lunedì 11 aprile 2011
Report 6 aprile 2011
Presenti: Michela, Alessia, una nuova amica di cui (scusate) non ricordo il nome, Rita, Elisa, Giulia, Mandana, Teresa, Pina. L’incontro si è aperto con le valutazioni sulla prima proiezione del ciclo Prostituzioni e ci ha viste impegnate nel dibattito/confronto sul tema che proverò a riassumere in seguito. Nell’incontro si è deciso di contattare Pia Covre per invitarla alla proiezione del 10 maggio, la quale si è detta disponibile a partecipare ma attendiamo conferma. All’incontro ha partecipato anche Carla Fronteddu del Donna chiama donna che ci ha chiesto di collaborare alla costruzione della Giornata della Pia prevista per giugno. Il tema della Giornata, scelto da Aurore, è la condivisione del lavoro di cura tra donne e uomini e la conciliazione. Di questo segue le fila Pina che parteciperà all’incontro fissato per giovedì prossimo con DCD e Mara Meoni per discutere il da farsi. A proposito di Prostituzioni provo ora a riassumere i nodi venuti fuori dalla discussione di mercoledì a mò di promemoria per i prossimi incontri. Il ciclo prevede tre proiezioni: Videocracy (martedì scorso),Terra Promessa (19 aprile) e Working girls (10 maggio). Nella scelta dei film appare già implicita la partitura della nostra riflessione strutturata intorno a 3 diverse declinazioni della Prostituzione. In Videocracy viene sottolineata la strumentalizzazione del corpo delle donne e la sua mercificazione in quanto oggetto del desiderio maschile. Non solo alienazione del corpo e della sessualità ma aderenza al sistema di potere sfacciatamente patriarcale che regge le fila di questo nostro martoriato paese. Nel fenomeno del “velinismo” e delle politiche show-girls appare evidente un appiattimento della relazione tra i generi sulla dicotomia superiore/inferiore, dominante/dominato, soggetto/oggetto contro cui, nonostante i movimenti delle donne, dobbiamo ancora fare i conti. In Terra Promessa si focalizza la riduzione in schiavitù di queste donne, schiave, appunto, della perversione e della crudeltà di uomini senza scrupoli. L’ultimo, infine, ci mostra la prostituzione come “autodeterminazione e scelta”. Ed è proprio sulla prostituzione come libera scelta che le domande si pongono e il problema appare in un’ampia gamma di sfumature. Si può parlare di scelta? Si può parlare di libertà? Quanto c’è di moralistico nel pensare che la prostituzione sia poco dignitosa? Quanto influisce l’educazione religiosa nell’attribuzione di valore alla prostituzione? In che modo lo scambio di denaro può essere considerato la cartina al tornasole del fenomeno? Esiste una differenza tra le escort dei palazzi del potere e le lucciole di “basso bordo”? Parlando di prostituzione è facile incorrere nella consuetudine patriarcale dell’opposizione buono/cattivo, senza praticamente rendercene conto abbiamo talmente introiettato la distinzione tra le buone e le cattive che, quando meno te lo aspetti, salta fuori come parametro del discorso. E ancora una volta la nostra spia d’allarme è il linguaggio, sono le parole che usiamo per dire le cose. Avvertire il termine “prostituta” come un’offesa, accompagnarlo con un “nonostante” o reagire con un “per carità” all’idea di fare questa scelta, denunciano una valutazione negativa di fondo che rischia subdolamente di inficiare ogni ragionamento. Quindi, un’avvertenza, prestiamo attenzione alle parole che usiamo cercando di evitare equivoci e di andare oltre. Prima questione: una donna magari giovane e magari bella che sceglie di usare il proprio corpo come strumento di mestiere agisce la libertà di disporre del proprio corpo come meglio crede? Si può scegliere di fare la prostituta come si sceglie un mestiere qualunque? Sul piano teorico la prostituzione non è mai una scelta ma una conseguenza del sistema, essa si dà come una implicazione del patriarcato e della sua visione delle donne. In una reale cultura della differenza la soggettivazione delle donne comporta l’impossibilità dell’alienazione e della compravendita di corpi per soddisfare il desiderio del soggetto. Ci sarebbero due desideri che si incontrano e il riconoscimento del piacere dell’altro/a, non la soddisfazione di un desiderio che domina e possiede l’altro/a. Verrebbero meno le sovrastrutture che il patriarcato ha costruito intorno alla sessualità (sovrastrutture funzionali all’esercizio del potere) e si consentirebbe l’espressione di una società liberata sessualmente in cui non c’è spazio per la prostituzione perché il sesso, non più tabù, discrimine tra il buono e il cattivo, non potrebbe più fare da merce nel mercato. Non ci sarebbe più offerta se le donne (o gli uomini o i queer) assumessero in pieno il loro essere uniche e irripetibili, autrici della propria storia. E