Report 4 Maggio 2011.
Presenti: Pina, Teresa, Elisa, Mandana, Federica, Carla, Rita Wilma, Ottavia e Massimiliano (cinematografico labo)
L’incontro di mercoledì si apre con la lettura di una recensione sulla prima proiezione della rassegna Prostituzioni reperibile sul blog “la rotta per Itaca” all’indirizzo: http://larottaperitaca.wordpress.com/2011/04/11/sventurata-la-terra-che-ha-bisogno-di-eroi-fabrizio-corona-o-il-naucrates-ductor/
In seguito sono riprese le fila del controverso dibattito sul tema della prostituzione, attraverso l’elaborato di Elisa che mette in evidenza i punti più importanti emersi dai tre report precedenti.
La discussione inizia con l’immediato riferimento al concetto di alienazione: ALIENARE te stessa per denaro, per successo, per potere, quando nessuno ti ha insegnato che il
tuo CORPO non è una parte di te ma è tutta te, che il tuo desiderio vale quanto quello dell’altro e la soddisfazione del tuo piacere gioca un ruolo così importante nella costruzione della tua identità che rinunciarvi per farsi uno strumento di piacere per il cliente non solo ti oggettiva e ti trasforma in merce da comprare o da rubare ma ti trasforma in cosa e annulla la tua umanità.
Tale momento di alienazione sembra ulteriormente alimentato attraverso il meccanismo della metonimia. Si assiste infatti a due tipi di astrazione corporea: la prima che ritroviamo in espressioni come “che figa!”, utilizza un parte anatomica per parlare di un tutto, di una persona; la seconda evidenziata da frasi del tipo “vendere il proprio corpo” mette invece in luce una sorta di metonimia al contrario, ovvero in tale caso ci si riferisce alla totalità del corpo per parlare di una pratica che nella realtà delle cose coinvolge solo parte di esso. Da qui nasce dunque la domanda se sia possibile interpretare una pratica sessuale come l’astrazione di una parte del proprio corpo.
Snodo importante della discussione è la concezione, secondo la quale la donna viene identificata con la sessualità: espressioni come “si è venduta” avvalorano questo pensiero e ci portano a far coincidere il corpo e l’intimità con la percezione della propria integrità. Emerge dunque un concetto importante che si riflette anche nelle nostre pratiche quotidiane: un limite nell’esperienza sessuale oltre il quale non ci sentiamo di andare poiché temiamo vìoli l’integrità della nostra persona. Tale limite evidenzia il rapporto tra l’espressione sessuale del corpo e l’esperienza del sé, il cui legame ci rimanda al concetto di SACRALITA’. Espressioni come “il mio corpo come un tempio” confermano questa percezione secondo la quale la pratica sessuale diventa, l’accesso al sé più profondo. Rivestendo la sessualità di tale valore si può dunque intendere la prostituzione come un momento di “desacralizzazione” del proprio sé attraverso la vendita di tale corpo. Ci viene da chiederci se tale percezione sia esclusivamente femminile o coinvolga anche il maschile. Inoltre, quanto influisce la funzione riproduttiva rispetto alla rappresentazione che abbiamo della sessualità femminile? In tal senso non si sta forse riproducendo una visione patriarcale della sessualità femminile, assoggettata alla funzione riproduttiva e quindi strumentale nella sua sacralità al desiderio e al potere dell’altro? Quanto influiscono cattolicesimo e patriarcato nel processo di socializzazione che contribuisce a creare questa percezione di sacralità della corporeità/sessualità femminile?
