giovedì 12 marzo 2009

Su Ti do i miei occhi

Mi sono ritrovata a pensarci via via tra ieri e stamattina.

In effetti l’unico passaggio narrativo meno convincente, anche se introduce un elemento nuovissimo nel tema, è l’ingresso di Antonio in terapia. Voglio dire, c’è un’ellissi che lo spettatore difficilmente riempie con i dati a sua disposizione, è difficile immaginare “come” abbia trovato il gruppo, ad esempio. O forse mi sono persa io qualche passaggio?

Poi mi è piaciuto come è stato colto il legame tra la mancanza di desideri, che è anche mancanza di desiderio e curiosità verso l’altro (cioè alla conoscenza dell’altro da sé) e le dinamiche di annullamento e di violenza. Infatti Antonio non sa mai dire cosa desidera e se desidera (al massimo dice "voglio tutto").

E poi mi sono ricordata di Sibilla Aleramo e di Una donna e ho visto che c’è la proposta di un’immagine comune: la donna che inizia il viaggio alla ricerca della propria identità della donna scegliendo di lasciare a casa il figlio, come del resto fa la progenitrice Nora (di Casa di bambola). C’è invece un romanzo della Byatt (Babele) in cui non è così, non per scelta della madre, ma del bambino che non si fa lasciare a casa. Non lo so, mi sembra un coagulo interessante, io non ne percepisco esattamente la portata.

Ok ho finito le elucubrazioni baci

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