Ho scritto queste riflessioni dopo l'incontro di due settimane fa. Magari non ha molto senso postarlo ora, ma almeno può funzionare come documento che testimoni il percorso del discorso che stiamo affrontando.
Vorrei chiarire quali sono statai i punti affrontati nella precedente riunione nei miei interventi, un po' confusionari e in certi punti eccessivamente trainati dal mio personale punto di vista:
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La tematica del potere e la questione attuale dell'università senese.
Per quanto mi riguarda mi sono avvicinata al gruppo femminista per confrntarmi e apprendere dalle esperienze di altre persone -nel caso specifico donne- che, avendo vissuto esperienze e situazioni storiche differenti dale mie, possono fungere da spunto per il mio presente e il mio futuro. Presente e futuro da cittadina oltre che come persona e donna. Mi piacerebbe che questo lavoro mi permetta, anzi ci permetta secondo una prospettiva più realistica, di trovare degli spiragli, dei punti nella società e nel discorso politico che conducano all'azione, alla re-azioe come resistenza ad un mondo politico o ad una societò che non percepisce o comunque si disinteressa alle espressioni di malcontento portate avanti secondo metodi ormai fossilizzati e “tradizionalmente”(nel senso di già vissuti ripeutatemente) utilizzati, quali manifestazioni o cortei o occupazioni.Nell'esprimemere la mia diffidenza, o meglio disillusione, di fronte ad un'attività politica svolta secondo schemi tradizionali (nel senso prima indicato) mi conduce invitabilmente a cercarne degli altri. Ripeto, non disdegno del tutto queste manifestazioni calorose di massa ma sento con urgenza la necessità di agire secondo altre modalità. Ritengo quindi, molto più incisivo un lavoro come quello di assistenza alle donne nel lavoro o come il progetto di studio sul decreto legge della riforma universitaria con l'attività parallelea di diverse figure del mondo universitario ossia ricercatori, studenti, dottorandi. Ho sempre pensato che prospettive diverse possano esclusivamente arricchire.
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La temetica femminista e il linguaggio.
Chiarisco l'ultimo punto espresso l'altra volta a proposito della forma del discorso. Per quanto mi riguarda, è bene che si mantenga una certa formalità e distanza tra di noi, perchè le nostre energie siano canalizzate soprattutto verso un lavoro come un manufatto culturale, piuttosto che annegare in discorsi intimistici e personali. Non penso che solo “l'impersonale” sia politico, ma mi sembra che sia di maggiore arricchimento mantenere una posizione più neutra. Ciò non significa che non mi interessa conoscervi o conoscere la persona che mi sta di fronte al di là del ruolo itituzionale che svolge ma penso che per conoscere una persona ci voglia molto tempo e, come direbbe Kant, non è possibile obbligare ad amare, io direi non è possibile obbligare a conoscere. Se ciò avverrà sarà una fortuna, per ora poniamo le basi per qualcosa di oggettivamente più stabile ed umano.
Veronica
2 commenti:
Riconosco in quello che dice Veronica un guado simile a quello da cui anch'io sono passata un (bel) po' di tempo fa e voglio puntualizzare qualcosa che spero scacci i timori relativi a intimismo/psicologismo/obbligo di vicinanza. Qui non si tratta di condividere le nostre vite, diventare sorelle amiche eccetera. Non stiamo lavorando su questo piano. Il punto è di metodo: usare l'esperienza personale come grimaldello per vedere le cose in modo differente e dunque per compiere un percorso di conoscenza il più possibile autentico e complesso e libero. Non "oggettivamente umano" ma "soggettivamente umano", ugualmente (=differentemente) per tutti.
Certo, se si segue un concetto di neutralità del sapere, questa non è la strada adatta. (Chi decide qual è il sapere neutro? Esiste una posizione neutra? E via domandando).
Magari in questi giorni posto altro, perché questo intervento mi sembra che metta a nudo (evviva!) un sacco di punti da chiarire, e a proposito, è buffo per me sentir dire "mi sono avvicinata al guppo femminista" quando non più di sei-sette anni fa, all'inizio del master in studi di genere, le studentesse (più o meno della mia età) mi dicevano: voglio chiarire che io non sono femminista e io: ah, ma neanche io! :- D
Solo con gli anni ho fatto pace col termine spogliandolo delle immagini malate che gli erano state appioppate (a proposito di risignificare).
A proposito dell'intervento di Veronica e del commento di Valentina, sottolineo l'importanza di non 'cadere' nell'obbligo di vicinanza, che tende a riprodurre in un contesto che si è scelto le forme identitarie che invece sono date (anche se non sempre coscienti, possibilmente rifiutate ecc.). E sottolineerei una cosa che scrive Maria Luisa Boccia nel suo libro 'La differenza politica', che molte di noi se non tutte hanno letto: la difficoltà di raccordare l'esperienza delle donne alle forme della politica (quelle tradizionalmente tali, dalle istituzioni a quelle di cui parla Veronica). Per questo partire da sé, e talora parlare di sé, non equivale ipso facto a intimismo, ma può essere uno strumento per 'pensare differentemente' (come dice ancora Maria Luisa) in vista di agire differentemente.
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