martedì 15 febbraio 2011

Quelle come me



...è come una goccia d’acqua nel deserto ciondolante.
Quelle come me sono capaci di grandi amori e grandi collere, grandi litigi e grandi pianti grandi perdoni.
Quelle come me non tradiscono mai, quelle come me hanno valori che sono incastrati nella testa come se fossero pezzi di un puzzle, dove ogni singolo pezzo ha il suo incastro e lì deve andare.
Niente per loro è sottotono, niente è superficiale o scontato, non le amiche, non i figli, non la famiglia, non gli amori che hanno voluto, che hanno cercato, e difeso e sopportato.
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive...
Quelle come me donano l'anima, perchè un'anima da sola, è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l'anima, perchè un'anima, da sola,
è come una goccia d'acqua nel deserto ciondolante.
Quelle come me sono capaci di grandi amori e grandi collere,
grandi litigi, grandi pianti e grandi perdoni.

Alda Merini

Domenica 13 febbraio 2011 "quelle come me" c'erano tante...

giovedì 3 febbraio 2011

Non mi pento di niente

Dalla donna che sono
mi succede a volte di osservare
nelle altre donne che potevo essere;
donne garbate
esempio di virtù
laboriose brave mogli,
come mia madre avrebbe voluto.

Non so perché
tutta la vita ho trascorso a ribellarmi
a loro.

Odio le loro minacce sul mio corpo
la colpa che le loro vite impeccabili,
per strano maleficio
mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti notturni sotto il cuscino
di nascosto dal marito
contro la loro vergogna della nudità sotto
la biancheria intima
stirata e inamidata.

Queste donne, tuttavia,
mi guardano dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere la “brava bambina”, “la donna perbene”
la gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato, dagli amici,
dalla famiglia, dai figli e da tutti gli altri esseri
che popolano abbondantemente questo mondo.

In questa contraddizione inevitabile
tra quel che doveva essere e quel che è,
ho combattuto numerose battaglie mortali,
battaglie inutili, loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa –.

Con la “psiche dolorante”, scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali
lacero le donne che vivono in me
che, fin dall’infanzia, mi guardano torvo
perché non rientro nello stampo perfetto
dei loro sogni
perché oso essere quella folle, inattendibile,
tenera e vulnerabile,
che si innamora come una triste puttana
di cause giuste, di uomini belli e di parole giocose

perché, da adulta, ho osato vivere l’infanzia proibita
e ho fatto l’amore sulle scrivanie nelle ore d’ufficio
e ho rotto vincoli inviolabili e ho osato godere
del corpo sano e sinuoso di cui i geni
di tutti i miei avi mi hanno dotata.

Non incolpo nessuno. Anzi, li ringrazio dei doni.

Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf.

Ma nei pozzi oscuri in cui sprofondo;
al mattino, appena apro gli occhi
sento le lacrime che premono,
nonostante la felicità
che ho finalmente conquistato
rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria,
vedo le altre donne che sono in me, sedute nel vestibolo
che mi guardano con occhi dolenti
e brandiscono condanne contro la mia felicità.
Imperterrite brave bambine
mi circondano e danzano musiche infantili
contro di me;
contro questa donna
fatta
piena
la donna dal seno sodo
e i fianchi larghi
che, per mia madre e contro di lei,
mi piace essere.

Gioconda Belli ( da “L’occhio della donna”)
-

Il disastro antropologico

Come definire altrimenti il periodo che l’umanità sta attraversando, il periodo che stiamo vivendo, lo scempio a cui stiamo assistendo, la degradazione dell’umano a cui ci stiamo abituando? E, ancora una volta, la questione si esprime con la consuetudine della reificazione dei corpi e, in particolare, del corpo femminile. Il corpo reificato diventa merce, oggetto di consumo, moneta di scambio e, come tale, alienabile. Ogni cosa ha un suo posto. Il problema si pone nel momento in cui il “posto” diventa l’immaginario strutturando uno stile di vita, un modello culturale, una modalità di pensiero. E si pone nei termini, ancora una volta, di distinzione dei ruoli, modalità relazionali basate sull’opposizione e la prevaricazione piuttosto che sulla condivisione e la solidarietà. È come se fossimo rimasti intrappolati nella gabbia hegeliana del servo/padrone. È una relazione asimmetrica tra chi agisce il potere e coloro su cui viene agito. E, ancora una volta, l’esercizio del potere si esercita sulle donne, il diverso per antonomasia. L’elaborazione, resa possibile dalla presa di parola di molte donne, di una soggettività indipendente che si autodetermina e si esprime liberamente, ha portato alla consapevolezza che l’autorità per intervenire sulla società e cambiare il modello culturale fallologocentrico sia in mano alle donne. Per quanto onorevolmente molti uomini abbiano condiviso e condividano questo percorso rivoluzionario, il bandolo sta in mano alle donne. Perché la trasformazione non può che partire da me. Ora, di fronte al puttanaio che (certo non lo scopriamo oggi ma ora si impone violentemente sulla scena) occupa le stanze del potere, dobbiamo chiederci dov’è finito tutto il lavoro fatto negli ultimi 40 anni? Tutto il lavoro di costruzione di sé a cui molte donne si dedicano, muovendosi in un orizzonte di senso per sé e non per la smania del potere? Il quadro è preoccupante ma occorre guardarlo come un’opportunità perché è dalla crisi che nascono le opportunità più ghiotte. Parlo dell’opportunità per continuare il cammino intrapreso e portarlo ad una svolta, per fare un passo ulteriore nella conquista di un immaginario non costruito su modelli di genere che calcano i contorni del potere assumendone forme e contenuti. Possibile che, ancora oggi, ci siano donne che non riconoscono la dimensione oggettuale in cui si lasciano intrappolare illudendosi di condurre il gioco? Possibile che sia ancora il caso di ribadire che prestarsi ai giochi del potere significa rinunciare a essere il soggetto della propria vita e assumere come naturale un modello che mortifica la dignità dell’essere?