giornale di brescia 8 ottobre 2010
pubblicata da Vanzan Anna il giorno venerdì 8 ottobre 2010 alle ore 11.18
In questi giorni due notizie riguardanti altrettanti atti di grave violenza contro le donne hanno sconvolto l'opinione pubblica italiana: l'uxoricidio, avvenuto nel Modenese, di una pakistana che tentava di difendere la figlia dalle percosse paterne (impartite perché la ragazza non accettava un matrimonio combinato); e la scoperta del cadavere di Sarah uccisa e violentata dallo zio.Il primo luttuoso fatto ha provocato una ridda di polemiche: molti hanno accusato la religione islamica (professata da vittima e carnefice) di esser la matrice, il mandante «morale» del cosiddetto «delitto d'onore», e si sono puntualmente presentati i sostenitori della necessità di liberarci dalla immigrazione portatrice di nefandi costumi, mentre alti organi governativi si sono proposti come parte civile contro l'omicida. Il secondo caso, riguardante un delitto consumato all'interno di una italianissima famiglia, è più imbarazzante per i paladini della presunta superiorità della civiltà occidentale, ma s'accompagna al primo nella dolorosa conferma che, per molte, troppe donne, il «lupo» s'annida in casa. La novità, semmai, va registrata nell'episodio che vede protagonisti alcuni cittadini pakistani. La vittima è stata una madre che difendeva la figlia dalla violenza paterna, cosa non usuale in questo contesto: come si ricorderà, ad esempio, nel caso di Hina, la giovane pakistana uccisa qui nel Bresciano, la madre era risultata complice morale del delitto, in quanto non solo non era intervenuta, ma si era addirittura preventivamente allontanata da casa pur conoscendo le intenzioni omicide del marito. Spesso, infatti, figure femminili come le madri sono cruciali nei «delitti d'onore», delitti che loro stesse istigano o che più o meno tacitamente avallano perché condividono l'idea che le figlie abbiano compromesso la rispettabilità familiare. Nel recente caso avvenuto a Modena, invece, una madre ha deciso di rompere un esecrabile costume patriarcale, pagando con la vita, ma dando altresì un forte segno, un segnale di ribellione che inevitabilmente risuonerà in altre comunità in cui i «delitti d'onore» sono ancora praticati, e soprattutto nel Paese d'origine, il Pakistan, dove sono ancora centinaia le vittime annuali di questo ancestrale e tribale costume. Ma anche in Pakistan le cose stanno lentamente cambiando: come mi ha rivelato un avvocato di Karachi impegnato nella campagna contro i «delitti d'onore», nell'opinione pubblica sta montando una crescente consapevolezza.Poiché, comunque, i «delitti d'onore» si registrano soprattutto in Pakistan, Turchia, Giordania e Palestina e nelle comunità migrate da questi Paesi, di religione islamica, è indispensabile che autorevoli esponenti di questa religione intervengano sottolineando l'incompatibilità tra fede musulmana e qualsiasi delitto. È utile sottolineare la recente presa di posizione dell'Ucoii, l'associazione che raggruppa un considerevole numero di musulmani presenti nel nostro Paese, e che ha iniziato una campagna contro i matrimoni imposti. Ora auguriamoci un segno forte anche fuori dalle comunità islamiche, in seno alle nostre autorità, per combattere la violenza contro le donne di qualsiasi credo e provenienza esse siano.
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