ha raccontata.
Che cosa significa l’essere donna? E che cosa significa l’essere uomo? Bisogna ripartire da qui, dall’inesorabile differenza. E riappropriarci delle parole, ricontestualizzarle rispetto alla differenza, ritrovarne l’originario senso duale, considerarle in-situazione e non in astratto, ricollocarle all’interno di quel vissuto che sembra imprenscindibile dall’esperienza della corporeità.
“Ri-significare le parole” in funzione della libertà delle donne di esprimersi per se stesse.

2 commenti:

Michela ha detto...

cara Teresa, vorrei solo sottolineare la differenza fra 'la parola alle donne' e 'alla donna': non è un cavillo .. non sono la stessa cosa.

Veronica ha detto...

Ho letto questa introduzione al glossario varie volte, e penso che sia proprio una bella pagina del blog. Complimenti!