Pina, visibilmente emozionata, prende posto. Intorno a lei Mandana, Lola, Mari, Michela ed io.
Pina ha 20 anni quando l’incontro con una donna, Giulia Calvi, docente di Storia nella nostra università, provoca nella sua vita un “cortocircuito” che si innesta su una sua crisi personale che l’accompagnerà per circa dieci anni.
Secondo anno dell’università. Pina si iscrive a Storia per “motivi politici” e non ha particolare interesse per la storia moderna. Fino alla prima lezione della prof.ssa Calvi, che teneva un corso di Storia delle donne sulle Streghe. Il coinvolgimento fu tale che già in quella prima lezione Pina decide di laurearsi con lei, un coinvolgimento intellettuale ma anche affettivo, emotivo, fatto di
stima, riconoscenza e, alla fine, un po’ di amarezza.
Lo studio della storia delle donne, ci dice Pina, “ha fatto emergere il mio mondo infantile, fa emergere la mia genealogia femminile”. Pina cresce in una famiglia allargata composta (fatta eccezione per il padre) esclusivamente di donne: la mamma, una zia (figura centrale nella sua vita) che, rimasta vedova ha sempre rifiutato di risposarsi, una cugina e la nonna paterna che Pina definisce “un repertorio umano di canti contadini”. Pina non si spiega l’emersione del suo mondo femminile in correlazione ai suoi studi, la considera una regressione rispetto alla scelta “politica” di studiare storia. Pina racconta la fatica del lungo percorso che l’ha portata a capire il senso di quello che emergeva dal suo profondo. Riconosce subito la forza che le figure femminili della sua famiglia, coinvolte in scelte difficili, si trascinano dietro nell’emergere dal profondo oscuro in cui Pina, intanto, scivola. I suoi nervi cedono sotto il peso di una relazione sentimentale sbagliata, della delusione legata alla scoperta che l’università non era quella fabbrica di pensiero critico che si aspettava, e sotto il peso di un disagio “in emersione” nel rapporto con la madre.
Perché l’incontro con questa donna ha scatenato tutto questo? Perché attraverso lei e le sue lezioni, ci dice Pina, si è resa conto che il modello femminile che la storia le metteva davanti e nel quale si muoveva, non aveva nulla a che fare con la sua storia personale e familiare. La rigida suddivisione dei ruoli, la sopraffazione dell’uomo sulla donna, non trova corrispondenza nella storia della sua famiglia. Secondo la sua esperienza le donne sono forza, energia, entusiasmo (soprattutto la nonna). Grazie agli studi fatti con Giulia Calvi, Pina scopre (proprio guardando alla sua famiglia) la “sacralità della vita”, riassunta nella procreazione, in opposizione ai modelli culturali storicamente dominanti. Lo studio della Storia delle donne porta alla rottura degli schemi, “quando mi sono autorizzata”, ci dice Pina, “a significare il mio senso politico a partire dalla rottura degli schemi, mi si è aperta una nuova visione del mondo”.
Un momento topico in questa ricerca di identità è stata per Pina la lettura di “Una donna” di Sibilla Aleramo, di cui ci legge un piccolo ma significativo brano. Ne cito solo alcune frasi: “Perché nella maternità adoriamo il sacrificio? (…) Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità?”.
La lettura di queste pagine accompagnano lo svelamento del sacrificio della madre e l’appiattimento dell’identità femminile e, quindi, del corpo, sulla funzione procreativa. Altra lettura importante nel percorso di Pina sono i saggi di Luisa Accati sul rapporto madre/figlia e sul ruolo della chiesa (secondo la storica il celibato ecclesiastico così come la verginità di Maria sono da legarsi ad una equivalenza tra separazione/lontananza dal corpo e il potere). Brevemente Pina ci parla della lettura della Accati secondo la quale la religione del Figlio, de-sacralizzando il corpo, mette in secondo piano l’identità femminile (che si trova ad essere subalterna al Figlio), e qui si può leggere la costruzione di un mondo, ci dice ancora Pina, “con tutto quel che ne consegue, legge sulla procreazione assistita, atteggiamento del papa rispetto agli stupri delle suore in Bosnia, …”
Dal racconto delle sue fonti intellettuali Pina passa, poi, al racconto del suo rapporto con la mamma, della difficoltà di comprenderne le scelte e di come, riconciliarsi con lei le abbia permesso di riconciliarsi con se stessa, dopo un decennio di dolore e silenzi. Il racconto della costruzione di questo rapporto ha suscitato le voci delle presenti che via via cominciano ad intervenire.
Lola si dice a disagio per una frase usata da Pina nel suo racconto: “le donne che vivono rispettando i ruoli ma sono felici”. Pina le risponde che non è tanto questione di felicità, è un andare avanti con dolore, con fatica, ma anche con forza, con amore per la vita, un amore luminoso, più forte di tutti.
Mari fa notare la forza che entra in gioco nella rottura dei ruoli, la forza di questa mamma che non corrisponde al modello.
Mandana prende la parola e racconta di sua mamma impoverita dal rapporto con un marito spesso assente, freddo, noncurante e a cui rimprovera di non aver avuto la forza di amare un altro uomo, sperando che questo amore avrebbe potuto farle amare meglio le sue figlie. Una mamma che si è negata l’amore e non ha saputo/potuto insegnarlo alle sue figlie.
Lola insiste che bisogna smettere di parlare di modelli. Dov’è finita, si chiede, la libertà femminile? Mari e Pina concordano che, tuttavia, è necessario confrontarsi con un modello, anche per poterlo rompere. Michela interviene con una domanda a Pina: “hai detto che dopo il chiarimento che avete avuto con tua mamma non può più esserci niente che non sia limpido, in che senso? Perché siete sullo stesso piano o ancora come madre/figlia?” Nel senso, risponde Pina, che “non può più agire su di me il ruolo materno”.
Mari: “si è spezzata una catena. Rispetto alla mamma ti senti in difetto per il sacrificio che lei ha fatto, solo quando sei a tua volta madre puoi davvero sentirti alla pari. Si riconosce la maternità ma non la femminilità”, e qui cita Paolo che chiama la donna “vas electionis” e consiglia la lettura di “Eunuchi nel regno dei cieli” di una teologa danese (sorry, non ho segnato il nome).
Il rapporto madre/figlia è il tema dei temi, fa notare Michela, che ritorna sul rapporto con la prof.ssa Calvi e su come colpisca il modo in cui questo intreccio tra lei e il materiale di studio si pongano come tramite per uno scoperchiamento delle tematiche. Pina riconosce la maternità intellettuale della Calvi ma ne lamenta una mancanza di continuità.
Mari: “il problema dei rapporti tra le donne passa per una codifica maschilista”. Pina suggerisce che forse è la sacralità della conoscenza che spinge verso il riferimento alla madre. Lola si chiede, allora, se si tratti di sacralità o di potere, e Pina risponde che si tratta di sacralità perché nell’ambiente universitario ha costruito relazioni che le hanno permesso di superare le gerarchie e il potere. La conversazione a questo punto si sposta sul diverso valore che il “legame scientifico” con una donna assume rispetto a quello con un uomo che è più difficile e non può vantare la sacralità della relazione che ha, invece, tra donne.
Intanto si è fatto tardi e con un po’ di fatica sciogliamo l’assemblea conservando l’emozione di questo pomeriggio e ringraziando Pina per averci donato un po’ di sé, e per averci, così, permesso di fare un po’ più di luce sulle nostre vite.
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