Oriana Fallaci e la prigione ‘non standard’
Ho 57 anni e da 48 anni lavoro nell’ambito del giornalismo. Da bambina facevo lo “speaker” alla radio. A 16 anni scrivevo il giornale della scuola; allora conoscevo già la mia vera vocazione: diventare la Oriana Fallaci dell’Iran.
Questo non era solo un mero desiderio, era una decisione presa dopo lunga ponderazione. Mi sono iscritta alla Facoltà di Giornalismo. Ho lavorato duro, non ho avuto paura, mi sono trovata nel mezzo di eventi; era il periodo in cui ancora il regime di Pahlavi era al potere. Ero libera di poter scrivere le confidenze della gente. Durante la rivoluzione ho viaggiato per i 4 angoli del mio Paese per raccogliere notizie. Sono partita per Parigi per intervistare l’Ayatollah Khomeini. Ero preoccupata per il destino del mio paese , gli chiesi se lui sostituiva un regime dittatoriale laico con un regime teocratico e mi rispose di no! Ma il futuro aveva deciso un destino diverso per noi iraniani.
Qualche mese dopo il ritorno in Iran dell’Ayatollah Khomeini, hanno cominciato a chiudere i giornali liberali e noi “giornalisti” siamo stati mandati a casa! Un anno dopo mio marito è finito in carcere per poco più di sei anni. In quelle stesse prigioni che il signor Khomeini aveva promesso di chiudere e far diventare università. Mio marito, prigioniero della repubblica islamica, sotto tortura ha confessato di essere una “spia dell’occidente” e di aver cospirato per un colpo di stato contro la repubblica islamica. Una tortura subita dal mio marito consisteva nel dover abbaiare invece che parlare perché gli agenti lo trattavano come se fosse un cane! Un cane che tutti giorni per la punizione doveva vedere i suoi compagni di cella stesi vivi in una bara chiusa . In quei giorni nessuno si preoccupava delle prigioni e dei prigionieri. Non c’erano riunioni dei congiunti e le madri piangevano i propri figli dentro casa.
Io, come giornalista , ho scelto di rimanere in anonimato. Un profondo “non essere”. Dovevamo morire oppure non farci più vedere. Una circostanza che è durata per anni. Ma, nonostante tutto, Oriana ormai aveva messo radici in un angolo del mio cuore. Mi ricordava sempre la speranza che un giorno avrei raccontato “La vita e niente altro”.
Arriviamo al 25 maggio. La Oriana Fallaci che era in me è venuta fuori con gli eventi. Di nuovo ero una giornalista. Un nuovo respiro. Esistevo ancora una volta. Mi sentivo Buona! Avevo dimenticato il velo obbligatorio in testa! Il mio paese prendeva respiro. Continuava la catena di omicidi , ma c’era un’inspiegabile speranza.
E’ stato un breve periodo… mi sono ritrovata nell’ufficio del procuratore dello stato. Rispondevo all’interrogatorio.
Mi avevano avvolto in un velo nero che odorava di rabbia , di odio, di dittatura e di carcere.
Mi dicevano “Chi ti ha pagato per scrivere? Sei una spia dello Shah e dell’Occidente”.
Sotto il velo piangevo di nascosto. Ma la voce coraggiosa di Oriana Fallaci usciva dalla mia bocca: “ Io sono una giornalista . Non sono una spia. Io amo il mio Paese e sempre sarà così”.
Il giudice non mi vedeva, non mi ascoltava, parlava al telefono e decideva il destino di tanti altri come me in carcere. “ Sei una spia , una venduta agli agenti stranieri, una puttana”.
Poco dopo in uno dei tunnel sotterranei della prigione Kahrizak, di fronte ad un uomo grasso e insignificante, che teneva sempre i pugni chiusi, dovevo rispondere a domande assurde come “Quale è il vostro piano di “aggressione culturale?”, “Quali paesi sono coinvolti nella rivoluzione contro la cultura islamica?”.
Mi hanno proibito di fare la giornalista e subito dopo mi hanno tolto anche il lavoro come speaker alla radio. Hanno invaso la mia casa e mi hanno sequestrato tutto, compresi 7.000 libri che erano il frutto di anni di studio miei e di mio marito. .
E cosi un giorno mi sono ritrovata all’aeroporto di Orly a Parigi. Ero una esiliata. Una tra mille individui senza nome e storia. Ero precipitata nel mezzo di una società estranea senza un lavoro, senza un futuro. La Oriana, che era dentro di me per darmi coraggio, era molto triste. La vera Oriana, famosissima nel mondo, scriveva dal letto ammalata, mentre io e la mia Oriana cercavamo un lavoro ai “Mc Donald’s” per sopravvivere.
A quei tempi Oriana Fallaci era malata di cancro ma in realtà chi stava morendo ero io, dentro di me. Una morte ingiusta che non volevo accettare affatto. E cosi un’altra volta mi sono rivolta alla mia Oriana che vagabondava dentro di me per trovare il coraggio per rialzarmi.