Carla Corso applica una sorta di scissione tra il suo corpo/persona e la sua vagina. Ci viene da chiederci come sia possibile scindere tali elementi in considerazione anche delle nostre riflessioni sul sé come un “tutto incarnato”. Appare comunque problematico il fatto di investire la vagina di metafore connesse al sacro, comportamento che sembra più complesso se relativo ad altri elementi corporei. Nella rappresentazione della sessualità femminile il piacere erotico è spesso connesso al piacere mistico, il che sembra alimentare quel tipo di asimmetria tra uomini e donne che non sempre vengono percepiti come due soggetti liberi che provano piacere nella stessa misura durante la pratica sessuale. Questo tipo di asimmetria si rende ancora più evidente quando si parla di monetarizzazione del sesso. In riferimento a ciò viene da chiedersi se sia solo il denaro che trasfigura la relazione che intercorre tra prostituta e cliente, o non vi sia anche un elemento più profondo che vede nel darsi all’altro un momento di condivisione del proprio sé, un vincolo stretto che unisce l’esperienza della sessualità all’integrità della propria persona incarnata. La vendita del corpo produce alienazione nella sex worker? E mi viene da chiedermi ora, l’acquisto di un corpo altrui che si rende disponibile solo in virtù di un compenso economico che tipo di percezione della propria identità/persona produce nel cliente? È possibile anche in tal caso parlare di alienazione? In che cosa differisce?
Ci riserviamo di fare alcune di queste domande alla presenza della Covre la cui prospettiva può aiutarci a comprendere un’esperienza della quale non possiamo che intuire, ipotizzare e teorizzare la portata, senza però comprenderne del tutto meccanismi e sensazioni. È importante dunque dare voce al soggetto- donna coinvolto in questo ambito e riservarci alcune domande per il confronto diretto. Sicuramente sono emersi alcuni aspetti particolarmente importanti per la nostra percezione del fenomeno tra cui lo snodo riguardante la sessualità e l’integrità del sé; la vendita del corpo come possibile meccanismo di alienazione; la libertà (?) nello scegliere una professione di questo tipo; il ruolo esercitato dal sistema nel processo di socializzazione che ci induce a investire di sacralità la sfera sessuale; il ruolo del denaro come elemento che suggerisce un’idea asimmetrica del rapporto uomo-soggetto-acquirente – donna-oggetto-merce.
Altro elemento di grande interesse è quello riguardante il rapporto tra femminismo e prostituzione. Le problematiche a riguardo sono molteplici. La prostituzione si dimostra come la manifestazione di quel potere di stampo patriarcale atto a funzionalizzare l’altra ai propri bisogni e desideri, motivo per il quale sembra stridere profondamente con i principi e le visioni del femminismo anni Settanta. È pur vero però che il femminismo stesso non si può considerare come un movimento monolitico vista la sua eterogeneità, e questo può far pensare che, anche riguardo all’argomento della prostituzione, vi siano opinioni diversificate. Il femminismo ha, infatti, consentito la presa di parola di tutte le donne, ponendo le condizioni ideali per parlare di prostituzione. Ma è possibile parlare di prostituzione come espressione della propria libertà sessuale? Si può considerare questo tipo di scelta lavorativa come momento di autodeterminazione? Dalla discussione è emersa una differenza di visioni a volte connessa alle implicazioni di tipo generazionale. Come è stato giustamente messo a fuoco il retaggio di cui gli anni Ottanta si sono fatti portatori ha facilitato una deriva libertaria di sapore edonistico che induce, oggi, le nuove generazioni a vedere diversamente il concetto di autodeterminazione sotteso alla scelta di prostituirsi.
Ultimo argomento trattato riguarda il modo attraverso cui le sex workers negoziano il sistema linguistico soggiacente al mondo della prostituzione. Infatti, partendo dal consueto presupposto secondo il quale il linguaggio crea e ridefinisce la realtà stessa, il dirsi e sapersi dichiarare diventa un ulteriore acquisizione di libertà, oltre a rappresentare un possibile superamento del meccanismo di alienazione relativo all’espropriazione corporale. Usare espressioni come “io vendo una performance” piuttosto che “io mi vendo” potrebbe in tal senso costituire anche un punto di inizio per affrontare con più facilità tematiche spesso ritenute scomode, soprattutto quanto riguarda la sfera della mercificazione corporale. Tale cambio di paradigma linguistico potrebbe costituire uno strumento ulteriore per affrontare il controverso dibattito che ruota intorno ai diritti civili e lavorativi delle sex workers?
Con queste domande ci diamo appuntamento a martedì 10 maggio per l’ultima proiezione della rassegna e l’incontro con Pia Covre, il cui intervento ci consentirà un ulteriore apertura di senso riguardo queste tematiche.
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