non ci sarebbe più richiesta se ci fosse una società davvero aperta, plurale, rispettosa delle differenze e dell’esigenze di ognuna/o, una società libera in cui sia davvero possibile scegliere. Ovviamente semplifico un discorso ben più complesso ma su cui, credo, siamo tutte d’accordo. Fatta questa premessa la prima questione che si pone è: come si può asserire che una donna, inserita in un contesto sociale in cui ancora oggi vale in quanto corpo da possedere, scelga liberamente di fare la prostituta? Secondo le nostre premesse teoriche questa donna non è messa in condizione di scegliere. Apparentemente sceglie di disporre liberamente del proprio corpo ma, chiediamoci, che ruolo giocano in questa scelta gli squilibri sociali, economici, politici che caratterizzano ad oggi le relazioni umane? È, in qualche modo, una riflessione analoga a quella che si impone parlando del velo islamico. Anche in questo caso di primo acchito verrebbe da dire che è una scelta libera e, d’altronde, sono molte le donne musulmane che portano il velo con convinzione, sinceramente convinte che sia una loro scelta. Che dire? Senza nulla togliere alla libertà di ognuna ci si può chiedere, però, quanto possa essere una scelta se vivi in un mondo che ti indica così rigidamente cos’è giusto e cosa è sbagliato da convincerti che è vero. E tanto vale per la prostituzione. Come può essere una scelta alienare te stessa per denaro, per successo, per potere, quando nessuno ti hai insegnato che il tuo corpo non è una parte di te ma è tutta te, che il tuo desiderio vale quanto quello dell’altr e la soddisfazione del tuo piacere gioca un ruolo così importante nella costruzione della tua identità che rinunciarvi per farsi uno strumento di piacere per il cliente non solo ti oggettiva e ti trasforma in merce da comprare o da rubare ma ti trasforma in cosa e annulla la tua umanità. D’altra parte, però, se non una scelta la prostituzione appare come un “esercizio di volontà”. A parte le donne costrette da protettori brutali quelle che decidono, senza imposizioni, per i motivi più vari, di “entrare nel giro” agiscono volontariamente e, soprattutto nel caso del velinismo, rivendicano con lucidità e fermezza la loro decisione. In questo senso si deve, perciò, tener conto della possibilità che ognuna stabilisca i confini della propria dignità e si autodetermini per il valore che autonomamente dà alle sue azioni. Cosa replicare a chi rivendica l’uso del proprio corpo come meglio crede? Che la sua illusione di essere la conduttrice del rapporto nasconde una realtà che la vede e la vuole vittima? Ma nella realtà questa stessa donna non decide autonomamente che il fine vale ogni mezzo e che è più conveniente una notte da puttana che un mese da commessa? Il denaro è un nodo centrale nella prostituzione, almeno in due modi diversi: 1) la circolazione di denaro nella relazione cliente/prostituta è indice dello squilibrio nel rapporto per cui chi paga compra una merce a suo uso e consumo e questa merce è una persona. Il rapporto mediato dal denaro mette in relazione un venditore e un acquirente che scambiano merce con soldi. Nella prostituzione non solo c’è l’evidente squilibrio che mette sullo stesso piano una persona e il denaro ma il rapporto appare complicato dal fatto che la stessa persona che, da un lato, contratta da pari la transazione, dall’altro si sottopone al cliente come merce. 2) Il valore della persona si annulla di fronte allo strapotere del denaro e vendere il proprio corpo diventa una “furbata” perché permette introiti considerevoli. Molte donne, è vero, si prostituiscono per disperazione ma tante, oggi soprattutto, usano la prostituzione come la chiave che apre tutte le porte. La mia sensazione è che stiamo assistendo ad una diversificazione del fenomeno prostituzione. Da un lato le donne, non necessariamente belle e non necessariamente giovani, che lo fanno come mestiere per vivere, per sostenere la famiglia, per mille motivi, e dall’altro delle giovani e bellissime donne che sfruttano (o credono) a loro vantaggio la perversione di uomini ricchi e potenti, usando esse per prime la loro giovinezza e la loro bellezza per entrare nelle stanze dei bottoni. Cosa c’è dietro alle une e cosa dietro alle altre? Da una parte probabilmente miseria, disperazione, necessità di arrivare a fine mese, di barcamenarsi in un mondo difficile. Dall’altra sete di successo, fame di potere, voglia di salire sul carro dei dominanti. Le due prospettive mostrano delle reali differenze? Gli spunti sono molti e la riflessione è aperta, mi fermo qui sperando di non aver intrecciato troppo il mio pensiero a quello di tutte e scusandomi per le tante cose che ho sicuramente tralasciato.
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