Presenti: Monica, Pina, Mandana, Lola, Teresa, Nora, una ragazza nuova di cui non so il nome :(
Adelaide dice di aver avuto una certa difficoltà a scegliere l’oggetto finché si è concentrata su ipotesi di tipo ‘filosofeggiante’. Poi ha deciso di presentarci qualcosa che la riguardasse profondamente - un’esperienza, un nodo - e, prima di parlarne, ci dice che comunque la sua narrazione non sarà fluida poiché ha difficoltà di ‘messa a fuoco’: si tratta infatti di far diventare parola un percorso in fieri, non chiuso, in gran parte ancora sommerso, comunque in corso di svolgimento, in fase di comprensione. Ha ritrovato una risonanza nella narrazione di Alessia Frontalini (‘Cera di cupra’) che, a sua volta, parte dalla famosa frase di Simone De Beauvoir «Donna non si nasce, si diventa» [chiederei ad Adelaide di copiare la citazione della Frontalini che ha letto, se le va].
Adelaide ci dice che il 75% delle donne, secondo l’indagine di Beauvoir, avrebbe voluto essere maschio perché per i maschi è molto più facile stare al mondo. Questa, ci spiega, è sempre stata anche la sua convinzione. Punto di partenza della riflessione è stata una recente conversazione in cui la mamma le ha detto che, quando era incinta di lei, il medico aveva previsto un maschietto. Adelaide dice che la convinzione dei genitori di aspettare un maschio (cosa peraltro appresa solo da pochissimo) ha orientato i loro comportamenti nei suoi confronti e lei è arrivata a disprezzare l’esser donna desiderando di essere un uomo. Pertanto, si è adeguata ad uno standard maschile assumendo comportamenti da uomo fra cui, in particolare, e mi sembra torni spesso su questo punto, l’aggressività: lei, come donna, si è ‘messa in disparte’. C’è nel suo racconto, così mi pare, l’equazione mascolinità=aggressività.
Legge una sua riflessione [che le chiederei di postare].
Adelaide individua alcuni punti:
- disconoscimento del proprio corpo;
- società patriarcale= la donna si sente inadeguata rispetto all’uomo;
- biografia: in casa il padre si è sempre rivolto a lei come se fosse un maschio, anche se da quando è diventata adulta lo fa meno. Le chiediamo cosa vuol dire che il padre si rivolge a lei come se fosse un maschio e lei risponde che parla con lei di politica, calcio, caccia... Adelaide dice che fin da piccola ha cercato di adeguarsi al contesto e alle sue contraddizioni, che si giocavano sul suo corpo: portava infatti capelli da maschiaccio, andava a pesca col padre e indossava vestiti da femmina (la mamma e la nonna infatti l’hanno sempre ‘vista’ femmina).
Nora: il fatto di avere una chiave di lettura del mondo ‘doppia’ è una fortuna! Adelaide risponde che sì, lo sarebbe perché può essere una ricchezza ma, visto che gli altri e le altre (e parla soprattutto di coetanei/e) non l’avevano, non la capivano, questo fatto la faceva, la fa ancora, soffrire.
Pina: rovescia la questione dell’ecografia: che sarebbe successo se fosse stato il contrario? Non avrei sofferto come ho sofferto, dice Adelaide...
Adelaide dice di aver avuto una doppia identità per tanto tempo che l’ha fatta soffrire molto: fuori un corpo di donna, dentro pensieri da maschio.
La mamma l’ha accettata perché era femmina; il papà riusciva ad avere un rapporto solo quando si rivolgeva a lei come a un maschio. Ha subito lo stereotipo dominante del padre che l’ha autorizzata a comportamenti¨come l’aggressività, il calcio, la caccia ecc. (mi viene in mente mentre scrivo che è come se fosse mancato il passaggio, e lo stesse facendo ora, dalla neutralità di ‘essere persona’ alla sessuazione).
Teresa: dice che ha avuto un’esperienza simile ma senza sofferenza per cui lei ha desiderato di essere un maschio e suo padre si è rassegnato. Riflessione: la cose che ci piace fare/ci impongono di fare contribuiscono a costrure la nostra identità.
Teresa bambina giocava con le coetanee al ruolo di quella che non si era sposata, lavorava ed era indipendente. Oggi le sono rimaste molte di queste cose. La sua, dice, è stata una scelta: quella di muoversi nell’altra ‘metà’ del mondo.
