Ancora una volta è il corpo ad essere al centro della riflessione; è attorno ad esso che si muovono i miei dubbi. Cosa intendiamo quando parliamo di corpo? Facciamo forse riferimento ad un mero involucro che limita con la propria fisicità e dunque con i propri complessi processi biologici l'esperessione di qualcosa d'altro, oppure indichiamo consapevolmente una struttura totale, capace di contenere ma anche di essere?
La storia recente del femminismo ci ha insegnato a superare la funzione limitante della dimensione puramente fisica. Rompendo il mito della "matrice", della "donna culla" destinata a ricevere l'ovulo fecondato, il corpo cessa di essere oggetto, si emancipa, acquista un proprio status: il corpo è soggetto, la donna è anche corpo. Il corpo come elemento di rottura, liberato dai vincoli culturali e sociali, comincia a veicolare le prime istanze: "IL CORPO E' MIO E LO GESTISCO IO!". Non si rivendicano a gran voce semplicemente il controllo della donna sul proprio corpo, la capacità di disporre in piena autonomia di un oggetto da abitare; il corpo è strumento prima di tutto politico, attraverso cui diventa possibile agire concretamente sul mondo, modificandolo.
L'uso della pillolla contraccettiva è il simbolo forse più evidente della volontà della donna di ridisegnare i propri bisogni all'interno della società patriarcale. Attraverso il blocco volontario dell'ovulazione, la donna si riappropria della vita individuale, conformata, come sostiene Simone de Beauvoir, più secondo i bisogni dell'ovulo che i propri.
Ecco che allora la fisicità si delinea come una tavola su cui agire; il corpo che diventa strumento attivo di conocenza di se, come sostiene Lola durante la presentazione del suo oggetto, una lente attraverso cui rileggere il passato storico-sociale per ripensare un futuro diverso.
Le donne degli anni Settanta, emarginate, discriminate nel mondo lavorativo e confinate in ruoli secondari, ancora strettamente connessi alla cura della casa, alla protezione della sfera intima, agiscono sul corpo per riscattarsi, su quell'elemento per troppo tempo negato, nascosto, brutalizzato e ora così direttamente accessibile.
La maternità non è più vissuta come semplice evento naturale da subire; i tratti dell'autonomia e della volontarietà cominciano ad assumere rilevanza nella definizione della struttura famigliare, ma anche nei nuovi ruoli che le donne di li a poco rivendicheranno nella sfera lavorativa, in quella politica e istituzionale. Tutto sembra dunque partire dal corpo e dalla sua fisicità più intima, quella legata al ciclo mestruale, al rapporto sessuale, al concepimento, alla maternità, all'aborto. Agendo sulle funzioni biologiche del corpo, le donne scardinano i parametri esistenti, combattendo contro quell'elemento da sempre presente: il senso di colpa. Un elemento che continua ad accompagnarci anche oggi, come a volerci ricordare (nel caso lo dimenticassimo), che la nostra incapacità di scrollarci di dosso retaggi, ahimè centenari, è ancora li, tutta davanti a noi.
Il senso di colpa che proviamo in seguito a decisioni dolorose e coraggiose al tempo stesso, sembra ormai diventato parte di noi, del nostro essere al mondo. Senso di copla che proviamo nei confronti di madri, padri, mariti e compagni e il senso di colpa creato ad hoc quando ci rivolgiamo a strutture mediche incapaci di prendersi cura del nostro corpo, ma assolutamente in grado di sottoporre la donna a giudizi feroci e a decisioni "etiche", il cui grado di soggettività altro non fa che mettere seriamente a rischio la nostra salute.
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