Con l’aiuto di mio marito e dei nostri amici, che vivevano lo stesso destino, abbiamo messo su un giornale elettronico “Ruz online”. La mia penna ha trovato di nuovo un lavoro e io ho scritto, ho scritto, …senza fermarmi e il giornale ha avuto un gran successo. Da una piccola cittadina sono riuscita ad intervistare l’Ayatollah Montazeri ed a lavorare insieme ad Ahmad Batbi. Di nuovo la mia Oriana ha cominciato a sorridere. No , noi non ci arrendiamo. L’Iran è la nostra Patria , è la nostra casa, è nostro diritto riconquistarla.
Era di nuovo tempo di elezione (ndr: elezioni giugno 2009), si votava di nuovo e di nuovo si sperava di avere una patria libera. Osservavo da lontano i giovani del mio Paese che si avvolgevano in una stoffa di colore verde e gridavano Libertà. Guardare i miei connazionali da lontano era penoso ma comunque mi dava speranza ed energia per andare avanti. Nel mio diario di quei giorni scrivevo “ Io ritorno nel mio Paese . Il mio Iran verde, il mio Iran libero”.
Niente da fare. Un nanetto, un bugiardo con un riso stupido ha vinto le elezioni . Noi siamo andati per strada in silenzio e con i nastri verdi. Abbiamo gridato “Dove è il mio voto?”, ci davamo coraggio, “Noi non abbiamo paura , noi siamo uniti!”
La risposta alla nostra protesta sono state le pallottole, le pallottole che miravano alla testa e al cuore. Di nuovo cominciavamo a morire e continuiamo a morire tutti giorni nello sguardo insanguinato di Neda , nel cuore pieno di sangue di Sohrab….nel pianto di Said Hajarian, nel corpo ferito e umiliato di centinaia di studenti del nostro Paese che sono stati attaccati nel sonno nei dormitori dell’università e che portati nei sotterranei del Ministero degli Interni venivano maltrattati e disidratati;, e questa “morte” continua tutti giorni.
In questi ultimi tempi il signor Khamenei, il leader religioso degli sciiti, ha ordinato di chiudere un carcere non perché non debbano esistere ma perché non rientrava nello standard di efficienza! Questa è la risposta a tante madri che hanno perso i loro figli all’interno delle carceri del regime?
No, Signore! L’unica cosa che calmerà i nostri cuori addolorati è chiudere tutte le carceri. Coloro che hanno costretto i nostri figli a pulire i gabinetti con la lingua devono essere condannati. I responsabili delle torture e delle uccisioni dei nostri figli devono essere puniti per dare una risposta a genitori come il padre di Amir Javadifar la cui morte ha portato all’estremo della depressione e della malinconia.
No, Signore! Non ci siamo! Noi rimaniamo, finchè rimarrete voi! Rimaniamo finchè rimarrete, Ahmadinejad , Mortasavi e Haddad e i vostri uomini fantocci. Non abbiamo sofferto così tanto perché possiate pensare di aver risolto il problema chiudendo la Guantanama Islamica! La nostra rabbia va ben oltre un piccolo gesto da parte vostra!
Si, la vera Oriana Fallaci è morta! Il suo corpo è stato sepolto nel suo Paese con il massimo di rispetto. Io con la Oriana che è dentro di me siamo vive e continuiamo a scrivere e a gridare in una piccola cittadina francese piena di emigranti come me. E tutti i giorni moriamo e rinasciamo insieme ai nostri connazionali che sacrificano la loro vita nella madre patria. Noi continuiamo a scrivere, gridare, piangere, noi resistiamo!
Una mia affezionata lettrice una volta mi ha scritto che molte donne europee e americane vogliono essere Nooshabeh Amiri . Cristian Amanpour aveva detto “ Magari fossi Nooshabeh Amiri”.
E io piango per quella Nooshabeh Amiri che nel suo Paese è stata chiamata spia e puttana; per quella giovane donna che voleva soltanto morire nel suo Paese. Invece oggi sento solo da lontano le notizie dell’assassinio di giovani connazionali che volevano semplicemente un pugno di libertà e rispetto e magari un giorno diventare qualcuno come Oriana Fallaci.
Oggi la Oriana che sta dentro di me mi ribadisce “ Noi un giorno recupereremo il nostro Paese. Noi un giorno canteremo l’inno della libertà . Noi moriremo nel nostro Paese con rispetto. Noi un giorno insieme ai giovani del nostro Paese canteremo l’inno della rinascita. E coloro, che hanno ridotto il nostro Paese allo stato attuale, da dietro i muri alti delle carceri ‘non standard’ ascolteranno il nostro inno alla libertà”.
30 luglio 2009
Nooshabeh Amiri
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