giovedì 2 luglio 2009

Oggetto Teresa - report 1 Luglio

La porta dell’aula M era semiaperta. Dentro c’erano Mandana e Teresa. Mandana ci ha spiegato come sarà l’incontro sul suo libro L’Iran che conoscevo io il prossimo martedì, 7 luglio, alle 17.30 alla libreria Becarelli. Dopo un po’ sono arrivate anche Veronica e Pina e ognuna ci ha aggiornato su temi diversi. Insieme a Pina abbiamo ricontrollato quello che c’è ancora da fare per l’imminente organizzazione della staffetta. Veronica ci ha parlato con evidente entusiasmo di Carla Lonzi e del suo libro Vai pure, del quale ci leggeva alcuni passaggi molto interessanti sul rapporto con suo marito prima di lasciarsi. Dalla lettura delle sue riflessioni siamo passate alle nostre sul rapporto di coppia, la fedeltà, la sessualità femminile, le rinunce delle donne degli anni 70 nello scardinare un modello patriarcale di femminilità e di quanto siamo fortunate oggi che grazie a loro abbiamo capito anche questo…. è stato proprio su questa frase che Teresa ha detto: “fortunate? no, per me non è stato così semplice”…..

Oggetto di Teresa: il coraggioso racconto della parabola della libertà femminile

Sono tre gli oggetti che porta: due libri e una cassetta. Il primo libro è scritto da Tahar Ben Jelloun, Creatura di sabbia, e racconta come “in un paese senza etá, che è anche il Marocco di oggi, nasce dopo sette sorelle Mohamed Ahmed. Nasce femmina, ma per volere del padre, che non vuole disperdere il patrimonio accumulato, crescerà maschio a dispetto del suo corpo, e dovrá reggere la casa e la servitù, essendo riconosciuta da tutti come nuovo capofamiglia”. Attraverso queste parole, Teresa ci riporta alla sua infanzia e adolescenza calabrese dove, nel non voler identificarsi con i modelli femminili di stampo tradizionale circondanti, aveva scelto un’identità neutra, maschile. I suoi amici, tutti maschi, e il rapporto con un padre tollerante funzionano come via d’uscita dalle imposizioni sociali alle donne in quanto tali: giochi, orari di rientro a casa, vestiti… Tutto ciò e soprattutto un forte, ma credo anche doloroso, fastidio nei confronti delle donne che le subiscono in silenzio, la porterá a un non meno doloroso rifiuto di un’identità e di un corpo. A un certo punto, è lo stesso corpo rifiutato che le ricorda, che le urla, che in qualche modo bisogna tornare da quel luogo del non-essere. Sono gli altri due oggetti che l’aiutano in questo cammino. Il primo è un libretto intitolato Tutto quello che gli uomini sanno delle donne dove non c’è scritto nulla. Ci sono delle pagine in bianco. Questa scoperta la rassicura nel suo appena iniziato percorso che verrá ulteriormente confermato dal rapporto con due donne femministe molto legate a lei e del quale la raccolta di “canti di donne in lotta” ne è un bellissimo testimone.
Ecco un assaggio:



In questo suo riappropriarsi di un’identità “rubata” come quella di Ahmed, troverà delle grosse difficoltà e contraddizioni, declinate a volte come emulazione dell’ordine patriarcale, ancora una volta, altre come emersione di un corpo tutto al femminile, espressione della sua identità e libertà. Il suo corpo di donna e la sua differenza femminile non saranno sempre facilmente capite dalle altre donne con le quali aveva condiviso i canti e le lotte verso la sua libertà femminile…. era ora lei -si chiedeva davanti a noi- a svegliare la stessa incomprensione che si trova alla base del suo allontanamento dal soggetto femminile? La parabola della libertà femminile.

Grazie, Teresa, del coraggioso racconto che mi ha restituito una parte della mia esperienza.

1 commento:

mandana ha detto...

Bellissimo! Brave Teresa e Lola.

Mi è piacuto molto il canto. Mi è venuto in mente che la situazione della donna dappertutto eguale. Non importa come ti vesti, con il velo o la mini gonna alla fine sei sempre una donna.
Io ho vissuto in una famglia laica e con un regime più matriarcale che patrircale. Le donne della casa mia se in pubblico erano come tante altre, all'interno delle case acquisivano una identità implaccabile. Così la nonna, la mamma mi hanno insegnato rimanere "fedele" a me stessa , in qualsiasi circostaza della vita in cui dovessi trovarmi. Io ho lasciato il mio paese con questo principio. Non avevo mai sofferto di crisi d'identità. Qui conosco lui, un uomo del sud. proveniente da una famiglia patriarcale, anche lui per lo stesso ragione ha voluto uscire. Ma fuori da quella casa non riusciva a trovare l'identità di "essere". Il suo crisi esistenziale ha creato anche in me momenti di confusione e quando frequentavo la casa dei suoi genitori questo crisi aumentava. Una volta il padre mi ha detto che qualsiasi cosa io faccia, qualsiasi cosa io dica, rimarrei sempre una donna. Come se essere donna fosse una malattia da cui non può guarire. Io quel giorno non ho dato una risposta. Ho preso la mano della mia bambina e sono andata a fare una passeggiatae e ho preso una decisione importante; abbattere lui con un'arma potentissima: la cultura. Era estate 1998. Quell'anno mi sono iscritta all'università. Ho letto tanti libri,tutti quelli che davano i professori e molti altri scelti da me. Volevo conoscere la vostra cultura per rispondere a tante domande che mi giravano per la testa. Ho applicata la cultura delle nostre madri della terra nativa agli miei studi- non ho permesso mai più a nessuno di chiamarmi donna in senso negativo e umiliante. E eccoci qua, Io parlo della mia libertà personale
perchè ho raggiunto mentre lui è rimasto un uomo molto solo...