Adelaide: tentativo di mettere insieme le due identità, maschile e femminile.
Nora: il padre di Adelaide voleva trasmettere quel che per lui era importante e lei, la figlia, ha confrontato tale modello con quello sociale e lì è nato il ‘casino’.
Pina parla per Adelaide di possibile senso di colpa: lei si sentiva in colpa di non essere un maschio.
Teresa: necessità, invito ad armonizzare la parte maschile e femminile di cui parla Adelaide. E aggiunge, per sè, che il giorno più brutto della sua vita è stato quello in cui ha avuto le prime mestruazioni: pianti, vergogna...
Lola: rivedere il rapporto col padre e con la madre.
Adelaide: mestruazioni: furono il segnale che le fece capire che era una donna.
La conversazione si sposta sul rapporto di identificazione col padre che ha il potere: sembra che l’unico modello che le consentisse di sentirsi accettata fosse identificarsi col padre. La madre infatti si metteva in disparte, ‘assente’ come la nonna, e con nessuna delle due ha mai avuto un legame di confronto esplicito.
Si tirano un po’ di somme attorno ai nodi:
- prenderci il potere che ci viene dato dal padre;
- prenderci la responsabilità di correre il rischio di ‘avere le palle’ (discutiamo molto sull’opportunità di questa locuzione, che a me e ad Adelaide piace mentre alle altre no o piace poco);
- necessità, per Adelaide, di un percorso di posizionamento su sé che le consente di entrare in relazione con persone che accettano la sua differenza, la sua ‘mascolinità’ come ricchezza di un modello che le è stato fornito fin da piccola e che può essere entrato in conflitto con quello femminile (penso mentre scrivo a questa mamma e alla nonna sullo sfondo e le faccio risuonare con lei, che si dice aggressiva, e che giudica l’aggressività negativamente, come cifra mschile, in qualche modo da tener distante da sé... immagini, e ve le butto lì);
- armonizzazione: diventa un percorso di recupero di aentrambe le parti;
Adelaide dichiara la difficoltà a condividere questo percorso con altre e altri, cosa che comunque oggi nel gruppo è riuscita a fare: è la pratica di relazione la forza di Presenti, differenti.
Ci chiediamo: alla sua età è a un punto cui noi quarantenni non eravamo: cosa è ‘passato’?
Pina: la pratica delle relazioni ha origini femminili e diventa discorso politico. È nel ‘500 che si crea la pratica del distinguere, e la successiva cultura dell’oggettivazione [Pina, ti va di approfondire?].
Rivalità fra donne: strumento prezioso del patriarcato (credo fosse Teresa o Lola).
Le relazioni fra uomini sono ‘a pagamento’, quelle fra donne sono costruite sulla gratuità e sulla reciprocità dello scambio (Pina e Teresa, se non ricordo male).
Questi i miei appunti di quando non intervenivo... imprecisi giacché ho saltato molti passaggi essendo appunto impegnata a viverli col gruppo: chiedo venia ma, soprattutto, la disponibilità di chi c'era a integrare correggere perché nodi ne sono venuti fuori tanti, e densi, e c'è un sacco di roba per il glossario ma, soprattutto, per nutrirci noi. Grazie Adelaide :)
2 commenti:
Possibili errori orrori e altro derivano dalla scarsa lucidità febbricitante che mi ha tenuta ahimé lontana da voi oggi - ma mi sono consolata scrivendo il post e stasera vedrò anche 'La teta asustada'. Non sarà lo stesso ma sarà meglio di niente... Baci allo sciroppo, Moma
A proposito di "avere o non avere le palle", una suggestione.
Avere le palle: si utilizza un'immagine maschile per indicare una qualità positiva. Al contrario, "essere una femminuccia" riferisce al femminile l'assenza di valore. Gli esempi abbondano. Allora mi chiedo: se è vero, come credo, che il linguaggio sia la colla che tiene insieme la materia di questo mondo, continuare ad utilizzare inconsapevolmente un linguaggio configurato al maschile, non finisce col perpetuare l'utilizzo di quel particolare collante(sebbene si spacci per universale), che è la via maschile del pensiero? Anche se a farlo sono io, femminista consapevole?
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