giovedì 26 marzo 2009

Un'ora sola ti vorrei

Il racconto di un disagio. Il disagio di essere donna e non trovare un posto nel mondo. Lo dice all’inizio del film. Ma anche il disagio di non saperlo nominare. Non capire cosa sia. “Quando vado a letto dormo e forse il mio inconscio mi dice che non volevo né marito né figli”. Sente anche la colpa di chi non dovrebbe soffrire perché tutto sommato è una privilegiata: ricca, bella, amata…madre, sposa, sorella. “Tu sei il mio unico problema”, le diceva il padre.
È un film che ti lascia senza parole, probabilmente perché nemmeno lei ce le ha. Ti lascia immersa nella sua confusione e nel suo mutismo in un mare di parole. L’essenza però è quella di un grande dolore, disagio, inadeguatezza. Talmente grandi da non saperli nominare o forse proprio perché non sa nominarli sono così enormi. La violenza del disagio di non trovare le parole?

1 commento:

teresa ha detto...

La violenza del disagio di non trovare le parole? O la violenza che chiude ogni spazio in cui dire quelle stesse parole.
A proposito:


Elisabeth Packard (1816-90)
Ellen West (1890-1926)
Zelda Fitzgerald (1900-48)
Sylvia Plath (1932-63)


“Nel XIX e XX secolo queste quattro donne vennero ricoverate per “sintomi” psichiatrici. Erano tutte insolitamente testarde, dotate di talento e aggressive. Alcune si chiusero dentro di sé: non si preoccupavano del loro aspetto, rifiutavano il cibo, non erano più sessualmente interessate ai mariti. Una aveva allucinazioni uditive. Altre due tentarono ripetutamente di uccidersi. Ellen West e Sylvia Plath infine si suicidarono poco più che trentenni. Zelda Fitzgerald morì nell’incendio di un ospedale psichiatrico. Elisabeth Packard riuscì a fuggire dopo tre anni passati in un manicomio dell’Illinois; pubblicò un resoconto della sua esperienza psichiatrica e si batté per i diritti legali dei malati di mente e delle donne sposate.
Queste quattro donne condividono una certa fatale fedeltà alla loro singolarità. Per anni esse si negarono – e furono loro negati – i doveri e i privilegi del talento e della coscienza. Come molte altre donne, seppellirono i loro destini in matrimoni romanticamente stravaganti, nella maternità e nella soddisfazione dei ruoli femminili tradizionali. Tuttavia, le loro energie represse alla fine si liberarono pagando un prezzo tanto più alto quanto più era stata profonda la loro repressione: “l’abbandono” dei legami matrimoniali e materni, l’ostracismo sociale, la reclusione, la pazzia e la morte”.

Da P. Chesler, Le donne e la pazzia, Einaudi, Torino 1977